dal libro di MOSTARDI (p.157-163):
trascriviamo 2 passaggi che poi verranno analizzati nella 2° OPPOSIZIONE.
Questa operazione di confronto si rende necessaria perchè altrimenti non si capisce da quale angolazione è partito fra Cipriano.
Il linguaggio e le argomentazioni del Mostardi si lasciano commentare da sole.
Nella "lapide bilingue", ad esempio, mette in dubbio la lapide stessa salvo quando il Garzoni cita .... (guarda caso) Cupra Marittima.
Dopo aver letto questi brani analizzate la 2° OPPOSIZIONE.
Se poi avete un po' di tempo leggettevi anche le 2 riflessioni sull'argomento a cura di Alberto Silvestro:
  • Riflessione 1
  • Riflessione 2
    Infine ricordo che è sempre possibile dire liberamente la propia opinione. Verrà pubblicata.
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    LAPIDE BILINGUE

    Il Garzoni, scrittore bolognese dei XIV secolo, nella sua opera De Laudibus Piceni, riferisce che a Cupra Marittima era stata ritrovata una lapide bilingue greco-latina. Sbaglia nel porre tutti i ruderi della città romana presso S. Martino al Tesino e ignorando completamente quelli della Civita, e scrive: "Ad mare procul a Ticino (sic) amne, exctructa erat alia civitas vetustissima quidem. Haec ad solum eversa est, praeter templum Martino sacrum. Eam Cupram Marittimam vocatam ferunt. Haud multi anni intercesserunt, cum Antonius Patrignas, vir et mea et omnium sententiam de litteris tum graecis tum latinis optime meritus, litteras graecas in marmoreo lapide, quem sub terra fodientes invenerunt, incisas quibus epigrammata eadern verba explicans, continebatur, se legisse affirmabat".
    Nulla più che la semplice citazione del Garzoni, purtroppo, possediamo dii questa lapide bilingue, scritta in greco e tradotta contemporaneamente in latino, rinvenuta negli scavi del XV secolo e ora introvabile. Il Garzoni non ne riporta né le parole ne l'argomento. Molto significativo però rimane il fatto dell'uso delle due lingue, greca e latina, in Cupra Marittima


    I RUDERI DI GROTTAMMARE

    Non possiamo ignorare, né tralasciare di esaminare l'opinione di qualche scrittore, circa l'ubicazione dei tempio della dea Cupra nei pressi di Grottammare.
    I sostenitori dell'ubicazione del tempio presso S. Martino, nelle vicinanze del fiume Tesino, si appellano a tre argomenti: la lapide adrianea, i ruderi, il bagno della regina. L'esame di questi argomenti non fa che consolidare l'opposta tesi cioè l'ubicazione dei tempio al monte d'Agnesia in Cupra Marittima.
  • I. La lapide, circa i restauri del tempio effettuati dall'imperatore Adriano, attualmente si trova murata su un pilastro della navata destra e di fronte all'entrata laterale della chiesa di S.Martino tra Grottammare e il fiume Tesino. Questa lapide se non sempre sistemata in quella chiesa, è stata per lo meno ritrovata in quella contrada ? Nel secolo XVI, le prime notizie della collocazione in S. Martino recano stranezze, suscitano incertezze, soprattutto sono contrastate dalla secolare tradizione cuprense.
    La più antica testimonianza risalirebbe al Nicola Peranzoni di Monte Cassiano presso Macerata. Questo scrittore compilava il suo De Laudibus Piceni tra il 1510 e il 1527. Ma il suo autografo era già scomparso al tempo di Colucci, il quale nel secolo XVIII pubblicava, per primo, quel lavoro sulla base di copie manoscritte, anch'esse oggi perdute. Per cui non è possibile criticamente, se la notizia. che ci interessa, sia originale del Peranzoni ovvero sia un'interpolazione posteriore dei copisti. L'opera suscita forti dubbi, proprio perché è imperfetta e affatto priva di critica. Tuttavia dall'autore o dai suoi copisti si riferisce: "…in praesentem usque diem in lapde, altari dicti templi (S. Martino) apposito, scuIptae litterae sic leguntur: IMP. CAESAR.... RESTITUIT" (1).
    Altra testimonianza, della seconda metà dei secolo XVI, determina così la locazione della lapide: "A S.Martino appresso le Grotte in una tavola di sopra l'altare" (2).
    Assurda è la nota "in una tavola di bronzo", quando con piena evidenza l'iscrizione è su pietra d'lstria; la collocazione poi "sopra l'altare" non supponeva, crediamo, una litolatria. Del resto non sono soltanto queste le falsità e le bizzarrie delle testimonianze letterarie incontrollate sulle lapidi cuprensi, come abbiamo notato nell'Introduzione a proposito dell'ubicazione della città di Cupra Marittima.
    Al contrario la tradizione cuprense ritiene che la lapide adrianea fosse, in origine, alla Civita di Cupra Marittinia. Il Camerini, nei primi del secolo XVIII, affermava che era stata ritrovata "nelle pertinenze di Marano e poi trasferita nella parrocchiale" (3). Il Lancellotti, nel medesimo secolo, ha raccolto la più antica tradizione cuprense, che nella fainiglia del medico Giovanni Panlli poteva, col nonno, risalire alla fine del secolo XVI; egli affermava che "la lapide era stata ritrovata non lontano da Castel Marano, presso la chiesa di San Basso nella contrada detta la Civita, ove si trovano molte vestigia di edifici" (4).
    Se la presenza della lapide adrianea in S. Martino è tanto reale dal secolo XVI ad oggi, è altrettanto assurda per il periodo romano. Bisogna infatti tener presente i seguenti imprescindibili punti.
    1. La città di Cupra Marittima, come abbiamo visto nell'introduzione, su indicazioni degli scrittori romani e sulla base di resti archeologici, era indiscutibilmente situata alla contrada Civita presso il fiume Menocchia; lo afferma lo stesso Speranza, scrittore illustre, di Grottammare.
    2. Il nome della città era strettamente legato a quello della dea. E' bene ricordare che la dea Cupra è stata sempre venerata quale dea urbana, mai come divinità agreste.
    3. E' chiaro allora che la città, derivando il nome dalla dea urbana Cupra, abbia avuto nelle immediate vicinanze il tempio e, naturalmente, il maggior tempio sacro alla dea titolare.
    4. In tutto il litorale, dall'Elvino al Tronto, non risulta che vi sia esistita alcuna città, né alcuna borgata; nessun antico scrittore e neppure l'archeologia recano indizi d'una passata civiltà urbana in quella fascia adriatica. I pochissimi resti. come i ruderi presso la chiesa di S. Martino e più lontano la vasca, sono segni affatto insufficienti a provare Lui aggIomerato urbano; tutt'al più, qualora li si vogliano ritenere di antichità romana, possono ritenersi nient'altro che costruzioni campestri, mai più urbane. Non vi è confronto con la quantità dei reperti archeologici cuprensi, rinvenuti alla Civita, segno evidente di una civiltà cittadina. Perciò, essendo stata la zona del Tesino prettamente campestre, sembra molto strano che la maestà imperiale di Adriano si fosse interessata di un oscuro tempietto solitario.
    5. Dal tempo dell'imperatore Augusto, il territorio di Grottammare faceva parte dell'Abruzzo. Plinio infatti scrive che il fiume Elvino, oggi detto Acquarossa di Cupra Marittima, segnava i confini tra il Piceno e l'Abruzzo; e subito dopo l'Elvino, continua Plinio, risalendo a Nord si incontrava la città di Cupra Marittima. Non è quindi possibile che i Cuprenses avessero un tempio alla loro dea tutelare e titolare, fuori del loro Ager e perfino fuori della loro regione.
    Dopo queste fondamentali considerazioni, è più facile rendersi conto che la lapide adrianea non è attualmente collocata ai suo posto d'origine. In quella zona campestre, qual era S. Martino è stata trasportata dalla Civita di Cupra Marittima, così opina anche il Mommsen. Il Boccabianca (5) ritiene inammissibile questa dislocazione della lapide, senza per altro motivare la sua strana asserzione: forse a motivo della distanza logistica o del peso marmoreo ? La chiesa di S. Martirio dista dalla Civita di Cupra Marittima appena 7 chilometri, mentre il museo di Ripatransone ne dista 13 e raccoglie lapidi e urne cinerarie ben più pesanti, asportatevi dalla Civita; assai più lontani sono i musei di Ascoli, Fermo, Osimo, Ancona, Perugia, Firenze, Roma, che custodiscono materiale archeologico cuprense. Che dire del museo di Verona, ove è stata inviata e vi si conserva una delle lapidi marmoree rinvenute a Cupra Marittima. Del resto sulla facciata della chiesa stessa di S. Martino di Tesino è murato l'avanzo d'un piede marmoreo, che alcuni scrittori di Grottammare ritengono "parte della statua raffigurante Numa Pompilio", posta nel Campidoglio a Roma, cui mancherebbe un piede. Se non è strano che un piede marmoreo venga trasportato da Roma a Grottammare, tanto meno inverosimile appare il trasferimento d'una lapide dalla Menocchia al Tesino. E proprio questo piede marmoreo certamente spurio nella zona del Tesino, secondo gli stessi scrittori grottammaresi, convalida il giudizio che anche la lapide adrianea sia intrusa in quella medesima zona.
    Si potrebbe, a questo punto, porre termine al problema ma è interessante rispondere ad un altro quesito. Quando la lapide adrianca sarebbe stata trasportata a S. Martino ? Possiamo avanzare due ipotesi:
    a) se riteniamo per autentica la notizia scritta dal Peranzoni tra il 1510 e il 1527, allora è probabile che la lapide abbia avuto le seguenti vicissitudi. "Reperta nelle pertinenze di Marano", conie asserisce Filippo Camerini e, con maggior precisazione Giuseppe Lancellotti, "ritrovata non lungi da castel Marano, presso la chiesa di S. Basso presso la contrada Civita" di Cupra Marittima, essa in epoca imprecisata è stata posta "nella chiesa parrocchiale" entro Marano, come afferma lo stesso Camerini. La traslazione poi da Marano a S. Martino può essere avvenuta in un rifacimento rinascimentale delle due chiese, allora ambedue nella diocesi di Fermo, e non trovando un nuovo collocamento nella restaurata chiesa dei Santi Basso e Margherita di Marano, si conosce un totale rifacimento nel 1494, sarà stata posta a S.Martino, usandola come pietra di sostegno nell'altare, "sopra l'altare" (Anonimo Mariniano), "altari apposito" (Peranzoni), da qualche vescovo fermano di spirito umanistico. Si può pensare al card. Francesco Todeschini Piccolomini, divenuto poi Papa Pio II, costui, in qualità di Legato Pontificio di Alessandro VI per tutta l'Italia e Amministratore Apostolico della diocesi di Fermo, il 1 Novembre 1494 inviava da Firenze a Cupra Mariffinia una sua lettera, che accompagnava la Bolla pontificia, richiesta dal pievano di Marano Bartolomeo Brancadoro, divenuto arcidiacono della cattedrale di Fermo (6).
    b) una seconda ipotesi appare assai più probabile. Alcuni umanisti del sec. XVI, presumendo una corruzione fonetica e grafica, hanno ritenuto che il termine italiano Grotte a Mare sia la derivazione etimologica dei latino Cupra Marittima; e volendo ubicare la città romana, l'hanno spostata dalla Menocchia al Tesino (7). Tale idea, in seguito, piacque e fu sanzionata dal grottammarese Sisto V, papa (8).
    Frattanto nel 1571, Ripatransone veniva costituita in diocesi, distaccata dal vescovo di Fermo, al quale però rimaneva assegnata la commenda dell'ebbazia di S.Martino al Tesino. A questa epoca sembra meglio attribuita la traslazione della lapide adrianea. Un'iscrizione, posta nel 1581 da Domenico Pinelli, vescovo di Fermo e commendatario dell'ex?abbazia, pare voglia ricordare i restauri della chiesa di S.Martino (9). Ed è certo che a questi anni risalgono le prime testimonianze documentate della locazione della lapide adrianea a S. Martino: Aldo Manuzio (1547?1597), raccoglitore di epigrafi e direttore della Stamperia Vaticana; Orsini, che comunicava l'iscrizione al Gruter (1603) (10); l'Anonimo del Codice Barberini (11); in seguito a ciò, crediamo, è stata fatta dai copisti l'interpolazione all'opera del Peranzoni. Nel 1614 in una Visita pastorale, Sebastiano Poggi, vescovo di Ripatransone, ordinava la rimozione di lapidi profane dalla chiesa di S. Martino. Da allora e per oltre un secolo, la lapide adrianea è rimasta abbandonata in un angolo. Nel 1743, lo storico ed archeologo arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia, come Commendatario faceva murare la lapide, ove tutt'ora si trova (12). Il Masdéu commenta (13): "lapide originale, incastrata sul muro sotto alla conca dell'acqua santa, profanazione (a me pare) da non tollerarsi, benché autore ne fosse (come mi fu detto) mons. Alessandro Borgia arcivescovo di Fermo, spinto a ciò fare dall'opinione di alcuni letterati, che quello medesimo credono essere il luogo dell'antico tempio gentilizio restaurato da Adriano".
  • II. Un secondo argomento della tesi "Tempio al Tesino" sarebbero i ruderi presso la chiesa di S. Martino. Sono situati verso l'angolo Nord Ovest e a qualche metro di distanza dalla chiesa. Affiorano ineguali dal terreno da 0.50 a 2 metri; il loro complesso, in calcestruzzo, presenta una pianta rettangolare, il cui lato maggiore misura m. 12 di lunghezza e m. 1,20 di spessore.
    Il Vicione (14), scrivendo nel 1828, testimoniava che gli abitanti di quella contrada chiamavano quel rudere "saraceno", quasi risalisse al periodo medioevale, ma la tecnica muraria risale senz'altro ad epoca molto più antica. E' certo azzardato rilevarvi uno stile attribuibile all'arte etrusca, Come ha asserito il Dall'Osso; non tutti sono rimasti convinti delle sue asserzioni. Pare invece che risalga all'ultimo periodo della repubblica di Roma o agli inizi dell'epoca imperiale, come opina lo Speranza. a) Da alcuni quei ruderi sono ritenuti avanzi di un antico tempio. Tale attribuzione non risulta evidente dalla pianta dei ruderi: né è convalidata dallo spessore dei muri, sproporzionato per un tempietto agreste per di più si nota la mancanza assoluta di reperti archeologici cultuali. Qualora non si voglia negare il carattere di tempietto, lo sì potrebbe ritenere un delubro agreste, senza importanza come tutti quelli del medesimo tempo e dello stesso stile. Non poteva essere questo il tempio, decantato da Silio Italico e restaurato dall'Imperatore Adriano.
    A quale divinità, in tal caso, potrebbe essere stato dedicato questo presunto tempio presso S. Martino ? Non certo alla dea Cupra, perché era divinità con culto prettamente urbano o tutt'al più, con il tempio delle immediate vicinanze della città, come era a Pafo e a Cupra Marittima. Si potrebbe pensare ad una divinità picena (non asila?cuprense) o liburnica. Potrebbe essere stato un tempio sacro al dio Faunus, cui poteva convenire un tempietto rustico nella zona agreste di S. Martino. b) Più attendibile è l'opinione che quei ruderi siano il residuo di una torre di guardia e, forse inizialmente, una torre liburnica (15). li territorio di Grottammare, poiché non faceva parte dell'Ager Cuprensis essendone diviso dall'Elvino a testimonianza di Plinio, doveva certamente costituire parte dell'Ager Truentinus, abitato dai Liburni. Silio ltalico, parlando dei Liburni dell'Italia centro?adriatica, attesta che essi avevano torri di guardia e di difesa lungo il fiume Tronto. Può dirsi altrettanto della torre liburnica sul Tesino, pur ammettendo un rifacimento in epoca imperiale. Lo spessore dei muri, m. 1,20, suppone una certa altezza e può essere motivato per una resistenza, anziché un tempietto campestre. Così meglio si spiega il termine della tradizione popolare "saraceno", in quanto, nei secoli posteriori, Ia torre di guardia, assai più adatta allo scopo che non un tempietto, sarebbe stata usata dai saraceni per controllare la zona.
    III. Un terzo argomento a favore della tesi "Tempio al Tesino" vorrebbe essere il bagno della regina. Si trova a 700 metri dalla torre di guardia liburnica-romana. E' una vasca non perfettamente cilindrica, del diametro di 12 metri, profondità 3 metri, spessore ad impasto breccioso di 50 centimetri, che raccoglieva le acque del colle Granaro. Oggi è usata come serbatoio per irrorare i terreni sottostanti. Altre vasche nel territorio di Grottammare sono dette bagno della regina, come per esempio sopra il monte delle Quaglie. Anche nel territorio di San Benedetto del Tronto, una vasca presso il torrente Ragnola è detta bagno della regina. Non si tratta di una vasca da bagno nel senso moderno. Sarebbe stata troppo profonda (metri 3), inservibile nel periodo invernale perché allo scoperto, inutile nella stagione estiva per mare vicino. Tutto lascia supporre che fossero vasche campestri per l'irrigazione degli animali, per il lavaggio della lana; e chissà, forse inizialmente anche per la tintura delle stoffe, nella quale erano esperti i liburni.
    Lo stesso termine "regina" non è affatto di stile romano. Si direbbe caso mai "bagno dell'imperatrice" e, più appropriatamente, con l'uso del nome personale di una determinata imperatrice. Se per caso si volesse risalire al periodo dei re di Roma, è noto che, oltre al silenzio sulle regine, Roma non estendeva certo il suo dominio sul litorale adriatico. La terminologia "regina" si addice meglio all'epoca dei primi re barbarici. Forse una regina ha contribuito, a proprie spese, al restauro delle antiche vasche. Questa potrebbe essere stata la regina Amalasunta, che al tempo di Belisario suo difensore si era rifugiata in una località segreta del litorale tra il Piceno e l'Abruzzo: Porto San Giorgio? Grottammare ?
    Amalasunta, figlia di Teodorico re degli Ostrogoti, dopo la morte del padre e del figlio diciottenne, il re Atalarico, sentendosi sospettata e sorvegliata pur essendo moglie del re ostrogoto Teodato, ha cercato la protezione dell'imperatore d'oriente attraverso segreti messaggeri. Gli incontri con i greci sarebbero avvenuti in una località litoranea a Sud di Fermo. La zona del Tesino era inosservata dalla vigile scorta degli Ostrogoti. Nel 535 la regina Amalasunta vien fatta uccidere dagli emissari di suo marito, il re Teodato. Per vendicarla, Giustiniano imperatore invia da Bisanzio, nel 538 il suo generale Belisario contro gli Ostrogoti. A quest'epoca risalgono alcune monete greche, rinvenute alla Civita di Cupra Marittima (16).
    NOTE
    1- N. PERANZONI, De Laudibiis Piceni, in COLUCCI, Antic. Pic. XXV, p. 95.
    2 - Anonimo, nella Collez. di Gaet. Marini, manoscr. nella Bibl. Vatica., Cod. 9119.
    3 - F. CAMERINI, con lett. del 28.VII.1733, al MURATORI.
    4 - LANCELLOTTI, in Manoscr. Raffaelli, Cod. Vatic. 641.
    5 - G. BOCCABIANCA, Cuprae Mons, 1926
    6 - Ripatransone, Arch. Cur. Vescov. Marano I?XLVIII, f. 20; VINC. MURRI, confutaz. 1800, p. 46; F. MOSTARDI, S. Basso da Nizza a Cupra, 1962, p. 151.
    7 - L. ALBERTI, Descritione di tutta Italia, I° ediz. 1.550;2° ediz. 1596, p. 272: "Grotte castello, Gritta o Crite dai Latini detto... Vogliono alcuni che fusse Cupra città, ov'è Grotte sopra nominato". A. p. 277, pone Copra Montana a Loreto.
    8 - Cfr, nell'Introduzione a questo volume l'ubicazione di Cupra Marittima,
    9 - Lapide: Dom. Pinel/lus epus ac / princ. Fir/manus. 1581.
    10 - J. GRUTER, p. 1016, n. 2: "Prope Gruttas ad mare in agro Firmano ad D. Martini, tabula marmorea. Grutero Ursinus, qui insussurrabat an non haec fuerit Cupra Maritima, cuius mentio apud Plinium".
    11 - L'Anonimo dei Cod. Barberini scrive "nella chiesa di S. Martino sul torrente Tessino, lungi dalle Grotte a Mare un miglio, vicino al mare un tiro d'archibugio".
    12 - In S. Martino una lapide lo ricorda: "Alexander Borgia archipus et princ. vetus D. Martini templum ad Cupram Maritimam iuris sui instauravit. A.D. 1743".
    13 - G. MASDEU, scoperta lapidaria sulla vera etimologia della dea Cupra, in Atti dell'Accad. Ital. Di Sc. Lett. Arti, Tom. 1, Part. Il, Livorno 1810, pp. 165?167.
    14 - VICIONE, Ripatr. sorta dalle rovine di Castello etrusco, Fermo 1828.
    15 - L'elmo a cresta equina, bassorilievo che funge da acquasantiera nella chiesa di S. Martino, non è affatto del tipo di elmi rinvenuti nelle necropoli cuprensi, di forma assai semplice.
    16 - Cfr. in questo volume il corrispondente periodo storico.

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