UN PO' DI POLEMICA di Alberto SILVESTRO

Sommario:
  • Premessa
  • La prudenza non è mai troppa.
  • Seconda lettera aperta all'Archeoclub di Cupramarittima.
  • Lettera al Direttore di FLASH (non pubblicata)
  • Alla ricerca del tempio perduto
  • Premessa
    Sono ormai trascorsi tre anni e più da quando indirizzai due lettere aperte all'Archeoclub di Cupramarittima, rimaste finora, e forse per sempre, senza risposta. Infatti nell'estate del 1988 incontrai il presidente di quel club, gli chiesi notizie in merito ed ebbi la sorpresa di sapere che sarebbe stato oltremodo oneroso sobbarcarsi ad una ricerca per controbattere i miei appunti, in considerazione della vastità della materia. Avevo scritto che la replica non è un obbligo, ma una scelta. Continuo ad essere di questo parere, nonostante tutto....
    Da allora però sono accaduti due fatti, tra i tanti della vita di tutti i giorni, che mi costringono a riprendere la penna in mano, anche a costo di passare per petulante: la fondazione di una sezione dell'Archeoclub di Italia a Grottammare; la pubblicazione a Cupramarittima di un volume sulla civiltà marinara, testo apprezzabile sotto certi aspetti, ma che purtroppo segna un regresso nello sviluppo di una cultura autonoma e senza condizionamenti,in quanto gli autori tornano fedelmente all'osservanza dei dettami del loro caposcuola. Il primo fatto sta a significare che a Grottammare si è ridestata una maggiore attenzione verso tutto ciò che attiene al patrimonio culturale del paese; il secondo ha confermato che è difficile, forse anche impossibile, estirpare la mala pianta mostardiana.
    Invitato da alcuni amici a dare alle stampe quelle lettere, consapevole che potrebbero prestarsi a interpretazioni distorte, mi sento obbligato a premettere alcune considerazioni forse ovvie, ma indispensabili a parer mio.
    Pur sostenendo di tendere alla verità - a mio avviso meta avvicinabile ma non raggiungibile - e di voler bandire certi ambigui e fuorvianti giochetti interpretativi, forse allora mi ero fatto tradire dalla vena polemica, tutto sommato sterile soprattutto perché, venendo a mancare gl'interlocutori, il dialogo si è ridotto a monologo. Allargare sic et simpliciter il campo di diffusione delle lettere, comporta probabilmente il rischio di rinfocolare contrapposizioni sopite. Ne discenderebbe automaticamente che l'esigenza di chiarire certi problemi verrebbe classificata come uno dei tanti episodi di conflitti campanilistici, piaga e delizia delle nostre contrade. Non è questo il mio obiettivo: mi propongo invece di ricondurre nei naturali confini certe valutazioni, alcune delle quali basate su una frettolosa e disinvolta lettura di dati cartografici, effettuata, presumo, senza tenere in considerazione i limiti propri del campo in cui essi vanno inseriti.
    In previsione di una sia pur modesta estensione della zona di diffusione dei miei testi originari, ho ritenuto opportuno corredarli di alcuni documenti che consentano di verificare e valutare l'attendibilità della mia controlettura.1
    In particolare desidero sottolineare come, nella interpretazione delle carte e non solo di queste, non ci si debba limitare soltanto all'arido rilievo della presenza o dell'assenza di un toponimo.
    Possono essere di vario genere i motivi - e tutti più o meno giustificabili - che hanno indirizzato in un senso o nell'altro il cartografo, che non sempre ha conoscenza diretta dei luoghi che rappresenta. Sta a noi procedere alla lettura ed alla valorizzazione dei dati sulla base di una serena ed onesta discriminazione di tutti gli elementi in gioco.2 Altrimenti si corre effettivamente il rischio di peccare grossolanamente, e non solo campanilismo. Pretendere, ad esempio, che un promontorio rappresentato su una carta tolemaica dia una fedele riproduzione della realtà geografica è un assurdo così evidente che mi esento dal dimostrarlo.
    Sbandierare un tale particolare ad majorem gloriam del proprio paese è un grave peccato di campanilismo, se vogliamo cogliere solo l'aspetto più immediato dell'errore.
    Senza far distinzione tra antiche e moderne, ricordo alcune delle tante carte esistenti: nautiche, militari, ferroviarie, topografiche, geologiche, stradali, postali, catastali, di geografia fisica e politica, itinerari per pellegrinaggi romei, ecc.
    Nel caso di centri d'importanza non rilevante nel Contesto nazionale,come possono essere Cupramarittima e Grottammare, la loro saltuaria citazione su una carta datata va considerata di massima soprattutto come prova dell'esistenza di quel paese a quella certa data, prescindendo da qualsiasi considerazione a proposito della sua preminenza su quelli vicini. Questo aspetto "gerarchico", a meno che si tratti di una particolare carta specialistica (come può essere quella dei flussi di greggio e prodotti petroliferi qui riportata), deve risultare da altre fonti.
    Nel caso degli antichi territori di Fermo, già la semplice classificazione in castelli di 1^, 2^ e 3^ classe può dare un giusto indirizzo. Come pure la corretta e ponderata considerazione di notizie particolari, ad esempio l'entità della popolazione, il reddito, o l'esistenza di consolati stranieri, di uffici statali, di industrie, ecc., ecc. In particolare l'insediamento di rappresentanze consolari è senza dubbio un indizio dell'importanza raggiunta da uno scalo marittimo nei confronti dei paesi vicini.3
    Faccio un altro esempio: la presenza su alcune carte ferroviarie di Porto San Giorgio e Porto d'Ascoli e l'esclusione di San Benedetto del Tronto sulle stesse.
    I motivi sono facilmente intuibili se si pensa che da quei due paesi avevano/hanno origine le diramazioni per Fermo e Ascoli.
    Spero che nessuno pretenda che perciò Porto d'Ascoli sia o sia stata più importante di San Benedetto. Bisogna fare anche attenzione perché, ovviamente, non Mancano errori sulle carte. Valga per tutti quello, evidentissimo, su una carta del Blau (Toscana e Stato della Chiesa), in cui Ripatransone appare divisa in due centri ben distinti: Transone, sede vescovile in collina; Ripa verso il mare. Eppure, nella stessa raccolta, la carta Marca Anconitana olim Picenum, riporta correttamente Ripatransone.
    Per di più c'è uno strano connubio, Marano-Le Grotte, che non convince molto. Ma tanti altri errori, meno appariscenti, possono sfuggire anche ad un occhio attento.4
    Trattandosi di una premessa mi fermo qui, non senza cogliere l'occasione per ringraziare quanti hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro.

    La prudenza non è mai troppa.

    I nostri compatrioti che vivono nelle superstiti plaghe della civiltà contadina nutrono tuttora un sacro rispetto per quelle sintetiche ed espressive testimonianze di sapienza popolare perpetuatesi fino ad oggi sotto forma di proverbi.
    In verità dobbiamo anche riconoscere che pochi di noi possono considerarsi del tutto estranei al ceppo agricolo, che fino a pochi anni fa costituiva la larga maggioranza della popolazione italiana: personalmente, pur se la mia esperienza nel campo dei proverbi è ben limitata, mi metto tra i più.
    Recentemente tuttavia non ho potuto fare a meno di pensare con rimpianto a tanta sapienza trascurata in quanto ho ripreso in mano, dopo anni dalla prima distratta ed impreparata lettura, il volume CUPRA di Bernardo Faustino Mostardi e ne ho lette le LIII pagine delle prefazioni ed introduzione. Mai come in questa occasione mi è parso appropriato rammentarmi del proverbio posto come titolo alla presente nota e di tanti altri che non cito.
    Ritengo necessario fare innanzitutto alcune premesse:
    - il volume in questione è da considerarsi postumo, anche se v'è' una discrepanza tra la morte dell'autore, avvenuta il 23.09.1975, e la data di pubblicazione (anzi di stesura) della presentazione, 12.11.1975, successiva a quella della morte;
    - trattandosi di opera non rivista dall'autore prima della pubblicazione è poco corretto mettere in risalto delle pecche cui il Mostardi non può replicare;
    - è pur vero che la stampa è stata promossa e realizzata dall'Archeoclub di Cupramarittima, i cui membri hanno fatto e fanno tuttora professione di stima e adesione al defunto padre benedettino, che potremo a pieno titolo considerare nume tutelare dell'Archeoclub. Ad essi mi rivolgo;
    - ho intrattenuto sporadici rapporti con alcuni componenti dell'Archeoclub e, pur non condividendone le vedute su diverse intrepretazioni ed attribuzioni, riconosco ben volentieri l'utilità della loro opera in difesa del passato del proprio paese, quando si traduce nella salvaguardia di ambienti, principi ed opere tuttora validi; tutto sommato, però, considero il libro in questione pericoloso e fuorviante, perché la complessità della materia ha sottoposto l'autore ad estenuanti ricerche pluridisciplinari ma l'enunciato finale è a volte lacunoso, sforzato e ingannevole, anche se apparentemente rigoroso agli occhi di un lettore non bene al corrente degli avvenimenti trattati e facilmente abbacinato dalla profusione di riferimenti eruditi.
    Per comodità di esposizione elencherò dapprima i passi a mio giudizio "incriminabili", limitandomi a quelli maggiormente evidenti, e quindi esporrò le mie considerazioni in proposito:
    - pag. V: l'opera, in alcuni passi ormai superata per le conclusioni scientifiche e per alcune valutazioni economiche attuali, è stata volutamente lasciata a livello del manoscritto, tramandatoci dall'autore. Lo scritto si segnala soprattutto per la quantità di dati raccolti....
    - pag. VII: sono esposti i fatti e documentazioni in piena obiettività, sono ricercate le cause ed illustrate le conseguenze, si pongono nuovi orientamenti a vecchie teorie, vengono suscitati e risolti nuovi problemi, finora impensati....
    - pag. X: sottoposti ad un primo esame critico del prof. Benedetti del museo di Modena e del prof. Leopardi di Pescara....
    - pag. XI: i reperti archeologici hanno una loro eloquenza, tale da costituire una fonte cospicua ed una sicura testimonianza della storia cuprense, (...) i molteplici oggetti dell'eta' del ferro parlano della grande ricchezza, che non si riscontra facilmente altrove, neppure all'interno dei pochi mausolei romani dell'epoca imperiale (...) esprimono la elevata cultura artistica raggiunta in quei tempi (...) relazioni culturali attraverso il commercio marittimo e continentale con altri popoli (...) commercio marittimo di Cupra Marittima, spinto nel Medioevo a tutto il Mediterraneo, e' indiziato dagli influssi di arte moresca e spagnola (...) dalle chiese che i Cuprensi elevavano in onore del loro Patrono S. Basso lungo le coste dell'Adriatico fino all'Istria (...)
    - pag. XIII: dalle segnalazioni di questi antichi autori è facile dedurre la rinomanza che la città di Cupra Marittima si era acquistata nel bacino mediterraneo fino alla Grecia, all'Anatolia, all'Egitto, certo a motivo del commercio marittimo (...) Cupra Marittima perde alquanto della sua rinomanza politica, ma permane nel suo valore di porto commerciale, che ha conservato fino ai primi decenni del nostro secolo.
    - pag. XIV: la segnatura di Cupra Marittima nella Mappa di Agrippa e nella Tavola Peutingeriana assume valore di documentazione della città etnograficamente distinta, di un posto di controllo politico, dell'antico porto commerciale (...)
    - pag. XV: la città di Cupra è segnata nel rettangolo senza torricelle come Ancona, sopra un ben accentuato promontorio (...) Le carte tolemaiche manoscritte documentano il nome della città scritto in greco e in latino, in due distinte parole, Cupra Marittima; il suo porto commerciale conosciuto fino in Egitto (...) la testimonianza del promontorio di Cupra, del quale tratteremo più avanti (...) le tre carte, disegnate dal Massaio nel 1456, 1469, 1472 spostano alquanto a nord il promontorio di Cupra Marittima (...) anche le tavole di Ennio Martello del 1470 segnano piccoli promontori sul litorale cuprense (...)
    -pag. XVI-XVII: in tali carte (redatte da autori veneziani e connesse alla cronaca di Fra Paolino) (...) scarse le località delle Marche, degli Abruzzi (...) mentre risultano particolareggiate la zona cuprense (...) il promontorio cuprense viene spostato alquanto a settentrione. Ciò lascia supporre che il minorita Fra Paolino abbia conosciuto direttamente il territorio cuprense (forse per un corso di predicazione), o almeno che abbia avuto notizie particolari dai marinai cuprensi i quali vedevano troneggiare a Venezia tra i dorati mosaici della basilica di S. Marco il loro S. Basso, cui è dedicata anche una chiesa vicina alla stessa basilica marciana (...) il comune di S. Andrea (...) nella carta Anonima (...) è disegnato con una sola torre, come Fermo, mentre altre città maggiori sono distinte con due o tre torri (...) nelle carte nautiche, elaborate in campo genovese, scarseggiano i nomi della costa adriatica e non si trova alcuna segnalazione del territorio cuprense (...) Perché questa mancata segnalazione? Non certo per ignoranza geografica degli autori cartografici, né per una presunta irrilevanza del porto di Cupra Marittima (...)
    - pag. XVIII: i portolani recano anch'essi il loro contributo alla storia (...) anche in queste opere il porto di Cupra Marittima è annotato. Ne ricordiamo solo tre: il nuovo portolano del 1544; il portolano del mare Adriatico di Giacomo MARIENI; il pilota pratico di Ignazio PRINA. Le carte nautiche e i portolani rivelano sì' l'importanza del porto commerciale cuprense, ma nello stesso tempo spiegano anche la presenza dei cuprensi a Venezia, in Istria e altrove, nel litorale mediterraneo, ove si facevano notare con la costruzione di chiese in onore del loro patrono S. Basso (...)
    - pag. XX: gli atti giudiziari, criminali e civili, oltre a comprovare il diritto di amministrare la giustizia, riconosciuto al comune di Marano fino al XVIII secolo (...) - pag. XXI-XXII: il Polidori si è reso ridicolo per i madornali errori storici, logici, grammaticali (...)
    pag. XXVI/XXIX: promontorio di Cupra (...). è certo che confrontando i dati tolemaici circa il promontorio di Cupra Marittima e lo stato attuale del litorale cuprense la segnalazione del geografo egiziano sembrerebbe sproporzionata se non proprio assurda. Tuttavia esaminiamo questo problema fino ad ora non affrontato da alcun autore. Formuliamo anzitutto un calcolo logico: i naviganti, i cui itinerari marittimi erano giunti nelle mani di Tolomeo, non potevano ingannarsi nel segnalare quell'accentuata sporgenza, che si presentava come punto di riferimento nella rotta lungo l'Adriatico, anche per il rosseggiare del mare, tinto in quel luogo dalle acque del vicino fiume Elvino.
    pag. XXXI: le carte nautiche da fra Paolino in poi, designano quattro piccole prominenze, distinte dai corsi d'acqua: la Menocchia; il Marano o S.Egidio; il Marciglio o S.Andrea; l'Elvino o Acquarossa (...)
    - pag. XXXII: non mancano purtroppo alcune opinioni, infondate e talora ridicole, derivanti da preconcetti campanilistici fuori posto e,soprattutto, da inescusabile inavvertenza delle testimonianze storiche (...) Anche gli umanisti della fine del XVI sec., giudicando volgare lo scolpire sul monumento a Sisto V che il Papa era nato a " Le Grotte " hanno stimato più nobile la falsa attribuzione a Grottammare del classico titolo di Cupra Marittima (...) Pare che tale errore sia dovuto allo stesso Sisto V (...) Paciaudi scrive: " in un certo luogo detto Grotte a mare, ove non è, né mai trovossi, vestigia di antico edificio" (...)
    - pag. XXXIV: tutti gli studiosi da Mommsen in poi, riconoscono per Helvinum il torrente Acquarossa, soprattutto per l'identificazione etimologica: Helvinum equivale a rossastro (...)
    - pag. XXXV: la tradizione del popolo cuprense, ab immemorabili chiama Civita quella contrada che lascia spuntare ruderi in ogni dove (...) sconosciuta la bora (...)
    - pag. XXXVII/XXXIX: le agavi importate in Europa nel 1679, sono state trapiantate certo in quell'epoca, a Cupra Marittima (...) Era intensa una volta a Cupra Marittima la coltura in piena aria delle citronee più delicate a carattere subtropicale: aranci, cedri, limoni (...) assai frequenti i passaggi dei delfini, specie a mare tranquillo da agosto a ottobre (...)
    - pag. XXXIX/XL: caratteri somatici dei cuprensi (...) questo risultato potrebbe dimostrare la differenza etnologica tra i cuprensi provenienti da Cipro e i Piceni venuti dalla Sabina...Toponomastica .(.. )Elvino o Acquarossa (...) il suo antico nome Elvino indica proprio il colore rossastro, di cui riesce difficile stabilirne le cause (...)
    E' giunta l'ora di prendere in esame i passi incriminati.
    Per quanto possibile cercherò di usare i termini Cupra Maritima, Marano e Cupra Marittima a seconda delle epoche di cui si tratta.
    - pag. V: mi pare giusto e doveroso rispettare la personalità dell'autore; però, accertato che qualcosa di quello che ha scritto è discutibile oppure superato, perché non metterlo in evidenza nelle note che, come dichiarato, sono state riviste dai curatori e non dal Mostardi?
    Nonostante questa dichiarazione preliminare (solitamente le prefazioni vengono trascurate dal lettore!...), a mio giudizio la mancanza di appropriate annotazioni non è una semplice lacuna ma sta a significare piena adesione ed approvazione degli editori ai criteri seguiti dall'autore ed ai risultati e considerazioni da lui esposti. Sarebbe stata inoltre molto utile una errata corrige.
    - pag. VIII: ritengo che già la semplice lettura degli excerpta, prima ancora delle mie chiose, possa costituire un valido motivo per dubitare, se non altro, della obiettività e della serietà dei risultati ostentate dal benedettino. E' solo una dichiarazione di principio buttata là per accattivarsi il lettore ingenuo. Ovviamente questa mia condanna, chiamiamola pure così, non si riferisce a tutte le parti dell'opera, ma solo a quelle che verranno espressamente menzionate.
    - pag. X: stupisce alquanto che, dopo anni di attività, l'Archeoclub ed il Mostardi debbano fare ricorso ad esperti esterni.
    E' anche vero che ciò potrebbe essere voluto, per poter sbandierare il parere di un estraneo nelle eventuali polemiche con oppositori.
    I reperti archeologici hanno una loro eloquenza, è vero e non ne dubito, ma non dubito neppure che più di essi dicano, oltrepassando i limiti della liceità, e della credibilità, gli autori che si fanno trascinare dall'entusiasmo e si lasciano andare alla costruzione di castelli sulla sabbia, partendo dai pochi elementi certi a loro disposizione.
    Come in questo caso: grande ricchezza, superiore a quella dell'epoca imperiale romana .... commercio marittimo in tutto il Mediterraneo ... S. Basso propagato a piene mani dai maranesi .... rilevanza fino a quasi i nostri tempi del porto commerciale di Cupra Marittima. Tralascio per ora di puntualizzare tutti gli argomenti, ma per quanto riguarda le ultime osservazioni non posso non osservare:
    - S. Basso non è venerato unicamente a Cupra, lo dice il Mostardi;
    - Termoli, dove S. Basso è pure venerato, firmò nel 1225 un accordo commerciale con Fermo relativo all'approdo delle sue navi sul litorale fermano nei soli porti di Le Grotte e di Fermo e, come centro di importanza superiore a Marano, può aver maggiormente contribuito alla diffusione del culto di S. Basso. Non dimentichiamo che allora i maranesi erano gli abitanti di un modesto castello di 2^ categoria appartenente alla potente ed altera città di Fermo, che non lasciava autonomia ai propri soggetti nei rapporti con l'estero; - le relazioni di amicizia e di commercio tra Venezia e Fermo erano tali che la grande potenza veneta avrà lasciato un margine di attività commerciale marittima ai fermani, e quindi anche ai maranesi, nel quadro della sua politica di annientamento dei principali concorrenti (Ancona); ma oltre alla possibilità di commerciare in Alto Adriatico non avrà lasciato piena libertà d'instaurare a piacimento linee di traffico e di costruire checchessia.
    Nella tabella allegata riporto alcuni dati statistici sull'attività dei porti piceni nel primo '900 (non dispongo di dati sull'800), in base ai quali si può istituire un confronto tra i movimenti delle merci (quelli più significativi) delle varie sedi. Non mi sembra si possa desumere con tanta sicurezza l'importanza del porto commerciale di Cupra. Ovviamente il movimento di P. Civitanova e di S. Benedetto è nettamente superiore a tutti gli altri, trattandosi di porti di categoria superiore alla IV, a partire da una certa data.
    Non mi pare fuori luogo sottolineare l'uso addomesticato di dati statistici perpetrato dal Mostardi: qui, come altrove, riporta cifre relative al proprio paese e non agli altri, privando così il lettore non documentato della possibilità di verificare le conclusioni cui perviene l'autore.
    - pagg. XIV/XV: concordo senz'altro: la segnatura di Cupra Marittima sulla Tabula Peutingeriana (ma che ne sappiamo della mappa di Agrippa? supposizioni, solo supposizioni) è un indice dell'importanza raggiunta dalla colonia romana ivi dedotta. Non concordo su altri punti: città etnograficamente distinta, antico porto commerciale. Son tutti argomenti che non vengono chiariti con la dovuta certezza; anzi, si giunge al punto di estrapolare l'arido dato della tavola Peutingeriana per porre a confronto Ancona e Cupra attraverso il solo segno grafico d'indentificazione.
    Ritorna l'amplificazione della fama di Cupra e del suo porto al di là del limite consentito dalla documentazione utilizzata. E l'obiettività conclamata nella prefazione che fine ha fatto? Compare il promontorio sulla carta tolemaica che, naturalmente, si tramanda nelle carte degli epigoni.
    Nessuna meraviglia se autori che poco o nulla hanno innovato rispetto al capostipite ripropongano quanto da lui rappresentato. Rimane da vedere se Tolomeo abbia sbagliato a porre lì il promontorio, oppure no. Le considerazioni svolte dal Mostardi non possono essere condivise: si affanna ad affastellare cifre apparentemente formidabili, ma inconsistenti perché riferite ad un documento estremamente inaffidabile per quanto riguarda le misurazioni. Se un padrone marittimo seguisse le indicazioni di Tolomeo dove finirebbe? Lo stesso dicasi per tutte le altre macchinazioni di frane e sommovimenti geologici.
    Per il piccolo promontorio che esisteva a Grottammare fino agli anni 60 nel secolo scorso abbiamo documenti che ne attestano la scomparsa; quello di Cupra è ignoto, a quanto mi risulta. Potrebbe essere stato inserito nella carta spostando a sud quello di Pedaso, visto che il Mostardi non ci parla di uno spostamento a nord di quello delle Grotte, forse perché ritenuto volgare (...). Fatto sta che in tale situazione è sommamente imprudente sbandierare affermazioni così perentorie basate su labilissime fondamenta.
    Per quanto riguarda la presenza di Marano nella cartografia medievale, che senso ha parlare di territorio cuprense, che lascerebbe supporre l'esistenza di una sovranità ed autonomia del borgo di tal nome sul suo litorale e sulle sue campagne, quando sappiamo che Fermo era arcigno signore del lido dal Chienti al Tronto e per difendere i propri diritti ha combattuto sanguinosamente e non una sola volta con Civitanova e con Ascoli? L'unico senso che si può rintracciare è quello della immotivata esaltazione della contrada natia. Ricorrere a metodi di tal genere, che infirmano la credibilità e la serietà dell'opera intera, è altamente rischioso perché inevitabilmente il lettore, per quanto ingenuo e sprovveduto, una volta scoperto il primo imbroglio non tarderà a scoprire gli altri.
    Qui arriviamo addirittura ad adombrare confronti tra S. Andrea e Fermo, rappresentati entrambi con una sola torre!
    Obiettività, obiettività dove sei andata a finire! Ma non è tutto. Se Marano non viene marcato nelle carte genovesi, ciò non va attribuito ad una presunta irrilevanza del suo porto né all'ignoranza geografica dei cartografi. A cosa, allora? Forse alle imperfezioni del disegno che si è cancellato solo nella zona di Marano o alla distrazione dello stampatore o dell'autore della carta? Inutile ricordare, è stato citato prima, che il trattato tra Fermo e Termoli non fa cenno del porto di Marano. Ma come mai Pietro Visconte si permette di marcare nella sua carta sia Fermo sia Le Grotte? (Basta consultare il volume dell'Atlante della Storia d'Italia Einaudi senza ricorrere a fonti difficilmente reperibili).
    In compenso siamo informati che almeno tre portolani, un po' recenti in verità, citano il porto di Cupra Marittima, pardon, Marano. A questo punto è il caso di ricordare la classifica dei porti del Regno d'Italia: 1^, 2^, 3^, e 4^ categoria. Alla 4^ apparteneva e tuttora appartiene Cupra, come Grottammare e altre località della zona. Ma che significa porto di 4^ categoria? Nient'altro che una spiaggia senza alcuna struttura portuale. E prima che l'Italia risorgesse, il lido di Marano dove aveva le sue sistemazioni portuali, a parte qualche palanca e qualche argano? Ce lo dice il citato PRINA a pag. 87. "da Sirolo al Tronto ci sono diverse spiaggie aperte che impropriamente vengono denominate porti perchè sono frequentate dalle barche pescherecce e dal piccolo cabotaggio (...) esse sono tutte d'una medesima natura e soggette agli stessi inconvenienti".
    Ed a proposito dei portolani, anche qui sarebbe opportuno non dimenticarsi dei paesi vicini, altrimenti si ricava l'impressione che l'unico "porto" attivo del litorale fermano fosse solo Marano. Il che non è mai stato e non è. Della presenza dei cuprensi in Istria e della costruzione di chiese in onore di S. Basso ho già fatto cenno.
    - pag. XX: L'affermazione va inquadrata e limitata a Marano libero comune, perché dopo l'assoggettamento alla città di Fermo, a questa faceva capo l'amministrazione della giustizia, tranne casi di più o meno larghe deleghe.
    - pagg. XXI/XXII: Un po' più di cristiana comprensione per il povero ingenuo e focoso confratello Polidori attenuerebbe il fastidio che si prova nel constatare che tale giudizio proviene da un monaco che avrebbe potuto godere di molti maggiori meriti e considerazione se avesse fatto ricorso più spesso alla modestia ed alla prudenza.
    - pagg. XXVII/XXIV: sul promontorio di Cupra ho già espresso il mio pensiero. Resto ancora una volta sorpreso della sicumera con cui l'autore propala l'arrossamento del mare alla "foce dell'Elvino" (alias fosso dell'Acquarossa). A proposito del quale cominciamo intanto a distinguere: non tutti gli studiosi dopo il Mommsen si trovano concordi nell'identificazione Elvino-Acquarossa, anche se questa è l'interpretazione attualmente prevalente, avallata dall'Alfieri dopo sofferte ricerche. E' però il caso di osservare come il tanto conclamato colore rossastro legato all'Elvino nella storia naturale di Plinio, in corso di pubblicazione presso Einaudi, diventi solo giallastro, il che farebbe rientrare il mitico, anomalo Elvino nella categoria degli altri corsi d'acqua piceni, che effettivamente a mare calmo dopo intense pioggie allungano in mare un cono di deiezione giallo chiaramente visibile. Ma il fenomeno èevidente in corrispondenza di fiumi e torrenti (Tesino, Menocchia) non di fossi e rivoli come l'Acquarossa. Che vale poi battezzare motu proprio Valle Elvinia la vallicola in cui scorre l'Acquarossa, da sempre denominato fosso, mai torrente e tanto meno fiume? Se tutte le ricostruzioni di nomi fossero fondate su basi così incerte ci troveremmo ancora ai primordi della scienza etimologica. Dal punto di vista idro-geografico a me pare molto più appropriato identificare l'Elvino con il torrente S. Egidio, seguendo lo Speranza e con i seguenti risultati:
    - la città romana resta a nord dell'Elvino, come dice Plinio - il conteso tempio della dea Cupra rimarrebbe sempre a sud del confine;
    - l'interferenza del territorio cuprense con il truentino non subirebbe sensibili alterazioni perché non è ancora chiara la specifica area d'influenza delle due città;
    - rimane comunque assodata la presenza di altri insediamenti di epoca romana in questa area indefinita, presso S. Martino al Tesino, presso S. Lucia a S. Benedetto e forse altrove.
    Non ho per ora la possibilità di consultare le carte di fra Paolino e rimando ad altra occasione l'accertamento dell'affermazione a proposito della rappresentazione dei 4 corsi d'acqua maranesi.
    - pag. XXXII: mi dispiace, ma leggere questo passo mi suscita l'impressione di uno che gonfia le gote, come se suonasse il trombone, e sproloquia sulle glorie patrie, vere o presunte.
    E' un altro rimarchevole a solo del benedettino cuprense.
    Però, però: intanto avrebbe fatto bene a servirsi diversamente del Paciaudi, che effettivamente scrive la frase riportata, ma molte pagine dopo aver dedicato alcune righe ed illustrazioni alle rovine del tempio della dea Cupra a San Martino al Tesino. E questa è una località di Grotte a mare, almeno a partire dal Medioevo. Bisogna far pure un pensierino sul modo migliore d'impiegare i testi a disposizione come supporto delle proprie tesi. Altrimenti si combinano guai. Che poi, in epoca sistina, quando ancora non erano stati posti in opportuna luce i ruderi romani di Cupra, Sisto V e gli umanisti del suo tempo identificassero le Grotte con Cupra non mi pare un così grave peccato d'irriverenza verso il Mostardi: in fin dei conti avranno fatto uso di scherzi etimologici analoghi a quelli impiegati a volte dal Benedettino. Certo è un vero peccato che non si possa sostenere, sulla base delle affermazioni dello stesso Felice Peretti, che il luogo della sua nascita deve essere considerato Cupra, anziché Grottammare o Montalto!
    - pag. XXXV: rispettare le tradizioni e testimonianze locali è un ottimo e commendevole principio, che però non ammette eccezioni ad libitum: quando si tratta dei cuprensi che riconoscono ne la Civita una vecchia città, al Mostardi sta bene - ed in verità i fatti gli danno ragione -; quando si tratta dei grottesi o di altri che accettano la ubicazione del tempio della dea Cupra a S. Martino al Tesino, al Mostardi non sta più bene, si divincola, si dimena, cerca di costruire prove su prove che si riducono però spesso a semplici e personali supposizioni che, seppur condivisibili da altri ed in particolare dai cuprensi, non hanno sigillo di autenticità. Comunque, metta pure il tempio della dea Cupra dove preferisce; non venga poi ad accusare gli altri di "farsi portatori di opinioni infondate e talora ridicole derivanti da preconcetti campanilistici fuori posto e, sopra tutto, da inescusabile inavvertenza delle testimonianze storiche".
    Se non sbaglio, siamo in pieno campo di applicabilità della cosidetta legge del manico d'ombrello, se mi si consente l'espressione non troppo accademica.
    Mi si consenta anche di saltare della introduzione alla ricca e stimolante bibliografia. Noto ch'è citato un artico lo di F. PACCA VISIOLI: "le Marche viste dagli scrittori stranieri. L'itinerario di Edoardo HUTTON", ma non il testo dello stesso Hutton: The cities of the Romagna and the Marches.
    Forse perché a pag. 200 è riportato il seguente giudizio su Cupra? "Cupra is not a very charming place, and I did not wait to examine mosaic pavements and Roman remains I heard of, but went on to Grottammare" (...).(di cui) "the upper town, however, is well worth a visit".
    -pagg. XXXVIII ecc. Ormai si tratta di briciole. Siamo alle solite supposizioni, spacciate saccentemente come verità indubitabili: le agavi importate in Europa nel 1679, subito trapiantate a Marano; la coltura in piena aria delle citronee, come se fosse prerogativa della sola Marano (ah, Cupra Felix!): eppure da altra carta stampata, oltre che dalla realtà, si desume che anche località vicine, pur non altrettanto degne, ne possano menar vanto; i caratteri somatici dei cuprensi, usati per distinguerli dai vicini: perché attaccarsi a fili così sottili per dimostrare cose tanto serie? E poi: i delfini, una volta si vedevano e anch'io li ricordo, ma da quanti anni ormai non si vedono più? In compenso se la bora non tocca Cupra, arriva più a Sud, e come! Forse viene deviata dal fantasma del promontorio mostardo-tolemaico? ...
    Giunto a questo punto, è bene ricordarsi del noto proverbio e deporre la penna per pensare al riposo del corpo e della mente.
    Roma, 21 luglio 1986

    Traduzione parziale del brano dell'Hutton.
    "Capitolo XIV Ascoli.
    Da Fermo in un pomeriggio d'estate scesi a Porto San Giorgio ed andai subito al paesino di Torre di Palme, nella cui chiesa parrocchiale trovai una nobile ancona del Crivelli. Verso sera attraversai Cupramarittima, famosa per il suo tempio di Giunone. Nel palazzo comunale c'era appena la luce sufficiente per vedere un quadro, anche esso forse del Crivelli, della Madonna e del Bambino con S. Sebastiano e S. Caterina.
    Cupra non è un paese molto attraente e non persi tempo a visitare i pavimenti in mosaico ed i resti romani di cui ebbi notizia, ma andai a Grottammare, che è formato da un centro superiore ed uno inferiore, quest'ultimo un sobborgo abbastanza moderno per bagnanti. La parte superiore, comunque, è ben degna di una visita, perché il Castello diroccato sulla collina offre un ampio panorama verso la terra ed il mare e, inoltre, Grottammare dette i natali a quel famoso Pontefice che promosse a tal punto le costruzioni che, durante il suo regno di 5 anni, trasformò la città di Roma; e la lasciò più o meno come i nostri padri la videro quando arrivarono i Piemontesi. Papa Sisto V era un paesano, chiamato Francesco (sic) Peretti, nato a Grottammare nel 1521 (...).
    "

    Seconda lettera aperta all'Archeoclub di Cupramarittima.
    Il 1° agosto 1986 ho consegnato personalmente all'impiegata della Pro Loco di Cupramarittima una busta chiusa indirizzata al Prof. Vermiglio Ricci, c/o Archeoclub di Cupra, contenente una copia della memoria "La prudenza non è mai troppa - Lettera aperta all'archeoclub di Cupramarittima" ed un biglietto.
    Nei giorni successivi ho distribuito ad alcuni amici di Grottammare, S. Benedetto e altre località copie della stessa memoria.
    Il giorno 20 agosto, sempre alla Pro Loco di Cupra, ho acquistato un volume edito a Cura dell'Archeoclub nel 1985, intitolato "Cupramarittima lettura del territorio".
    Sono trascorsi ormai parecchi mesi dalla consegna del mio plico e dalla diffusione della memoria ma, pur avendo comunicato il mio indirizzo di Grottammare, non ho ancora avuto alcun cenno di risposta.
    Debbo presumere a questo punto che:
    - 1 - il plico non è stato consegnato. Per mia personale precedente esperienza ho avuto modo di riscontrare il non perfetto funzionamento dell'ufficio turistico locale e la cosa non mi sorprenderebbe;
    - 2 - oppure il plico è stato consegnato. I casi possono essere:
    a) la nota non è stata ritenuta degna di risposta e di attenzione;
    b) la risposta è tuttora in corso di preparazione perché il compilatore si deve documentare;
    c) la risposta è stata inoltrata ma non mi è pervenuta per non so quale disguido.
    Mi si conceda di soffermarmi solo sul caso 2a, perché gli altri non si prestano a particolari considerazioni. Prima di tutto tengo però a precisare che riconosco a ciascuno la libertà di valutare le situazioni ed i casi che si presentano secondo la propria ottica. Replicare o no è una scelta, non un obbligo. Quanto a me, dopo aver spulciato l'opera del Mostardi, ho ritenuto non più conveniente insistere su quel testo ma esaminare il nuovo parto librario del Club. Così do un seguito alla mia lettera aperta del 21.7.86; insisto cioè nel dimostrare quali siano i perniciosi frutti prodotti dalla mala pianta mostardiana.
    Certo la scorsa estate ... se invece di trastullarmi in attività amene avessi letto il libro a schede senza aver prima intrapreso la rilettura dell'opera base, avrei potuto fare a meno di accanirmi su tante pagine e limitarmi invece ad un ristretto nucleo. Sarebbe però così venuto meno lo scopo principale che mi ero proposto, cioè dimostrare quanto poco sia attendibile il libro del Mostardi.
    E' stato dimostrato da altri che con i "se" e i "forse" non si riesce a costruire niente ... mi esonero perciò dall'onere in questione e proseguo.
    Innanzitutto riconosco i pregi del volume: molta cura èstata dedicata alla sua realizzazione; la suddivisione dei capitoli e della materia in schede è indovinata; le illustrazioni a corredo dello scritto sono belle e così pure i disegni; l'iniziativa merita apprezzamento in quanto tenta di accomunare genti di estrazione diversa con aperture culturali calibrate, premessa indispensabile ad ogni successiva azione.
    Liquidata così la partita attiva - non è poca cosa, lo dico sinceramente - passiamo alla passiva sfogliando scheda per scheda il volume, osservando che un certo ripensamento sulla validità delle carte mostardiane deve essere intervenuto. Il che non è male. Certo non è dovuto all'opera mia.
    pag. 2.2 "La località di Cupramarittima è stata costantemente ricordata nelle antiche carte geografiche.." Il testo ricalca quanto asserito dal Mostardi. In proposito ho già fatto le mie osservazioni e non posso far altro che ribadirle.
    pag. 4.1 "Per i materiali d'importazione segnaliamo le presenze di produzioni etrusche, apule, daune, orientalizzanti (ambra, avori, bronzi, etc.)". L'ambra non proveniva dal Nord Europa?
    pag. 4.2 "Anche a Cupramarittima sulla collina San Basso non lontano dai resti di quello che probabilmente era il santuario della Dea Cupra (...)" Finalmente, con il dubbio, un po' di ragionevolezza. Però nella mappa della scheda introduttiva i dubbi sono scomparsi...! Dell'armilla si dà un significato che forse è il più vicino alla realtà.
    Tenuto conto degli scopi della pubblicazione forse è meglio così. Il sito del tempio della dea Cupra ricompare a pag. 5.1, ma il dubbio si attenua: " è stata individuata, con molta probabilità l'ubicazione del tempio della dea Cupra. "
    pag. 5.3 e altrove. Estensione dell'ager cuprensis. E' una supposizione, perché non abbiamo nulla di sicuro in proposito. Tuttavia pare ragionevole, a parte il confine con l'ager asculanus.
    pag. 5.9 Dalla nota a commento della tavola si potrebbero trarre alcuni dati per valutare l'estensione della parte di città servita da questi serbatoi. Emerge immediato il confronto con le piscine epuratorie di Fermo, le cui dimensioni sono di molto superiori.
    pag. 6.1 "I marinai di Cupra Marittima hanno contribuito in maniera determinante a diffondere il culto del Santo (Basso)." E' tutto da dimostrare, come già osservai nella precedente lettera.
    Noto che qui, come nella mappa introduttiva, ricorre un'omissione: quella delle cosiddette tombe gotiche di Grottammare, ubicate in località S. Andrea;
    pag. 7.1 Non sono riuscito ancora a rintracciare documenti che possano convalidare l'asserzione della "notevole importanza" ch'ebbe il porto di Marano, specialmente dopo la metà del sec. XVII "tanto che i suoi rapporti marittimi sono con Venezia, Adria, Chioggia, Ragusa, Sebenico, Durazzo". C'è già un ridimensionamento rispetto a quanto recitava il Mostardi, ma sono sempre curioso di conoscere i testi di riferimento. Nell'attesa mi sia permesso dubitarne, come già feci nella prima lettera, tanto più che il commercio lungo la costa picena era soprattutto di piccolo cabotaggio.
    Palazzo Sforza "fatto costruire dall'omonimo capitano nel 1444 a difesa di Marano". La fonte?
    pag. 8.1 E' tutto da contestare. La costruzione del porto di 4^ categoria non significa nulla. Risalendo al volume del Mostardi si trova il documento che recita "E' indubitato che da Ancona a Pescara, Cupra ebbe sempre a mantenere il primato della navigazione (...) Nel 1886 l'Autorità superiore, per gli effetti dell'art. 29 della legge 2 aprile 1885, n. 3095, ingiunse la formazione del consorzio per la costruzione del porto di IV Classe, ed il Consiglio analogamente vi deliberava li 7 gennaio 1887. Movimento della navigazione, quinquennio 1902/1906: arrivi e partenze di bastimenti n. 650; Tonnellaggio complessivo 26.000 (...) Cupra Marittima mantiene il primo posto nella provincia di Ascoli Piceno e, tra i paesi del litorale, da Ancona a Pescara, occupa sicuramente il terzo posto sul movimento della navigazione."
    In proposito vale la pena di riportare quanto, più o meno nella stessa epoca, si agitava a Grottammare, che non riuscì ad ottenere il porto, ed a S. Benedetto, che invece riuscì nel suo intento.
    L'Ing. D. Lo Gatto, autore della nota sul porto di S. Benedetto inserita negli "Atti della commissione per il piano regolatore dei porti d'Italia" pubblicati nel 1910, scriveva:
    "S. Benedetto del Tronto (...) è il punto di maggiore importanza fra Pescara ed Ancona, specialmente per la pesca (...) Per la pesca fan capo a S. Benedetto anche le barche di Grottammare, Cupramarittima, Porto S. Giorgio, Giulianova (...) E' quindi evidente la necessita di un ricovero marittimo a S. Benedetto che, lo ripeto, è fra Pescara ed Ancona il punto più importante della riviera per industrie marinaresche, dalle quali la popolazione ricava il sostentamento (...) Al 10 gennaio 1907, con R.D., il porto di S. Benedetto veniva iscritto tra quelli di 1^ categoria, nei riguardi della difesa militare dello Stato".
    Alcuni decenni prima l'ing. Ulisse Guarducci aveva elaborato il progetto di un porto a Grottammare: la relazione, stampata a Bologna nel 1877, porta la data dell'11.7.1865. Nel luglio del 1886 il comune di Grottammare interessò per un parere l'ing. Giovanni Cadolini che, nel 1887, si espresse in termini negativi sulla validità del progetto. Anche in questi elaborati appare che la località di Grottammare si presta a preferenza di altre alla costruzione di un porto rifugio fra Ancona e Pescara.
    Come si vede, tolte di mezzo Ancona e Pescara, tre paesetti adiacenti si contendevano sulla carta il primato portuale sulla zona di costa tra i due capisaldi. Ignoro cosa facessero gli altri paesi, ma, allora, la vicenda ebbe termine con la costruzione del porto di San Benedetto.
    Dalle brevi righe sopra riportate mi pare che risulti abbastanza evidentemente che il primato portuale vantato dal Mostardi fosse molto contestato. Inoltre, come già rilevai nella mia nota del luglio, per esprimere un giudizio bisogna sempre disporre di termini omogenei. Se si tratta di 20.000 tonn. di merci sbarcate-imbarcate, bisognerà operare i confronti con le cifre appropriate riferite alle altre località. Confermo quindi i miei dubbi sull'attendibilità dei documenti presentati dal Mostardi, sulla loro corretta presentazione e sull'uso che ne è stato fatto.
    E con ciò, a meno di eventuali repliche, per ora depongo la penna.
    Roma, 20.12.1986

    Lettera al Direttore di FLASH (non pubblicata)
    Roma, 20.07.1987
    Gentilissimo Direttore
    nel numero di giugno di Flash ho letto l'articolo "I confini storici del Piceno" di Ferdinando Castellani. In merito all'interpretazione del passo di Plinio fornita dall'autore desidero avanzare un rilievo. Purtroppo non sono a conoscenza di quanto apparso sulla stampa locale e perciò, consapevole che la materia è ancora oscura, mi auguro tuttavia che il mio intervento possa contribuire a chiarire almeno le posizioni di partenza, se altri non ha già provveduto prima di me.
    Confesso che l'adozione del volume del Lattanzi come riferimento unico mi lascia sorpreso e sconcertato, perché anche in tempi recenti non sono mancati importanti studi sull'argomento. Del passato remoto cito solo il libro sul Piceno suburbicario del tanto bistrattato (a torto o a ragione?) frate Antonio Brandimarte, esule a Loreto durante l'occupazione napoleonica, che, sia pur ispirandosi al Vogel, era riuscito a portare un certo qual ordine nella questione.
    Ordine che si viene a perdere invece nella trattazione del Castellani.
    Infatti già da tempo gli studiosi della materia "cercano" d'interpretare l'ostico passo di Plinio sul Piceno salvaguardando "il più possibile" la fedeltà al testo.
    Sottolineo cercano e il più possibile perché effettivamente la cosa non è facile.
    Dopo gli studi condotti da Nereo Alfieri è quasi unanimamente condivisa l'identificazione dei tre fiumi pliniani con l'Albula, il Tesino e l'Acquarossa, anche se non mancano opinioni variamente dissenzienti (Bonvicini, Galie').
    Alla base di questa interpretazione sta l'assunzione del Tronto quale linea di riferimento: a sud scorrono Batinum e Vomanum; a nord Albula (non Albulates), Tessuinum (non Suinum) e Helvinum. Se si opera diversamente ogni asserzione di fedeltà al testo salta completamente a favore di convincimenti del tutto soggettivi e/o compiacentemente campanilistici.
    Per quanto riguarda i fiumi - per chi conosca questi ruscelli il termine è improprio, ma è la traduzione del flumina latino - l'oscurità permane solo per l'Helvinum, posto tra il Tesino e la città romana di Cupra Maritima. Nella striscia di territorio compresa tra questi due limiti si trovano i fossi Cantalone, Cipriani, Acquarossa, S. Andrea e S. Egidio. Rimane esclusa la Menocchia perché a nord di Cupra. Il Mommsen identificò l'Acquarossa come Helvinum, soprattutto per motivi filologici: helvinum = rossastro. In tempi a noi più vicini l'Alfieri, pur non riuscendo a rintracciare probanti documenti medievali, ha autorevolmente optato per tale soluzione, in accordo con il Kiepert e il Fraccardo e seguito dalla Conta e da altri.
    Personalmente non sono d'accordo su questo particolare.
    Intanto, Helvinum può significare anche giallastro, come risulta dalla traduzione della storia di Plinio pubblicata da Einaudi e dal dizionario UTET del Battaglia. Con il che tutti questi ruscelletti sono portati sullo stesso piano cromatico.
    E poi l'Acquarossa, pur non essendo il più insignificante dei rivoli citati, non ha per contro pregi idrografici tali da prevalere sugli altri. Seguendo lo Speranza, preferisco indicare il S. Egidio come Helvinum. Prove? Nessuna, solo indizi e sensazioni, sia a favore sia contro.
    Ci sarebbe invero anche la possibilità di espungere dal testo l'Helvinum, se si desse fede ad alcuni codici che non riportano tale vocabolo. In tale modo il Tesino diverrebbe il confine meridionale del Piceno e il tempio di Cupra, ubicato a S. Martino e tanto conteso dai cuprensi a Grottammare, verrebbe compreso nella cinta urbana di Cupra Marittima. Con grande soddisfazione postuma di frate Felice Peretti di fausta memoria, che si diceva cuprense. Però prima bisognerebbe far prevalere questa variante su quella comunemente accettata, compito al quale non sono in grado di far fronte.
    Più complessa ancora si presenta l'identificazione di alcune città e dei confini tra i territori Pretuziano, Piceno e Palmense.
    I dubbi riguardano soprattutto Beregra, Novana e Cluana e la posizione di Ascoli rispetto a Fermo. Mentre per Novana e Cluana pare ormai accettata la collocazione rispettivamente presso Montedinove e Civitanova, Beregra costituisce tuttora un mistero. Riesce ancora difficile conciliare il testo con la realtà per Ascoli e Fermo, cosa che peraltro trova riscontro nella Tabula Peutingeriana.
    E i confini? L'Helvinum costituisce il limite settentrionale del Pretuzio ed il meridionale del Piceno: fino a che non sarà noto il corrispondente corso d'acqua moderno rimarrà incerto questo confine. Il confine settentrionale del Piceno non è definito, a meno che non si voglia assumere come tale l'Esino. A complicare maggiormente le cose c'è quell'ager Palmensis che dovrebbe essere contiguo al Pretuzio ma non trova felice collocazione a nord, dove l'Elvino separa il Pretuzio dal Piceno, né a sud, dove il Vomano sembra delimitare il Pretuzio dall'agro Adriano. In mancanza d'indicazioni per il confine occidentale non si possono avanzare illazioni in merito. L'unico confine certo rimane perciò, e davvero non è un gran risultato, quello orientale.
    Grato per l'attenzione e per l'eventuale ospitalità sulle colonne della Sua rivista, La saluto cordialmente.
    Alberto SILVESTRO

    Alla ricerca del tempio perduto
    Ho voluto dare un tono provocatorio, in chiave vagamente proustiana, al titolo di questa cicalata, nel tentativo di combattere la tendenza di appropriarsi di cose del passato di proprietà incerta, manifestata da alcuni gruppi culturali.
    Fino al XVIII sec. circa, la localizzazione del tempio della massima divinità picena era comunemente accettata: a S. Martino vicino al Tesino, in territorio di Grottammare.
    L'abate Colucci fu tra i primi ad avanzare dubbi in proposito ed a spostare l'ubicazione del sacrario circa quattro km. a nord. L'abate Polidori cercò di difendere a denti stretti i diritti e l'onore di Grottammare, ma con scarso successo perché, da allora, la schiera dei sostenitori postumi del Colucci si è infoltita, quella dei "polidoriani" si è svigorita e ora, grazie all'attività svolta dall'archeoclub cuprense ed all'inattività dei grottammaresi in questo settore, è ormai quasi universalmente accettata la identificazione di alcuni ruderi sul colle di S. Basso come avanzi del tempio di Cupra.
    Effettivamente, quando in una bella giornata limpida, con il sole che dà vigore e risalto a tutto il creato, se si sale sul quel colle e ci si guarda dattorno, vien quasi il capogiro. Effetto della suggestione del panorama o dei ricordi di temi classici: chissà? Sorge però spontanea una domanda: Dobbiamo proprio crederci?
    Non sono un archeologo, non sono uno storico, non sono uno specialista della materia, ma non sono affetto da esprit de cloche. Ciò premesso rispondo: NO. E mi spiego.
    Sulle rovine di Cupra romana si sono moltiplicate le pagine scritte, ma, eccetto qualche edificio di minor conto, il grosso dei ruderi è ancora sotterra. Invece statue, corredi tombali ed altri oggetti "trasportabili" finora affiorati sono dispersi in vari musei pubblici e collezioni private.
    La lapide Adrianea collocata nella chiesa di San Martino, dato che finora nulla è emerso che possa permetterci di individuare il sito esatto del maggior centro di culto del Piceno, potrebbe essere considerata una prova decisiva. Ma visto che il testo è oltremodo chiaro e pertanto risulta oltremodo inopportuno, sono stati avanzati dubbi sulla provenienza della pietra e sono ormai in tanti a dubitare che essa abbia rivisto la luce proprio lì dove si trova adesso.
    Tra questi, Patrizia Fortini, che ha scovato a Ripatransone un documento del XVIII sec., secondo lei probante, da cui risulterebbe che la lapide è stata asportata da Cupra Marittima. Non vorrei fare il Polidori di turno, ma ciò che per lei è sicuro, per me è altrettanto opinabile e discutibile, trattandosi di una testimonianza anonima, isolata e non contemporanea all'epoca in cui sarebbe avvenuto il furto.
    Non è questa la sede più opportuna per esaminare in dettaglio le tesi dei diversi autori a sostegno di un paese o dell'altro.
    Non dimentichiamo però che in epoca precristiana molto spesso il luogo sacro era anche asilo per viaggiatori e pellegrini e tale rimase anche in epoca cristiana.
    Ai tempi dei Piceni e dei Romani la spiaggia tra il Tesino e la Menocchia sembra fosse una sottile lingua. I traffici via mare facevano capo presso le foci dei fiumi. In terra ferma le strade e i sentieri affrontavano spesso, ma solo se necessario, pendenze che a noi paiono eccessive.
    Certamente, i dislivelli rappresentavano un sensibile impedimento per i mezzi di locomozione e gli uomini dell'epoca.
    Confrontando la posizione di S. Martino, vicino al Tesino su una dolce prominenza non molto elevata e quella di S. Basso, non tanto prossima alla Menocchia e su una collina più alta e meno accessibile dell'altra, sia pur ragionando con il senno di adesso, la scelta del posto su cui edificare un tempio, asilo di sacerdoti e pellegrini, cadrebbe su S. Martino. Tanto più che i cristiani, sfruttatori di tutte le costruzioni sacre pagane, ne hanno approfittato per erigerci la solita chiesa.
    Si può avanzare un'altra supposizione, criticabile anche sotto l'aspetto etimologico: in territorio di Monteprandone esiste la località Cupresia o Copresa, che potrebbe far supporre l'esistenza di un luogo di culto della Dea Cupra.
    Che molto probabilmente esisteva anche a Cupramontana. Come, senza dubbio, in altri luoghi del Piceno. Senza abbandonarci in pieno all'ipotesi dell'unicità del tempio, interroghiamoci sulla preminenza di uno di essi nei confronti degli altri.
    I versi di Silio Italico tanto spesso invocati, che parlano di fuochi sugli altari lungo la costa, non potrebbero essere interpretati anche in senso meno rigido di quanto non si usi? Anziché ad un unico tempio, potrebbero essere riferiti a tutti i templi piceni? Che poi uno di questi fosse il più importante e il più venerato ciascuno è padrone di crederlo. Per me, non siamo in grado di affermarlo o negarlo con sufficiente attendibilità: forse Cupra Montana o Marittima o Grottammare, a preferenza di altri paesi piceni, hanno ospitato le are più esclusive della Dea. Ma chi può fornirne le prove?
    E visto che ci sono, oso anche dubitare che, se venissero bandite campagne archeologiche in entrambi i paesi contendenti, possano emergere testimonianze "inoppugnabili" per assegnare la palma ad uno dei due: per me, il tempio è ormai perduto.
    Mi auguro però che lo stesso non succeda per il tempo speso a parlarne.

    NOTE
    1 Esigenza più sentita da quando dette lettere sono state citate nell'articolo di A. SILVESTRO - S. SILVESTRO, Lo zuccherificio di Grottammare, 1846-1852, Proposte e Ricerche, nr. 24, inverno/primavera 1990. Riporto alcune pagine di portolani, una cartina e la copia di una lettera inviata a Flash e non pubblicata. Mi astengo di apporre note alle lettere.
    2 Ciò vale tanto più quando ci s'imbatte in pubblicazioni farcite di pubblicità, come Gente Viaggi, L'Italia vista dal mare, Guida al turismo nautico, Milano 1987, per le pagine dedicate alle Marche (Grottammare e Cupramarittima non vi compaiono).
    3 A. e S. SILVESTRO stanno conducendo una ricerca sui consolati esteri nelle Marche dell'800.
    4 V. ad esempio in un altro campo: P. LAUREATI, Turismo, in G. NEPI, a c. di, S. Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno 1989, p. 482 e V. M. PROSPERI, "San Benedetto del Tronto, Storia, arte e personaggi", Flash, Ascoli Piceno, a XI, nr. 142, gennaio 1990. Si tratta evidentemente di un infortunio, che però va segnalato: BR> l'attribuzione della priorità nella costituzione dell'Azienda di Soggiorno, Cura e Turismo nelle Marche. Al momento del riconoscimento conferito a San Benedetto, con D.M. 30.06.1928, Porto San Giorgio l'aveva già conseguito con D.M. 28.10.1927 pubblicato sulla G.U., 5 gen 1928, nr. 4. v. in proposito anche C. d'ALTIDONA, Porto San Giorgio, Visite ai dintorni, 1929. Purtroppo in questi casi s'innesca un processo a catena di ripetizione del primo errore.


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