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      Nell'aprile del 1999 è entrata in vigore, dopo un lungo e complesso iter 
      parlamentare, una nuova legge sui trapianti (la legge n. 91). Essa prevede 
      altresì - proprio con riguardo all'aspetto che maggiormente la 
      caratterizza, vale a dire quello concernente la dichiarazione di volontà 
      in ordine alla donazione - una fase transitoria dalla quale in realtà non 
      solo non siamo ancora usciti, ma che anzi con il passare del tempo ha 
      assunto sempre più una sua propria fisionomia, finendo quasi de facto per 
      sostituirsi alla legge medesima.
Vorrei articolare questa mia 
      conversazione in tre punti.
Anzitutto intendo richiamare l'attenzione 
      sulla novità introdotta dalla recente legge; mi concentrerò poi sul modo 
      in cui, in conformità ad essa, si sarebbe dovuto provvedere ad informare 
      l'intera cittadinanza e come ciò sia concretamente avvenuto. Cercherò, 
      infine, di illustrare le caratteristiche della fase transitoria che è 
      quella - a tre anni di distanza dalla promulgazione della legge - tuttora 
      vigente.
1 - Tra gli aspetti più innovativi della recente 
      legge sui trapianti vi è sicuramente l'introduzione del silenzio-assenso 
      per quel che attiene la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione 
      degli organi. Un tale criterio va a sostituire quello previsto dalla legge 
      precedente sui trapianti (del 1975), che si basava sul consenso presunto, 
      combinato tuttavia con la facoltà di opposizione dei più prossimi 
      congiunti.
L'adozione del nuovo criterio comporterà che il cittadino, 
      il quale debitamente informato della necessità di esprimersi riguardo alla 
      donazione post rnortem dei suoi organi (tramite comunicazione a lui 
      notificata a cura dell'Azienda sanitaria locale competente per il 
      territorio) non abbia espresso la propria posizione (né di assenso, né di 
      dissenso) entro novanta giorni dall'anzidetta notifica, sarà 
      automaticamente considerato donatore (artt. 4 e 5).
Anche se 
      allo stato attuale la questione può apparire squisitamente teorica, dal 
      momento che sino ad oggi nessuno ha ricevuto la notifica, vale la pena 
      avanzare qualche riserva sul criterio adottato dal 
      legislatore.
Cominciamo da una osservazione di natura generale. Il 
      meccanismo del silenzio-assenso è tutt'altro che estraneo all'esperienza 
      giuridica: lo si ritrova tanto nel codice civile quanto nella pubblica 
      amministrazione. Nel primo caso è comunque evidente che le conseguenze del 
      silenzio vadano a favore di colui che tace: ciò che si persegue 
      automaticamente è il suo vantaggio. Con riferimento ai trapianti, invece, 
      ad essere beneficiato non è il soggetto stesso, ma terzi a lui estranei. 
      Nel secondo caso esso risponde a precise esigenze acceleratorie dei 
      procedimenti cui viene applicato. Ben altro valore ha tuttavia il 
      presumere la volontà amministrativa di un ente (la P.A.), in modo 
      da avviare alla sua ben nota inerzia, e il presumere la volontà di una 
      persona sul proprio corpo. Insomma, la trasposizione del criterio del 
      silenzio-assenso alla donazione degli organi non trova corrispondenza né 
      nelle esigenze di tempestività operativa per cui è stato introdotto nella 
      pubblica amministrazione, né nei casi esplicitamente previsti dal codice 
      civile.
Nondimeno resta da chiedersi perché esso non possa pure essere 
      esteso alla donazione degli organi. Il motivo per cui è stato introdotto 
      anche in questa materia è evidente: si è pensato di ovviare alla scarsità 
      di organi disponibili. Ammesso (ma non concesso) che si possa raggiungere 
      l'obiettivo sperato dobbiamo chiederci se sia eticamente e giuridicamente 
      lecito raggiungerlo in tal modo.
Vorrei qui avanzare due obiezioni di 
      principio: la prima riguarda la completa esautorazione della famiglia 
      rispetto al destino dei cadaveri dei propri congiunti; la seconda la 
      legittimità etica e giuridica del silenzio-assenso in quanto tale (nella 
      fattispecie a cui è stato recentemente applicato). Consideriamo anzitutto 
      il primo aspetto. Un cadavere (non discuto qui se il criterio della morte 
      cerebrale totale sia sufficiente a definire morta una persona perché 
      l'argomento richiederebbe una trattazione apposita) è il corpo di un uomo 
      ormai privo di vita, che in un certo lasso di tempo andrà in putrefazione: 
      anche se sicuramente quel corpo privo di vita non è più una persona, è 
      comunque la spoglia mortale di quella determinata persona e non di 
      un'altra. Per questa ragione credo che persino la salma in sé, in quanto 
      resta pur sempre la proiezione oltre la vita della persona che è stata, 
      abbia diritto ad un atteggiamento di rispetto. Quello che voglio dire è 
      che non solo le persone, ma anche i cadaveri hanno una loro 
      dignità.
Non intendo tuttavia insistere in questa sede su questo punto. 
      Anche qualora non volessimo spingerci a tanto, dovremmo perlomeno 
      ammettere che un atteggiamento di rispetto verso la salma sia deducibile 
      dal valore affettivo di cui è portatrice. Il rispetto nei confronti del 
      cadavere scaturisce dal ricordo che esso porta con sé di ciò che è stato 
      vivo. Ma questo ricordo non è del defunto che essendo morto, ovviamente, 
      non può ricordare nulla; bensì anzitutto di coloro che hanno condiviso con 
      lui la sua vita e ora sentono la sua mancanza. Il morto è oggetto della 
      memoria dei suoi famigliari ed è circondato dal loro affetto e dalla loro 
      pietà. Con lui in fondo se ne va anche una parte di loro.
A questa 
      riflessione prettamente etica vorrei aggiungerne una giuridica: questo 
      sentimento di pietà verso i defunti trova una propria tutela penalistica 
      in alcuni articoli del codice (artt. 407 e ss.) espressamente 
      dedicati ai "delitti contro la pietà dei defunti". Si potrebbe 
      replicare che tali articoli hanno perso di importanza in una società 
      sempre più secolarizzata, e magari sottolineare che non è compito del 
      diritto tutelare tali sentimenti. Al riguardo bisogna tuttavia osservare 
      che nel modo di trattare i morti onorandone la memoria e facendosi 
      interpreti delle loro ultime volontà entra in gioco qualcosa che gli 
      uomini (da vivi) sentono il bisogno di doversi reciprocamente riconoscere: 
      il fatto di essere certi che saranno trattati nel rispetto della loro 
      identità anche quando non ci saranno più.
Beninteso, non intendo 
      affatto sostenere che il trapianto di organi di per sé sia lesivo della 
      pietà dei defunti, o di questo sentimento di autostima che ciascuno ha, ma 
      è certo che se esso viene effettuato (come nel caso previsto dalla legge) 
      senza alcun riconoscimento del coinvolgimento sentimentale dei famigliari 
      viola non solo il loro diritto ad una adeguata elaborazione del lutto, ma 
      anche quello a farsi interpreti della volontà del defunto, qualora questi 
      non l'abbia manifestata.
Ma - a prescindere dai famigliari - non si 
      violano anche i diritti del defunto nel momento in cui si prelevano i suoi 
      organi senza un suo esplicito consenso? Passo così a considerare la 
      seconda obiezione. Sotto il profilo etico viene subito da chiedersi che 
      tipo di donazione sia quella che viene compiuta senza neppure sapere di 
      compierla. L'ultimo grande tabù collettivo, la morte e il morto, poteva 
      essere rimosso soltanto compensando l'atto della violenza estrema sul 
      corpo con il gesto più puro: quello del dono. L'etica del dono fa leva sui 
      sentimenti più nobili e disinteressati dell'animo umano, ma come può 
      conciliarsi con una asettica presunzione di legge? In linea di principio 
      ci viene richiesto di compiere una scelta consapevole come è quella di 
      donare gli organi, di fatto ci si accontenta di un silenzio che tutto può 
      esprimere tranne che la consapevolezza ditale scelta.
Due sono gli 
      aspetti che mi paiono più problematici. Non possono qui che 
      accennarvi.
(a)- Sino a poco tempo fa l'etica e il diritto 
      moderni si sono occupati prevalentemente della condizione umana tra due 
      estremi ben definiti: la nascita e la morte. Gli enormi sviluppi 
      tecnologici e scientifici applicati alla medicina tuttavia ci hanno posto 
      (e lo faranno sempre più) di fronte ad una situazione radicalmente nuova: 
      procreazione artificiale (all'inizio) e prolungamento artificiale (alla 
      fine) non possono non richiamare l'attenzione sulla tutela della persona 
      sia prima della sua nascita che dopo quella che oggi, per legge, viene 
      ritenuta la sua morte. E come esiste una tutela della vita prenatale (per 
      quanto in stretta relazione agli interessi della madre e comunque con dei 
      limiti legali per l'interruzione della gravidanza) non si vede perché non 
      potrebbe pure esistere una tutela della "vita" - mi si conceda il 
      paradosso - postmortale (magari anche in relazione ai sentimenti dei 
      congiunti). Ad una personalità in via di sviluppo nel nascituro 
      corrisponderebbe in tal modo una personalità in via di estinzione nel 
      defunto. L'alone di protezione che l'etica e il diritto moderni hanno 
      garantito alla persona dovrebbe così estendersi a tutelarla tanto al di 
      qua della nascita quanto, almeno per un certo tempo, al di là della 
      morte.
Tutto ciò non intende affatto mettere in discussione la liceità 
      dei trapianti, ma soltanto sottolineare che i cadaveri non sono puramente 
      e semplicemente cose con le quali si può fare quel che si vuole (da questo 
      punto di vista è significativo che venga penalmente punita ogni forma di 
      commercializzazione del cadavere). Una scelta libera e responsabile di 
      donare gli organi post mortem e sicuramente di alto valore morale, ma 
      quando si vuole perseguire tale obiettivo aggirando l'ostacolo della 
      decisione personale è proprio come se quell'alone di protezione 
      scomparisse.
(b)- Queste considerazioni possono sembrare 
      troppo filosofiche: benché io non creda che sia così vorrei offrirvi un 
      secondo spunto di riflessione che attiene più propriamente la sfera 
      giuridica. Mi chiedo: non lede, forse, il criterio del silenzio-assenso un 
      diritto fondamentale dei cittadini, e cioè la libertà di opinione? A prima 
      vista si può rimanere sconcertati rispetto a questo interrogativo: la 
      legge infatti riconosce il diritto a manifestare una opinione dissenziente 
      rispetto al prelievo, non si vede quindi come possa ledere quel diritto. 
      La legge tuttavia considera, con il silenzio-assenso, la mancata 
      opposizione al prelievo equivalente alla donazione. Ora, il fatto che un 
      soggetto non si sia espresso in un modo o nell'altro non comporta 
      necessariamente che sia favorevole. Quando il silenzio viene equiparato 
      all'assenso, ciò che viene leso è proprio il diritto a che il silenzio 
      venga considerato per quello che è: un modo di esprimere la propria 
      opinione permanendo nel dubbio.
Su una questione così personale e 
      delicata dovrebbe essere rispettata la non-scelta di chi indeciso, permane 
      nel dubbio. Stabilire invece a suo carico una decisione che egli non si è 
      sentito di prendere potrebbe configurarsi come una indebita interferenza 
      nella sua sfera privata. Il bene della società non può soverchiare il 
      diritto al rispetto del silenzio dell'individuo. La solidarietà è certo 
      lodevole, il dare più nobile del prendere, ma quando non è più volontaria, 
      bensì sembra quasi carpita con l'inganno, allora dobbiamo seriamente 
      chiederci se in questo modo essa medesima non venga snaturata.
Coloro 
      che si richiamano alla nostra Costituzione per sottolineare i doveri di 
      solidarietà a cui in essa si fa riferimento (art. 2) dimenticano 
      che il suo spirito verrebbe completamente stravolto se tra tali doveri si 
      dovesse anche includere quello di donare ciò che è più proprio di noi 
      stessi, vale a dire il nostro corpo. La costituzione, che è anche un mezzo 
      di difesa del cittadino contro lo Stato, si trasformerebbe pericolosamente 
      in uno strumento che può essere utilizzato contro (la parte più intima) di 
      lui. Il senso di una costituzione liberale, tipica di uno Stato di 
      diritto, verrebbe a modificarsi sostanzialmente e forte sarebbe il rischio 
      di uno scivolamento in senso autoritario-paternalistico.
Tiriamo una 
      prima conclusione: in quella che è stata definita l"'età dei diritti" 
      si pretende con il silenzio-assenso di introdurre un nuovo 
      elemento di doverosità all' interno dell'ordinamento statale, togliendo 
      spazio vitale al dubbio su un problema che riguarda la sfera più intima e 
      privata di noi tutti. In un'epoca in cui inoltre assistiamo ad un ritorno 
      dei valori della famiglia la nuova legge sul prelievo di organi da 
      cadavere la esautora del tutto in un ambito in cui è direttamente 
      coinvolta. Era proprio necessario imboccare questa 
      strada?
2- Bisogna tuttavia a questo punto precisare un 
      aspetto che almeno nel testo della legge acquista un notevole rilievo. 
      Eliminando la possibilità dell'opposizione dei congiunti, e mantenendo al 
      contempo un sistema in cui non è indispensabile l'espresso consenso 
      dell'interessato, il legislatore ha sentito la necessità di introdurre a 
      garanzia del cittadino un elemento di controbilanciamento. L'equiparazione 
      del silenzio all'assenso doveva, come dire, essere legittimato da un'ampia 
      e al contempo capillare opera di sensibilizzazione tale da consentire 
      effettivamente a ciascun cittadino di compiere una scelta consapevole: 
      informarsi per scegliere, ma anche eventualmente per acconsentire tacendo. 
      Quest'ultima conclusione solleva subito qualche perplessità anche con 
      specifico riguardo al problema dell'informazione.
Nell'ambito del 
      trattamento sanitario, come è noto, ha sempre più acquisito rilievo il 
      cosiddetto "consenso informato". Questo comporta che il paziente sia 
      direttamente coinvolto nelle scelte che lo riguardano: è ormai un suo 
      acquisito diritto, quando ciò non costituisca un pericolo per la 
      collettività, quello di consentire o dissentire dalle cure mediche. In 
      questo senso tuttavia il consenso riguarda scelte che devono essere prese 
      nel presente e non nel futuro. Orbene, il consenso al prelievo post mortem 
      apre, a livello di diritto positivo, una nuova prospettiva: quella, che 
      nel linguaggio tecnico viene usualmente definita, delle "direttive 
      anticipate"; ma lo fa in un modo che lascia alquanto perplessi: al posto 
      del consenso informato ci presenta il silenzio informato. Insomma, per 
      farmi togliere un dente c'è bisogno del mio esplicito consenso, per 
      prelevarmi polmoni, reni, cuore e quant'altro è sufficiente il mio 
      silenzio. Certo, nel primo caso io sono vivo, nel secondo è stata 
      accertata la morte cerebrale, e tuttavia - si dovrà pure ammetterlo - la 
      soluzione del silenzio (equiparabile all'assenso) stride in un contesto 
      complessivo in cui il consenso informato è diventato sempre più 
      l'autentico protagonista.
Ma vediamo un po' più da vicino cosa prevede 
      la legge riguardo all'informazione. Essa affida al Ministero della Sanità 
      il compito di promuovere «nel rispetto di una libera e consapevole scelta, 
      iniziative di informazione dirette a diffondere tra i 
      cittadini:
a) la conoscenza delle disposizioni della presente 
      legge [...];
b) la conoscenza di stili di vita utili à prevenire 
      l'insorgenza di patologie che possano richiedere come terapia anche il 
      trapianto di organi; 
c) la conoscenza delle possibilità 
      terapeutiche e delle problematiche scientifiche collegate al trapianto di 
      organi e tessuti» (art. 2, comma 10). 
Dal canto loro le Regioni e le 
      Aziende Sanitarie Locali sono chiamate ad adottare iniziative volte 
      a:
“a) diffondere tra i medici [...] la conoscenza delle 
      disposizioni della presente legge [...];
b) diffondere tra i 
      cittadini una corretta informazione sui trapianti [...];
c) 
      promuovere sul territorio di competenza l'educazione sanitaria e la 
      crescita culturale in materia di prevenzione primaria, di terapie 
      tradizionali e alternative ai trapianti» (art. 2, comma 
      2°).
Il comma 3° dello stesso articolo autorizza altresì una 
      pesa complessiva di due miliardi di lire annui per l'attuazione di questo 
      vasto programma di informazione.
L'idea che guida il legislatore è 
      dunque quella di offrire, tramite diverse istituzioni - centrali e locali 
      - la massima diffusione alla legge in oggetto. E' significativo che si 
      insista sulla necessità di portare a conoscenza dei cittadini non solo la 
      legge, ma altresì le problematiche scientifiche connesse ai trapianti e 
      che si faccia anche riferimento a finalità preventive. Va ribadito come la 
      prevista campagna informativa non si configuri come una mera opportunità, 
      bensì come un atto dovuto.
Passiamo ora ad analizzare concretamente 
      come è stata effettuata tale opera di informazione. Dall'entrata in vigore 
      della legge qualcosa a livello nazionale ha cominciato a muoversi nel 
      maggio del 2000 quando una buona parte di italiani si è vista recapitare, 
      assieme ai certificati elettorali per i referendum del 21 maggio, anche 
      una bustina del Ministro della Sanità contenente un tesserino per la 
      donazione degli organi.
L'attività a livello regionale andrebbe 
      sottoposta ad una valutazione differenziata e qui debbo riconoscere che la 
      Regione Piemonte è stata la prima e tuttora una delle poche a realizzare 
      un opuscoletto, in formato tascabile, funzionale a presentare con un 
      linguaggio accessibile le problematiche dei trapianti12. Di specifiche 
      attività intraprese dalle Aziende (Unità) Sanitarie Locali non sono invece 
      a conoscenza.
Concentriamo pertanto la nostra attenzione sulla bustina 
      del Ministro. Intitolata «Una scelta consapevole» è aperta da un breve 
      messaggio in cui l'ex-Ministro della Sanità, Rosy Bindi, invita ciascun 
      cittadino ad esprimersi in merito alla propria disponibilità a donare e a 
      tal fine include l'apposito tesserino. Alcune scarne informazioni, in 
      forma di risposta a tre domande, sono posposte, in corpo minore, al 
      tesserino da compilare. Parrebbe quasi che il cittadino sia chiamato prima 
      a decidere sulla base della lettura del messaggio del Ministro e poi, se 
      vuol «saperne di più», ad informarsi. E in questo messaggio la 
      Bindi utilizza tutti i ben noti argomenti retorici sulla donazione, senza 
      fornire alcuna informazione in merito: un esempio da manuale di 
      manipolazione del consenso. Di più, se si leggono attentamente quelle 
      righe ci si può rendere conto dell'opera di disinformazione che viene 
      fatta. Il Ministro scrivendo «se Lei non avrà deciso potranno farlo i 
      Suoi familiari», suscita nel lettore l'impressione che la nuova legge 
      consenta ancora il riferimento ai famigliari, quando invece ciò vale solo 
      per la fase transitoria prevista dalla legge medesima, ma non per la 
      disciplina definitiva che li esautora completamente. Illustrando la nuova 
      normativa (espressamente dice di riferirsi alla «nuova legge sui 
      trapianti») il Ministro induce a credere definitivo ciò che invece - 
      per la legge - è meramente transitorio. Va inoltre aggiunto che il 
      Ministro non specifica in quale modo i famigliari - nella fase transitoria 
      -potranno eventualmente manifestare la loro opposizione. Il punto è 
      tutt'altro che irrilevante, dal momento che la nuova legge modifica al 
      riguardo quella precedente, indebolendo - già nella fase transitoria - il 
      potere di intervento dei famigliari.
Tutt'altro che sufficienti 
      sono altresì le informazioni articolate in tre punti, che seguono il 
      tesserino.
Il primo punto riguarda la dichiarazione di 
      volontà, che può essere fatta appunto tramite il tesserino e modificata 
      «in ogni momento» compilandone un altro. Si può altresì esprimere la 
      propria volontà presso la ASL di appartenenza o al medico di famiglia. E 
      questo è tutto. Se noi prendiamo in considerazione il testo della legge ci 
      accorgiamo però subito che esso prevede un meccanismo del tutto diverso, e 
      cioè l'istituzione di un sistema informatizzato che una volta attivato 
      dovrebbe consentire immediatamente di venire a conoscenza delle 
      dichiarazioni di volontà tramite consultazione dei dati dell'«archivio 
      nazionale». Invece di informare i cittadini che la legge riguardo alla 
      manifestazione della volontà introduce il silenzio-assenso (per cui chi 
      non sarà registrato nell'archivio come non donatore verrà automaticamente 
      considerato donatore), il Ministro, con l'invio del tesserino, se ne esce 
      con un nuovo sistema di raccolta delle dichiarazioni di volontà di cui non 
      si trova alcuna traccia nella legge approvata. Mentre la legge prevede che 
      le Aziende Sanitarie Locali notifichino ai loro assistiti, secondo 
      modalità che proprio il Ministro doveva stabilire, la richiesta di 
      dichiarare la loro volontà in ordine alle donazioni, il Ministro invita i 
      cittadini a compilare il tesserino oppure a recarsi presso le ASL a 
      dichiarare le loro volontà. Dunque, per lo meno nell'immediato, tocca agli 
      assistiti attivarsi e non più alle ASL.
Il secondo punto 
      concerne il problema di quando si procede al prelievo degli organi. Va 
      sottolineato che tra i compiti attribuiti dal legislatore (cfr. art. 2, 
      comma l°, lett. a) al Ministro della Sanità rientrava non solo quello 
      di far conoscere la nuova legge sui trapianti, ma anche quella precedente 
      sull'accertamento della morte. Insomma, su questo punto particolarmente 
      delicato, l'informazione doveva essere il più possibile chiara e precisa. 
      L'informazione fornita è invece per un verso scorretta, per l'altro 
      reticente. L'informazione non è corretta perché pare suggerire l'idea che 
      la morte cerebrale equivalga alla morte delle cellule cerebrali (si 
      afferma che «il cervello non funziona più e non potrà mai più funzionare a 
      causa della completa distruzione delle cellule cerebrali»). La definizione 
      di morte presupposta dalla legge è tuttavia diversa: essa fa propria 
      quella della legge precedente sull'accertamento di morte (la n. 578 del 
      1993)16 in cui la morte viene definita come «la cessazione irreversibile 
      di tutte le funzioni dell'encefalo», il che non esclude - se male non mi 
      appongo - l'attività residua di alcune cellule cerebrali. Insomma, la 
      morte cerebrale non è la morte cellulare.
L'informazione è 
      reticente perché, con tono rassicurante, si sottolinea che il prelievo 
      avviene soltanto dopo la morte del cervello, ma non si dice che esso 
      avviene - come di fatto succede - prima che il cuore abbia cessato di 
      battere. Ciò che non viene detto è che l'organismo viene conservato in una 
      sorta di “vita simulata” al solo scopo di mantenere in una condizione 
      ottimale gli organi da espiantare. La respirazione artificiale consente al 
      polmone di continuare la sua funzione, il polmone che respira fa battere 
      il cuore, il cuore che batte fa circolare il sangue, il sangue che circola 
      mantiene vitali gli organi. Con tutto ciò quell'individuo viene definito, 
      per legge, morto e quindi si può procedere al prelievo dei suoi organi. 
      Non voglio certo qui riaprire la discussione su questo nodo cruciale. 
      Un'informazione obiettiva avrebbe però dovuto quantomeno segnalare il 
      problema: si è preferito invece nasconderlo, mostrando al lettore 
      l'assoluta certezza scientifica della definizione di morte cerebrale (tra 
      l'altro presentata confusamente).
Il terzo punto, infine, 
      riguarda il problema dell'illiceità della compravendita degli organi e 
      della donazione anonima. Un'adeguata informazione avrebbe dovuto spiegare 
      perché si è optato tout court per un sistema di allocazione diverso dal 
      mercato, perché cioè si è ritenuta inammissibile la commercializzazione 
      degli organi. Vi sono senza dubbio delle buone ragioni per questa opzione 
      di fondo, ma andavano spiegate, perlomeno accennate, dal momento che nel 
      dibattito bioetico vi sono autori che sostengono la posizione 
      opposta.
Un discorso diverso meriterebbe l'anonimato. Anzitutto non è 
      vero che la donazione è sempre anonima. Il prelievo del rene da vivente è 
      ammesso dalla legge in prima istanza proprio sulla base di vincoli 
      parentali sussistenti tra il donatore e il beneficiario. Certo, il 
      prelievo da cadavere presenta altri problemi, non si può tuttavia negare 
      che negli ultimi anni si siano verificati fatti drammatici di cronaca in 
      cui proprio la diffusione data dalla stampa alle relazioni venutesi a 
      creare tra i famigliari del defunto donatore e i beneficiari (e i loro 
      congiunti) degli organi ha contribuito ad incrementare il numero delle 
      donazioni. E' significativo osservare come la legge preveda sanzioni per 
      chi fa commercio di organi (art. 22), nulla invece prevede per quel che 
      riguarda l'anonimato, pur ribadendo l'obbligo di garantirlo (art. 18)211. 
      Vi è un altro aspetto che non mi pare sia stato adeguatamente considerato: 
      da un punto di vista laico è lecito chiedersi se il gesto di solidarietà 
      che ci viene chiesto possa spingersi sino al punto di donare i nostri 
      organi a persone che magari disprezziamo.
Tiriamo le somme: le 
      informazioni contenute nella busta sono riguardo al primo punto scorrette, 
      riguardo al secondo quantomeno confuse, riguardo al terzo carenti e 
      comunque complessivamente insufficienti per poter consentire al cittadino 
      di operare «una scelta consapevole».
Due sono le cose che 
      più sconcertano nell'operato del Ministro.
La prima è che la 
      legge gli attribuiva il compito (art. 5) di disciplinare con un 
      apposito decreto attuativo le disposizioni sulla dichiarazione di volontà. 
      Al posto di emanare tale decreto il Ministro ha provveduto a recapitare il 
      tesserino di cui nella legge non si faceva alcuna menzione.
La 
      seconda è che la legge prevede che proprio il Ministro della Sanità 
      promuova una «campagna straordinaria di informazione sui trapianti» 
      (art. 23).
Si è invece proceduto in senso contrario:
oggi 
      il tesserino, domani l'informazione.
3- Dal momento che 
      i meccanismi attuativi della nuova legge sono rimasti sinora in gran parte 
      lettera morta, conviene soffermarsi sulla fase transitoria prevista dalla 
      legge medesima: qual è la situazione attuale riguardo al nodo cruciale 
      della dichiarazione di volontà?
A prima vista l'impressione è che nulla 
      sia cambiato rispetto alla legge precedente, poiché nella fase transitoria 
      (art. 23) viene ancora concesso ai famigliari di opporsi 
      all'espianto. Vi sono tuttavia tre differenze che sono di tutt'altro che 
      scarso rilievo.
In primo luogo, il dovere dei sanitari di 
      promuovere l'intervento dei famigliari è stato indebolito. Mentre per la 
      vecchia legge (ex art. 6) i sanitari responsabili dell'operazione 
      di prelievo prima di procedere all'espianto dovevano rivolgersi ai 
      famigliari con una «formale proposta», nella nuova legge si dice, molto 
      più genericamente, che essi sono tenuti ad informare (art. 3) i 
      famigliari riguardo alla possibilità dell'espianto e tocca a questi ultimi 
      attivarsi «entro il termine corrispondente al periodo di osservazione ai 
      finì dell'accertamento della morte» per presentare l'opposizione scritta 
      (art. 23). E' vero che formalmente non è mutato il criterio 
      temporale; ma, si noti, il periodo di osservazione nel 1975 era di dodici 
      ore, mentre nella nuova legge esso è stato dimezzato. Dunque i margini di 
      intervento per i famigliari, per presentare la loro eventuale opposizione, 
      sono molto più ristretti.
In secondo luogo è stato ridotto, 
      anche da un punto di vista sostanziale, il potere di opposizione dei 
      famigliari. Stando infatti alla lettera della legge precedente 
      l'opposizione di questi ultimi poteva vanificare persino la volontà di 
      donare espressa in vitam dal loro congiunto. Tale potere di opposizione è 
      stato esplicitamente escluso dal legislatore già nella fase 
      transitoria.
In terzo luogo è stata estesa la possibilità 
      dell'intervento oppositivo ad altri soggetti: il convivente more uxorio e 
      il rappresentante legale dell'incapace. Sotto questo profilo la disciplina 
      transitoria procede in senso contrario rispetto a quella definitiva 
      aumentando i soggetti che possono opporsi. Da quanto detto si può dunque 
      concludere che la fase di transizione è certo ancora in linea con la 
      vecchia normativa, presenta tuttavia delle variazioni che sono persino tra 
      loro contraddittorie: da un lato si cerca già di ridurre il potere di 
      opposizione dei congiunti, dall'altro si ampliano i soggetti legittimati 
      ad esercitarlo.
Da ultimo, ma non ultimo per importanza, sia qui 
      ricordato che - con riguardo alla dichiarazione di volontà - manca 
      completamente una tutela penale per la fase transitoria.
Il risultato è 
      che attualmente in Italia vige, per quel che attiene la dichiarazione di 
      volontà in ordine ai trapianti, un criterio ibrido tra il silenzio-assenso 
      informato previsto dalla nuova legge e il consenso presunto previsto da 
      quella vecchia. Per soddisfare compiutamente il primo criterio (eliminando 
      il ricorso ai famigliari) ci doveva essere una corretta informazione (come 
      disposto dalla legge), che sinora non c'è stata, anche se il cittadino è 
      già stato interpellato per iniziativa ministeriale, con l'invio di un 
      tesserino. Seguendo il secondo criterio, che contempla il ricorso ai 
      famigliari, allo Stato non spetta alcuna iniziativa istituzionale, il 
      cittadino invece è stato nel frattempo interpellato mediante il tesserino. 
      Manca un'adeguata informazione per avere il silenzio-assenso informato, 
      anche se siamo già stati chiamati ad esprimerci e quindi non si può più 
      parlare semplicemente di consenso presunto.
Ma come spiega l’invio 
      del tesserino? Come ha fatto il Ministro a legittimarlo, non essendo in 
      alcun modo previsto dalla legge?
A ben vedere il tesserino è il 
      risultato di una ben orchestrata operazione politica. Al posto di emanare 
      i decreti attuativi della nuova legge, che gli competevano, il Ministro 
      per un verso ha riattivato decreti esecutivi della precedente legge 
      abrogata e per l'altro - ad un anno di distanza dall'entrata in vigore 
      della legge - ne ha emanato un altro, introducendo, al posto della 
      procedura di notifica prevista dalla legge, una nuova procedura che fa 
      ventilare l'ipotesi del tesserino. Si faccia attenzione alla data: il 
      decreto ministeriale è dell'8 aprile 2000 e poco dopo, nel mese di maggio, 
      verrà inviato il tesserino, con l'unico scopo di avere (già nella fase 
      transitoria) un documento attestante la volontà favorevole al prelievo in 
      modo da neutralizzare l'eventuale opposizione dei famigliari (ancora 
      possibile in questa fase, ma inefficace qualora venga - attestata la 
      volontà favorevole all'espianto dell'interessato). Invece di attivarsi 
      per un'ampia campagna informativa sui trapianti, il Ministro con il 
      suo decreto e il tesserino di poco seguente ha preferito seguire la certo 
      più facile via di manipolare il consenso con un'informazione 
      mistificante.
Non so fino a che punto tutto ciò sia servito: le 
      "donazioni - se vogliamo ancora chiamarle così - sono aumentate, ma forse 
      non nella misura che ci si attendeva. E comunque dobbiamo, in conclusione, 
      chiederci: non è troppo alto il prezzo che siamo stati costretti a pagare 
      per qualche organo in più? 
  
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