Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia

(Cimbas n. 25-2003, pp. 118-121)

(Cimbas n. 25-2003, pp. 118-121) AA. VV. , Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia, catalogo della mostra tenuta a Roma dal 7 marzo al 29 giugno 2003, Mondadori Electa Milano 2003, pp. 716, 50 euro.
Gli argomenti trattati e le opere esposte nelle tre sedi espositive di questa importantissima mostra (Galleria nazionale d’arte moderna, Accademia di Francia e Scuderie del Quirinale) apparentemente non hanno alcun legame con gli aspetti peculiari della civiltà marinara picena e, pertanto, sembrerebbe fuori di luogo recensirne qui il catalogo. (In effetti due sono i cataloghi, uno di carattere generale, l’altro centrato sull’attività dell’Accademia di Francia, di cui non ci occuperemo, se non per segnalare che .nell’indice onomastico ricorrono le stesse omissioni qui indicate.)
Nel caso dello scrivente - romano di nascita ma grottammarese di adozione, che nel corso di decenni dedicati alle investigazioni in molti archivi italiani e stranieri ha accumulato un patrimonio di notizie di vario genere – è naturale che la visione di opere collegate a situazioni e personaggi di Roma possano evocare individui ed eventi in qualche modo connessi all’ambiente marinaro piceno dell’epoca trattata. Alcuni articoli su questi temi sono stati pubblicati su Cimbas e altrove, alcuni sono ancora inediti.
Prima di tutto è opportuno soffermarsi sull’indice per evidenziare i capitoli più indicati per tale opera di “ricucitura”.
- M. Iolanda PALAZZOLO, Tra antico e moderno. La cultura romana nel primo Ottocento, pp. 53-60;
- Bruno CAGLI, Trame e percorsi della vita musicale, pp. 63-77;
- Fernando MAZZOCCA, Il primato della scultura: Canova e Thorvaldsen, pp. 99-102;
- Matteo LANFRANCONI, Il programma cesareo del Quirinale, pp. 151-156;
- Anna VILLARI, Roma 1849, pp. 151-156;
- Carlo SISI, L’educazione accademica, pp. 279-281;
- Fernando MAZZOCCA, Pinxit Romae: la pittura di storia, pp. 333-336;
- Claudio POPPI, La nobiltà del censo: i Torlonia a Roma, pp. 406-410;
- Angela CIPRIANI, La pittura disegnata. I cartoni all’Accademia di San Luca, pp. 429-440;
- Giovanna CAPITELLI, Disegni, bozzetti, modelli e cartoni: l’atelier dell’artista, pp. 450-452.
Dall’articolo di Palazzolo si stralciano alcuni passi:
Se i passati governi pontifici hanno umiliato la grandezza di Roma umiliandola in una condizione servile, il complesso disegno napoleonico vuole rivalutarne l’importanza attribuendole il ruolo strategico di seconda capitale dell’impero e centro propulsore delle arti (...) Che il governo francese sia effettivamente interessato alla crescita di un’opinione intellettuale, sia pure all’interno delle linee di politica culturale già evidenziate, è quanto meno dubbio. E’ quanto emerge dal comportamento delle autorità nei confronti dei periodici di cultura. In linea con una politica censoria fortemente restrittiva e sospettosa soprattutto nei confronti dei periodici di cultura, l’unico giornale esistente in tutto il periodo francese, finanziato dal governo, è il foglio ufficiale che (…) malgrado le magniloquenti affermazioni programmatiche e l’ampio numero di redattori chiamati a collaborare (…) assume sempre di più la forma di un grigio periodico di regime nato per la diffusione degli atti ufficiali, molti gli articoli riprodotti dal parigino “Moniteur”, numerosi i resoconti encomiastici delle feste in onore dell’imperatore, assenti le voci autonome.
Affermazioni che collimano con quanto emerso dalla lettura della contemporanea ed omologa Gazzetta del Taro, la cui recensione appare in questo numero del nostro bollettino semestrale.
Nel novero degli artisti, attivi in Roma, non va dimenticato il nome di Pietro Palmaroli, forse il più famoso restauratore di dipinti del suo tempo, vissuto a cavallo dei due secoli, nato nella Capitale da un esponente di una delle più antiche famiglie di Grottammare (se non la più antica). Collaboratore, ma anche rivale, dei fratelli Vincenzo e Pietro Camuccini, operò in tutto lo Stato Pontificio. La grandezza della sua fama è legata soprattutto al restauro di un affresco di Daniele da Volterra (La discesa dalla croce) e di numerosi capolavori conservati alla Gemaldegalerie di Dresda. Abbiamo rintracciato numerose testimonianze che attestano l’esistenza di rapporti tra la famiglia avita e quella divenuta romana, in un lungo arco di tempo. I Palmaroli avevano interessi anche in campo marinaresco, sia perché, come grandi proprietari agricoli ed esponenti del mondo imprenditoriale paesano, commerciavano in granaglie ed altri prodotti della terra (che viaggiavano preferibilmente via mare), sia perché erano proprietari d’imbarcazioni da pesca di stanza a S. Benedetto. Purtroppo nel catalogo non v’è traccia di Pietro ma solo di Gaetano Palmaroli, appartenente ad una famiglia originaria di Fermo che non ha legami di parentela con la prima, sicuramente dal 1600 in avanti. Alla morte di Pietro i suoi familiari attraversarono momenti molto difficili ed ebbero la solidarietà di Bertel Thorvaldsen e di molti artisti a lui legati. Si ricordi che Ignazio Mugnoz, nonno di Elisabetta moglie di Pietro, trasferitosi dalla Spagna a Roma nel XVIII secolo, ebbe tra i suoi discendenti il prof. Augusto Mugnoz, cugino in primo grado del prof. Federico Zeri.
Nell’articolo di Cagli si ha un quadro della vita musicale a Roma, in cui appaiono solo i nomi dei più grandi protagonisti dell’epoca.
E’ solo dopo il ritorno di Pio VII e col rientro dal Congresso di Vienna del Consalvi, e cioè con l’effettiva Restaurazione, che si può parlare di una nuova fase per le arti. Col suo governo sagace e a suo modo illuminato, il gnozcardinale incoraggiò e protesse anche la musica (…) Se, a parte alcuni abbaglianti esiti dovuti all’affermazione dell’astro di Rossini ed alle sue presenze romane, il risultato fu, nel campo della musica, inferiore a quello ottenuto in altri campi, lo si dovette all’incertezza con cui aveva troppo spesso operato nella città papale.
Non vi si trova traccia di un violoncellista molto famoso ai suoi tempi e che, per amore dell’arte, aveva abbandonato la carriera di ufficiale di porto: il marchese Pietro Laureati, nato a Grottammare. Abbiamo spesso dedicato attenzione a episodi in cui l’allora luogotenente si era trovato coinvolto e, anche, ad un suo progetto di riforma della legge sulla marineria, presentato dapprima ai reggitori della Repubblica Romana e poi al pontificio ministero competente. Come pure all’ambiente musicale piceno in cui operavano altri patrizi, come il ripano-sambenedettese Giuseppe Neroni Cancelli ed i suoi figli, il grottammarese Marco Speranza e alcuni esponenti della famiglia Laureati che non si erano trasferiti a Grottammare dal Maceratese.
Non si dimentichi che Giuseppe Gioacchino Belli, più volte ospitato a S. Benedetto e a Ripatransone dall’amico Giuseppe Neroni Cancelli, in quelle occasioni era al centro di una folta schiera di amici del patrizio, tra i quali Giuseppe Moretti, marito di Carolina Palmaroli,. Non abbiamo testimonianze e documenti circa rapporti d’amicizia tra il poeta e il restauratore: sembra però che non siano stati reciprocamente ignoti
Mazzocca ricorda l’importanza che ebbe la scultura a Roma in quegli anni: “ … Da Canova a Thorvaldsen a Finelli e Tenerani, e dall’attività romana, precedente addirittura la svolta canoviana,dello svedese Sergel e del tedesco Trippel a Dannecker, Schadow, Tieck e Rauch, gli scultori italiani e tedeschi si affermeranno, pur nelle differenti interpretazioni di questo impegnativo retaggio, come i veri eredi dell’antichità, i “classici moderni”.
Nell’elenco degli artisti ricordati non appare il nome di Annibale Malatesta, padre di Giuseppe, anch’egli scultore, che il 15 aprile 1798 sposò una delle sorelle di Pietro Palmaroli, Carolina. Vi è invece Carlo Finelli (più volte citato) che, nel corso del suo soggiorno romano tra il 1806 e il 1808, abitò con il fratello Pietro (entrambi scultori) in una casa di via S. Nicola da Tolentino 47, primo e secondo piano, dove prestava la sua opera Maddalena Palmaroli, un’altra delle sorelle di Pietro.
Va pure ricordato che Thorvaldsen aveva lo studio in alcuni locali del palazzo Barberini, non molto lontano dal laboratorio di Pietro Palmaroli, anch’egli affittuario dei principi. Tra gli artisti germanici citati nel catalogo non compare Carl Christian Vogel von Vogelstein, autore del ritratto di Pietro conservato a Dresda.
Lanfranconi ricorda che “Fra la fine del 1810 e l’inizio del 1811, sulla scia di un interessamento diretto dell’imperatore alle sorti della città e nella prospettiva – annunciata e sempre più verosimile – di un suo fatidico approdo sulle rive del Tevere, si assiste a un’evidente personalizzazione della “questione romana” che – in misura maggiore e diversa rispetto ad altre città europee coinvolte dall’espansione napoleonica – condizionerà forme e contenuti dei progetti dedicati alla città (…) se è vero che i primi progetti proposti per il Quirinale dall’architetto Stern – improntati a un’idea di magnificenza difficilmente concretizzabile – furono scartati a favore di un piano d’interventi più contenuto e realistico (…) ciò non toglie che il Palazzo di Montecavallo fu l’unica residenza napoleonica in Europa che di fatto abbia beneficiato di un grandioso programma d’insieme – architettonico, pittorico, scultoreo e d’arredo – che, fra l’altro, fu l’unico a essere quasi interamente realizzato (...)
Un ruolo importante in quest’opera fu svolto da vari esponenti della famiglia Castagnola di Civitavecchia, quasi tutti provenienti dalla marineria. Uno di essi elaborò anche il progetto di uno scalo fluviale a Porto di Fermo.
Secondo Sisi “A Roma giungevano infatti i più promettenti allievi delle Accademie inquadrati nell’istituto del pensionato – con le sue regole, il suo calendario, la valutazione e la pubblicazione dei risultati – i quali potevano dividersi fra la frequentazione dei corsi regolari e la pluralità delle occasioni offerte dagli scavi, dai musei, dalle collezioni, dal cosmopolita “laboratorio” del grand tour (…) quei giovani eccentrici e capaci di integrare canoni e sperimentazioni andranno a occupare i primi posti negli istituti artistici riformati: Camuccini a Roma. Benvenuti a Firenze, Sabatelli e Bossi a Milano, Wicar a Napoli, Giani a Faenza, e introdurranno in quelle scuole nazionali l’ultima edizione del neoclassicismo, più sentimentale che metodologica, di riconoscibile impronta romana (...) I fatti del 1848-49 provocano una drastica interruzione della vita accademica e del fervido intreccio di relazioni ed eventi entro i quali s’erano svolte le vicende formative di molti giovani che si poterono avvalere delle straordinarie risorse del laboratorio romano: dopo quegli anni la centralità di Roma, quale indispensabile meta degli studi, sbiadirà al cospetto d’una scena nazionale e internazionale che, alla certezza dei canoni, veniva anteponendo altri luoghi e progetti e, alla maestà della regolale inquiete e molteplici apparenze del vero.
L’insegnamento dell’arte non era riservato alle istituzioni ufficiali, come l’Accademia di san Luca o quella di Francia, ma veniva offerto anche da privati. Ricordiamo la famosa Accademia Giani. Risulta che anche Pietro Palmaroli fu impegnato come istruttore del pittore polacco W. K. Stattler.
Tomaso Minardi fu uno degl’insegnanti di maggior prestigio dell’Accademia di San Luca. Ammirato e benvoluto dagli allievi, li seguì tutti con molta cura e passione. Tra i prediletti ricordiamo Gaetano Palmaroli e il suo nipote Marino (nativo di Grottammare ma precocemente deceduto), Luigi Fontana e Guglielmo de Sanctis, autore di un quadro che ci tramanda l’aspetto della grottammarese Villa Gioiosa a fine Ottocento.
Tra i deputati all’Assemblea Costituente eletti nelle Marche ricordiamo Giuseppe Neroni Cancelli e Secondo Moretti di S. Benedetto, Gian Francesco Salvatori, maceratese vissuto molti anni a Grottammare, dove fondò e compilò un foglio periodico rimasto famoso, Fra Crispino. Quest’ultimo deputato si rese benemerito per aver promosso la bonifica delle paludi formatesi a seguito dello scoscendimento del Monte delle Quaglie a Grottammare.
Mazzocca riferisce che “La linfa immortale dell’accademismo romano, che le vicende del potere temporale porteranno sempre di più in una dimensione senza tempo, finiva però con l’alimentare, e in qualche modo esercitare anche una sua suggestione, dalle esperienze che, grazie alla presenza dell’Accademia di Francia, delle sempre più organiche comunità straniere e all’organizzazione di un nuovo sistema espositivo, scuotevano Roma. La presenza dei grandi pittori storici russi che (…) cercarono di aprire nuovi confini al genere, risultò complementare a quella degli accademici francesi (…) la scena artistica romana (…) registrava quanto la pittura di storia nuova, pur non rinunciando alla sua specificità classicista e accademica, fosse riuscita a ripercorrere il mito, antico e moderno, cercando di rcuperarne i significati primordiali.
Anche Gaetano Palmaroli praticò il genere storico, sia durante il suo soggiorno in Spagna siatra il 1848 e 49, quando tornò a Fermo e vi lasciò una sua opera di grandi dimensioni. Anni dopo suo figlio Vicente Palmaroli Gonzalez studiò e soggiornò lungamente a Roma e dipinse molti quadri di genere storico.
Poppi ripercorre l’iter del restauro della Basilica di San Paolo fuori le mura. Si ricordi che molte delle colonne impiegate nell’opera furono lavorate in Lombardia, pervennero a Venezia lungo il Po e, imbarcate su navi adeguate, giunsero via mare e via Tevere al cantiere dei lavori. In tali frangenti si distinse il capitano grottammarese Giuseppe Paci. Celebre rimase anche il trasporto degli obelischi della Villa Torlonia operato circa un ventennio dopo dal civitavecchiese Alessandro Cialdi.
Cipriani e Capitelli si soffermano su aspetti particolari e preliminari del lavoro degli artisti, effettuati prevalentemente nel loro studio. Si ricordi che i laboratori erano concentrati soprattutto nella zona centrale di roma, la più frequentata dagli stranieri: piazza di Spagna, via del Babuino, piazza Barberini, etc. Canova, Tadolini, Cavaceppi avevano lo studio nei pressi del Babuino; Pietro Palmaroli, Thorvaldsen, Tenerani e i loro collaboratori a palazzo Barberini. I mosaicisti e gl’incisori di cammei (tra i quali troviamo molti Palmaroli, Mugnoz, Malatesta e altri parenti) nelle stesse zone ma anche in via dei Serpenti.

Torna alla pagina precedente