I beni della Mensa Arcivescovile di Fermo in Val Tesino.

(pubblicato in Qasaf 11/191, pp. 61-118)

1. Premessa.
L'insediamento della Mensa Arcivescovile di Fermo in Val Tesino su un'ampia estensione di terreno e per una durata di oltre 5 secoli, da noi illustrato nelle pagine precedenti, ha costituito senza alcun dubbio un polo di aggregazione di primaria importanza delle attività economiche, sociali, religiose, ecc. della comunità ivi residente. Anche se la proprietà in contrada Monti non rientra a pieno titolo in questo contesto corografico, tuttavia abbiamo ritenuto opportuno includerla nella presente trattazione.
Nonostante il dissolvimento della proprietà ecclesiastica avvenuto dopo il 1860, la zona di cui ci occupiamo ha mantenuto quasi inalterato il suo aspetto per molti decenni.
Solo a partire dal secondo dopoguerra, sotto la spinta dell'espansione demografico-abitativo-produttiva e della conseguente intensa urbanizzazione che ha investito Grottammare, sono intervenuti cambiamenti notevoli, al punto che sono state profondamente alterate le caratteristiche del territorio che, grossolanamente e parzialmente, possiamo individuare con le vie che lo circoscrivono: Strada statale Adriatica, Strada provinciale Valtesino, via S. Martino e via Galilei e, inoltre, anche quello compreso tra l'Adriatica, il fiume Tesino, via Galilei e la congiungente ideale S. Martino-Tesino, parallela all'Adriatica.
Non è certamente questa la sola contrada che abbia subito stravolgimenti dovuti alla mano dell'uomo: però, a differenza di altre, essa ben si presta ad essere presa in esame per le particolari caratteristiche di stabilità, continuità di rapporti e forme di vita consolidatesi nel corso di molti secoli, che la fanno configurare come un insieme omogeneo di nuclei ben individuati.
Riteniamo perciò utile - per coloro che desiderano mantenere intatto un legame con alcuni aspetti del passato più o meno remoto, superando la transitorietà e la rapida obsolescenza delle forme attuali di vita - tentare di ricostruire per quanto possibile le vicende che hanno interessato le singole colonie e le famiglie che le detenevano In questa operazione ci sono state di fondamentale aiuto le carte conservate nell'Archivio Storico Arcivescovile di Fermo: in parte utilizzate per delineare l'aspetto generale del problema; in parte per scrivere la "storia", sia pure frammentraria, delle persone legate a quegli appezzamenti, sotto forma di schede corredate di un rendiconto sommario dei documenti consultati, anche se di importanza apparentemente scarsa.
Dobbiamo anche aggiungere che per motivi contingenti, tra i quali è di non poca importanza quello legato alla disponibilità di tempo ed alla distanza che intercorre tra Roma e Fermo, abbiamo lavorato su copie delle carte conservate nelle cartelle (….), trascurando per forza di cose i documenti contrasssegnati ( ), dello stesso Archivio , che senza dubbio avrebbero arricchito di altri particolari il quadro da noi delineato, senza peraltro modificarne l'impostazione.

2. Colonie della Mensa Arcivescovile di Fermo in Grottammare.

2 a). Scheda n° 1
- Ubicazione terreni: Grottammare, contrada Piane di San Martino, vocabolo Moregnana.
- Riferimenti al catasto gregoriano: particelle n° 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 1200.
- Confini: a levante, la strada pubblica litoranea (odierna statale Adriatica);
a ponente: Gio. Batta Petrelli, già conte Gigliucci di Fermo;
a tramontana: vallato del molino della Mensa;
a mezzogiorno: la strada lungo il fiume.
- superficie totale ed estimo: quadrati 8, tavole 1, centesimi 32,che, al 18.7.1843, erano suddivisi tra due nuclei familiari di coloni, con rapporti di parentela: Emidio Marconi e fratelli, Ignazio Marconi e fratelli. Il valore ammontava a 704 scudi e 36 baiocchi, come da prospetto.

L'estensione ed il valore delle parti assegnate ad Ignazio si ricavano facilmente per sottrazione tra i totali e le parti di Emidio.
- nota: il terreno è di "lità composta di allumina siliciosa, poca parte affetta da ossido di ferro e quasi insensibile di calcare". Per la sua " bassa situazione " rispetto al livello del mare, è " soggetto a guazze, ed alla buona esposizione all'aspetto di mezzodì.
- Casa colonica: l'edificio che, come risulta dalla mappa allegata è posto nei pressi della "Croce", al bivio della strada statale Adriatica con la provinciale Valtesino, è diviso in parti uguali tra i due diversi nuclei familiari.

2.a.1) Emidio Marconi e fratelli.
- albero genealogico: è stato ricavato da appunti di don Malagamba e da alcuni dei documenti citati in appresso:

- inventario sommario:
oppi, viti alte, ornelli, frutta varie, olivi olmi, salici, albucci, morogelsi, allori, querce, aranci agri e dolci, pini, tutti di varie misure 1.032
viti basse 3.387
totale piante nel terreno e nelle siepi 4.419
oltre a 4.400 canne assortite l'anno.

- notizie sulla conduzione del terreno.
rotazione agraria: metà terreno a grano e metà a marzatelli diversi, con esclusione degli orti, pascoli, canneti, ecc.;(1)
semente di grano impiegata annualmente: quarte 7 coppi 3; resa: 7 a 1;
ripartizione prodotti:
- a quinti (3 parti al colono e 2 al padrone, dopo aver detratto il 10% per "infortuni celesti" e alcune spese generali): grano, marzatelli (assimilati al 60% del grano), morogelso, olivo, fascine, orto, parte del mosto, metà delle frutta varie;
- a terzi (2 parti al colono e 1 al padrone, sul netto): parte del mosto, metà delle frutta varie;
- a metà: agrumi (infruttiferi dal 1844 al 1846 per gelata);
- con altri criteri: bestie bovine e ovine;
regalie per il padrone all'anno: 2 paia di capponi, 2 di galline e di pollastri, 60 uova. Dal conteggio vengono escluse le rendite del canneto, delle querce, delle fascine di olivi e pini (soggette a compensazione per prestazioni di manodopera) e dell'agrumeto.
Il reddito totale annuo per la sola parte padronale risulta, (dopo aver detratto in precedenza scudi 4 baiocchi 72 cent.44 per infortuni celesti), scudi 53 baiocchi 35 cent. 1 cui vanno sottratti per deduzioni varie (4% spese amministrazione e magazzinaggio, acquisto maialetto da carne, ecc.) sc. 4 baiocchi 13 cent. 4 con un reddito netto di scudi 49 baj 21 cent. 7.

.2) Ignazio Marconi e fratelli
- albero genealogico: riportato in 2.a.1)
inventario sommario:
oppi, ornelli frutta varie, viti alte, olmi, morogelsi, salici, albucci, aranci agri e dolci, limoni, cedri, allori e querce, tutti di misure varie. 1 042
viti basse 1 284
oppi nel vivaio 32
totale piante nel terreno e nelle siepi 2 358
oltre a 3.000 canne assortite l'anno.
- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria,regalie per il padrone e ripartizione prodotti: come per la parte di terreno affidata a Emidio Marconi, v. 2.a.1);
semente di grano impiegata annualmente: quarte 8 coppi 0 libbre 10;
resa: 7 a 1;
Il reddito totale lordo annuo, per la sola parte padronale al netto degli infortuni celesti valutati sc. 4 baj 77 cent. 6, risulta di scudi 53 baiocchi 35 e centesimi 1. Detratti scudi 4 baj 13 cent. 4 per deduzioni varie (v. 2.a.1)) il reddito netto risulta di scudi 49 baiocchi 21 centesimi 7.
Sono stati esclusi dal conteggio: la semente, presa dal colono; i carichi prediali, a carico del padrone; la manutenzione delle alberate, ecc.

) Scheda n° 2.
- Ubicazione terreni. Grottammare, Contrada San Martino, vocabolo Ruote a Mare; - riferimenti catasto gregoriano: particelle 1127, 1148, 1149, 1150, 1151, 1152, 1153, 1154, 1155 e 1495;
- confini: a levante, strada pubblica litoranea (odierna statale Adriatica);
a ponente, gli spazi intorno al molino;
a tramontana, strada pubblica (odierna Valtesino);
a mezzogiorno, il vallato; il Sig. Conte Palmaroli; Marchetti, ora Marconi.
- superficie ed estimo totale: quadrati 6, tavole 3, centesimi 91 ( ). La superficie è suddivisa tra i coloni G. B. Petrelli e f.lli; Raffaele Bruni; Emidio Marconi e f.lli; Giuseppe Maria Bruni; i cugini Piattoni; Giuseppe Travaglini; Gaetano Tombolino e Angelo Voltattorni. Estimo censuario totale: scudi 430 baj 83, come da prospetto:

.1) Gio. Batta Petrelli e fratelli.
-. albero genealogico:

- terreni assegnati: particella 1154, per circa 1/4 del totale, pari a 3 tavole;
- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, albucci, salici e olivi, tutti di varie misure 115
olivi nel vivaio 20
..totale piante nel terreno 135

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: metà tereno a grano e metà a marzatelli,"detratta l'occupazione del soprassuolo";
semente di grano impiegata annualmente: libbre 58;
resa: 6 a 1;
ripartizione prodotti:
-. a quinti: Grano; marzatelli, assimilati al 50% del grano; mosto; frutta varie; olive; fascine.
Vengono esclusi dal calcolo: i foraggi, a compenso delle spese di concimaziome, le fascine degli olivi, a compenso delle spese sostenute per le piante; le piante novelle, in compenso delle spese sostenute per togliere quelle cadute.
Il reddito lordo annuo, detratti scudi 65 baj 1 per infortuni celesti, e detratte le deduzioni per spese di magazzinaggio e amministrazione= 4%,pari a scudi 0 baj 24 e centesimi 7,fornisce un reddito annuo netto di scudi 5 baj 94 cent. 2.

2.b.2). Raffaele Bruni, uno degli eredi di Michele Bruni.
-. albero genealogico: oltre a quello di Raffaele, riportiamo pure l'albero di Alessandro Bruni, uno dei primi coltivatori della zona.

- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, albucci, salici,querce, olmi e morogelsi, tutti di varie misure: 436
viti alte in vivaio 54
viti basse 804
totale piante nel terreno 1.294

- notizie sulla conduzione del terreno: come in 2.1.b).
-. semente di grano impegnata annualmemte quarte 2;
-. ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli, (assimilati al 60% del grano); mosto; frutta varie; morogelsi; fascine.
Reddito annuo lordo padronale: ammonta a scudi 17 bai 78 cent. 8, avendo già detratto per infortuni celesti scudi 1 baj 61 cent. 4, Sottraendo il 4% per amministrazione e magazzinaggio, manutenzione della casa colonica scudi 1 baj 21 cent. 3, il reddito netto risulta scudi 16 baj 57 cent. 5
Sono escluse dal calcolo: le sementi; le piante novelle (in compensazione delle vecchie); le canne in compenso delle viti basse e del mangime per il giovenco.

2.b.3) Gio. Batta Petrelli e fratelli.
- terreno in concessione: particella 1127 (casa); particella 1151 per circa 1/4, per complessive 7,48 tavole, come da prospetto.
- albero genealogico: v. scheda 2.b.1);
- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, morogelsi, olmi, olivi, querce, albucci, allori, salici 156;
agrumi vari (aranci dolci e agri, limoni) 62;
totale piante nel terreno 218.

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: come per gli appezzamenti già descritti;
semente di grano impiegata annualmente quarte 1, coppi 3;
resa: 7:1;
ripartizione prodotti:
- a quinti: grano, marzatelli (equiparati al 60% del grano), mosto, frutta varie, olive, morogelsi, fascine;
- a metà: agrumi.
- Reddito annuo lordo padronale: ammonta a scudi 11 59 1, già detratti per infortuni celesti scudi 0 baj 80 cent. 6. Si detraggono per spese varie scudi 1 baj0 21 cent. 4 (4% amministrazione e magazzinaggio,manutenzione casa) e si ha il reddito netto padronale pari a scudi 10 37 7.
Vengono esclusi dal calcolo: le sementi; il foraggio e le fascine d'olivo per compensazione gli agrumi perché non ancora produttivi dopo la gelata del 1844.

2.b.4) Raffaele Bruni.
- terreno in concessione: particella 1151, per complessive tavole 3,50, pari a 5/40 del totale.
- albero genealogico: vedi 2.b.2).
-. inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, olivi, morogelsi, querce, salici, albucci, olmi, alloro 103
totale piante nel terreno 103.
-. notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: come per gli altri appezzamenti già descritti;
semente di grano impiegata annualmente: libbre 66;
resa: 6,5:1;
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano, marzatelli (assimilati al 60% del grano), morogelsi, frutti vari, olive, fascine.
Reddito annuo lordo padronale: scudi 4 12 8, avendo detratto per infortuni celesti scudi 0 42 6. Si detraggono inoltre per spese varie scudi 0 16 5 (4% spese per magazzinaggio ed amministrazione, ecc.) risulta il reddito netto annnuo padronale risulta scudi 3 96 3.
Vengono esclusi dal calcolo: le sementi, il foraggio a compenso delle spese di concimazione; le fascine delgli olivi, a compenso delle spese per potatura e raccolta frutto; le piante novelle, a compenso delle spese sostenute per eliminare le piante cadute.

2.b.5) Emidio Marconi e fratelli, quondam Luigi.
- albero genealogico: vedi scheda 2.a.1).
- terreni in concessione: particella 1151, per 5/40 circa; part. 1495 per 12/100 circa; part. 1148, per 1/4 circa; 1149, tutto; 1152, tutto), per complessive tavole 7,34.
- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, albucci salici, querce, ornelli, albucci, olivi 216
viti basse 1050
totale piante nel terreno 1266.

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: come per i terreni già descritti;
semente di grano impiegata annualmente: libbre 11,5 kg;
resa: 6:1.
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano, marzatelli (assimilati al 50% del grano), mosto, frutti vari, olivi, fascine.
- regalie padronali annue: 1,5 paia di gallucci; 1,5 paia di pollastri; 80 uova.
Il reddito annuo lordo padronale risulta di scudi 9 50 0 detratti già per infortuni celesti scudi 0 66 5. Sottraendo per le spese varie scudi1 12 5 (4% spese amministrazione e magazzinaggio, manutenzione casa).Il reddito netto annuo risulta scudi 8 37 5.
Sono stati esclusi dal calcolo: le sementi; le piante novelle sistemate al posto delle vecchie; le canne per appoggio di viti basse; le canne per appoggio delle viti basse (fusti) e per mangime del giovenco (foglie).

2.b.6) Giuseppe Maria Bruni
- albero genealogico: non rintracciato.
- terreni in concessione: particella 1151 per 2/40 circa; part. 1145 per 1/7 circa; part. 1495 per 6/100 circa, per complessive tavole 1,98.

- inventario sommario:
albucci, salici morogelsi, occupanti circa la metà della superficie: 498
morogelsi nel vivaio 127
totale piante nel terreno: 625
- notizie sullla conduzione del terreno:
- rotazione agraria: non menzionata;
- semente di grano impiegata annualmente libbre 20
- resa: 6:1
- ripartizione prodotti: presenta delle varianti rispetto a quella consueta, perché il terreno è stato destinato ad alberata per metà della superficie, con vivaio in loco per altri 4 anni, cosa che ha comportato la riduzione dell'estimo:
al quinto: grano, marzatelli (assimilati al 50% del grano), morogelsi, fascine. Il reddito lordo padronale annuo assomma a scudi 2 10 3 avendo già detratti per infortuni celesti scudi 0 8 5 e compresa una rendita del vivaio stimata.
Si detrae il 4% per spese di magazzinaggio e amministrazione, ottenendo scudi 2 01 9 di reddito netto.
Sono stati esclusi dal calcolo: sementi, prese dal contadino; foraggio secco e verde, in compenso della spesa per la concimazione.

2.b.7) Giuseppe Piattoni, quondam Serafino
- albero genealogico: non rintracciato.
- terreni in concessione: particella 1151, circa 2/40; part. 1148 circa 1/5; part. 1495 circa 6/100, per complessive tavole 2,03.
- inventario sommario:
totale piante nel terreno: salici, albucci, frutta varie: 79
- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: non precisata.
semente di grano impiegata: libbre 38.
resa: 6:1
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (equiparati al 50% del grano); canneto, fascine.
Il reddito lordo annuo padronale risulta di scudi 2 52 0, avendo detratto per infortuni celesti scudi 0 10 0. Detraendo il 4% per spese di amministrazione e magazzinaggio si ha il reddito netto:scudi 2 42 0. Sono stati esclusi dal calcolo: sementi, prese dal contadino; piante novelle, a compenso delle estirpate; foraggio, a compenso della spesa per la concimazione.

2.b.8) Giuseppe Travaglini, quondam Carlo
- albero genealogico: non rintracciato.
- terreni in concessione: particella 1151, circa 1/400; part. 1148, circa 1/3; part. 1495, circa 6/100, per complessive tavole 2,333.
- inventario sommario:
albucci, frutta verie, viti alte, olivi, salici 38
viti basse 120
totale piante nel terreno 158
- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: si presume che sia la consueta, anche se non viene menzionata.
semente di grano impiegata: 35
resa: 6:1
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (equiparati al 50% del grano); mosto; frutti vari; canneto; fascine.
Il reddito lordo annuo padronale risulta di scudi 3 62 2, avendo detratto per infortuni celesti scudi 0 38 9. Detratto il 4% per spese d'amministrazione e magazzinaggio, e le spese di manutenzione del soprasuolo,pari a scudi 0 17 2, il reddito netto risulta uguale a scudi 3 45 0. Le esclusioni dal computo riguardano, come già visto in precedenza: sementi, sostituzione piante, foraggio secco.

2.b.9) Gaetano Tombolino
- albero genealogico: ricavato da appunti:

terreni in concessione: particella 1148, pe circa 1/5 del totale; part. 1495 per circa 6/100 del totale; per complessive tavole 1,61.
inventario sommario:
albucci; viti alte; frutta varie; salici 48
viti basse 136
viti basse novelle 46
totale piante nel terreno 230

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: non menzionata, si ritiene sia la stessa degli altri terreni fin qui trattati.
semente di grano impiegata annualmente: libbre 48 once 9.
resa: 6:1
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (equiparati al 50% del grano); frutta varie; mosto; canneto e fascine.
Il reddito lordo, detratti per infortuni celesti scudi 0 23 9, per la parte padronale annuale assomma a scudi 2 29 5, cui va sottratto il 4% per spese di amministrazione e magazzinaggio pari a scudi 0 09 2. Il reddito netto risulta pertanto scudi 2 20 3. Vengono al solito esclusi dal calcolo: sementi; piante novelle; foraggi.

2.b.10) Angelo Voltattorni, quondam Filippo.
- albero genealogico: ricavato da documenti citati successivamente

- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, albucci, morogelsi, salici, olivi, allori, querce 559
viti basse 2830
totale piante nel terreno 3389.

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: come nelle precedenti schede.
semente di grano impiegata annualmente: quarte 4 coppi 3
resa: 6:1
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (equiparati al 50% del grano); mosto; morogelsi; olivi; frutta varie; orto; bestiame; foglie del canneto e fascine.
- regalie per il padrone: 2 paia di pollastri; 2 paia di galline e 70 uova.
Il reddito annuo lordo padronale, tolti scudi 2 76 8 per infortuni celesti, assomma a scudi 31 90 3. Detraendo il 4% di spese amministrazione e magazzinaggio, la manutenzione casa e l'acquisto di maialetti, il reddito netto risulta pari a scudi 29 17 7. Dal calcolo sono esclusi le sementi, le piante novelle,le canne, le fascine di olivi e le querce, per i motivi esposti in precedenza.

2.c) Scheda n° 3
- Ubicazione terreni: Grottammare, contrada San Martino, vocabolo la Casetta.
- riferimenti al catasto Gregoriano: particelle 1128,1129 e 1130.
- casa colonica: si, nuova.
- confini: a levante, strada del mulino.
a ponente: marchese Malaspina.
a tramontana: marchese Malaspina.
a mezzogiorno: la strada per Offida.
- superfiice ed estimo totale: come da prospetto.

- colono conduttore: Raffaele Bruni.
inventario sommario:
olivi, oppi, viti alte, frutta varie, morogelsi, alloro,querce, aranci dolci, aranci agri. 120
viti basse 160
totale piante nel terreno 280.

- notizie sulla conduzione del terreno:
rotazione agraria: è quella degli altri appezzamenti.
semente di grano impiegata annualmente libbre 77,5
resa 7:1
ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (equiparati al 60% del grano); mosto; olivo; morogelsi; frutti vari; bestiame e fascine.
Regalie padronali all'anno: 1 paio di galline, 1 paio di pollastri, 50 uova.
Reddito annuo lordo padronale: già detratti scudi 0 61 3 per infortuni celesti, risulta pari a scudi 6 73 3. Tolto il solito 4%, pari a scudi 0 76 9 il reddito netto risultante è scudi 5 96 4. Come di consueto, sono stati esclusi dal computo. le sementi; i carichi prediali, a carico del padrone; le piante novelle; le fascine d'olivo, per le solite considerazioni. Va tenuto però presente che a questo risultato andrebbe aggiunto il reddito degli agrumi, diviso per metà. Ma la gelata ha reso improduttivi gli agrumi fino al 1846. Valutazioni di questo reddito, da dividere a metà, darebbero un reddito annua pari a scudi 8 12 4.

2.d) Scheda n.4
- ubicazione terreni: Grottammare, contrada San Giacomo
- riferimento al catasto gregoriano: particelle 1, 2, 2 1/2, 188, 193 e 194.
- confini: a levante: Vincenzo Agnelli Sacchi;
a ponente: la venerabile compagnia del SS. Sacramento di Grottammare;
a tramontana: il punto della riunione dei fossi;
a mezzogiorno: la cappellania Corradetti e, limitatamente, Vincenzo Agnelli Sacchi.
- superficie totale ed estimo: tavole 40,33; scudi 43,06.
- coloni al 20.7.1843: Marco Cameli e fratelli.
albero genealogico:

- inventario sommario:
oppi, viti alte, frutta varie, olmi, albucci, querce 344
viti basse 600
totale piante nel terreno: 944
oltre a 700 canne ogni anno.
- notizie sulla conduzione del terreno: si rimanda alla scheda 5, trattandosi di un'unica colonia. Inoltre non abbiamo riportato in dettaglio la superficie e l'estimo delle singole particelle, in quanto risultano dal prospetto generale ( ).

2.e) Scheda n. 5.
- ubicazione terreno: Grottammare, contrada Bore Tesino.
- riferimento catasto gregoriano: particelle 109, 200, 203, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 218, 255, 256 e 798.
- confini: a levante: mediante il fosso, con la compagnia del SS Sagramento di Grottammare; Nicola Zazzetta; Pasquale Bruni, cessionario del quondam d. Domenico Bernardini.
a ponente: d. Vincenco Merli, cessionaro del curato d. Angelo Murri; il fosso; il beneficio di San Leonardo; Luigi Santori; Pietro Ravenna.
a tramontana: il torrente Tesino.
a mezzogiorno: il March. Sgariglia di Ascoli.
- superficie ed estimo totali: rispettivamente tavole 193,87 e scudi 846,64.
- coloni al 20.7.1843: Marco Cameli e fratelli.
- albero genealogico: vedi scheda n. 4.
- inventario sommario:
oppi, viti alte, olmi, frutta varie, mandorli, carrubbe, ornelli, albucci, salici, elci, cipressi, allori, morogelsi, aranci dolci e agri 2002
mandorli nel vivaio 35
olivi nel vivaio 20
querce varie 409
altre piante 304
viti basse 2673
totale piante nel terreno 5443
oltre a 5.500 canne l'anno.

- notizie sulla conduzione del terreno:
- rotazione agraria: metà terreno a grano, metà a marzatelli diversi, esclusa la superficie sodiva e pascoliva. In considerazione della "mediocre qualità" di buona parte della terra, "composta di silice, ossidato di ferro, calcare con poca dose di Allumine" e della sua conformazione scoscesa, i calcoli sono in gran parte basati su stime e valutazioni.
-. semente di grano impiegata annualmente: rubbi 3 quarte 1 coppi 1,5.
- resa: 3,5:1
- ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli(equiparati al 40% del grano); mosto; frutti vari; olivi; morigelsi; orto.
- al terzo: fascine;
- al mezzo: agrumi.
Il reddito lordo annuo padronale risulta scudi 89 17 9, avendo già detratto per infortuni celesti scudi ( ) Le deduzioni varie ammontano a scudi 8 16 7 per cui il reddito netto risulta scudi 81 01 2. Sono stati esclusi dal computo, per i motivi già illustrati in precedenza: il reddito netto dell'agrumeto, stimato in scudi 6 l'anno; la manutanzione del soprassuolo; parte delle querce da frutto; altre voci di limitata importanza.
Sono precisate le seguenti regalie padronali:
- 3 paia di galline; 2 di capponi; 1 di pollastri; 200 uova; 1 gallina per l'epifania; 4 agnelli.

2.f) Scheda n. 6
- ubicazione terreno: Grottammare, contrada Monti, vocabolo Casa Lunga.
- riferimento catasto gregoriano: particelle 427, 514, 515, 516, 518, 519 e 520. confini:
a levante: conte Filippo Palmaroli;
a ponente: confine con Ripatransone;
a tramontana:non è indicato nella relazione, ma si desume dalla carta: strada comunale.
a mezzogiorno: conte Paccaroni di Fermo; Pietro Citeroni, quondam Giovacchino.
- superficie totale ed estimo: rispettivamente tavole 90,40 e scudi 202,82.
- coloni al 28 ottobre 1845: Giuseppe Cameli, quondam Domenico, e fratelli.
- albero genealogico: non rintracciato: Non siamo in grado di affermare che Giuseppe Cameli appartenga alla famiglia insediata in Val Tesino.
- inventario sommario:
oppi, viti alte, ornelli, querce, cipressi, mandorli, frutta varie, olmi, olivi, morogelsi, albucci 1181
viti basse 1488
mandorli in vivaio 142
totale piante nel terreno: 2811

- notizie sulla conduzione del terreno:
"dettaglio estimativo avuto riguardo all'erta situazione del territorio inclinato alla bora, nonchè alla sua quantità e qualità di mediocre produzione, composta di calcare ossidata di ferro con poca dose di alluminio."
- rotazione agraria: un terzo a grano; un terzo a marzatelli diversi. Il restante in parte a sodo, in parte a prato artificiale ed a pascoli per le pecore.
- semente di grano impiegata annualmente: quarte 13.
- resa 3,5: 1
- ripartizione prodotti:
- al quinto: grano; marzatelli (considerati pari al 40% del grano; mosto; frutti diversi; mandorle; olive; morogelsi; orto.
- al terzo: fascine varie.
Il reddito annuo padronale lordo è pari a scudi 29 45 8, avendo detratti per infortuni celesti scudi 2 72. Si deduce il 4% per spese di magazzinaggio e amministrazione, più altre spese per manutenzione casa colonica, acquisto maialetto da carne e canne per le viti: scudi 4 22 8. Il reddito netto risulta scudi 25 23.0.
Esclusi dal calcolo: sementi, prese dal colono; carichi prediali, a carico padronale; manutenzione e concimazione delle piante.

Documentazione di base
Diamo un resoconto delle carte consultate, che ci hanno consentito di ricostruire in maniera sufficientemente rappresentativa, ma non esaustiva, le vicende dei beni della Mensa Arcivescovile di Fermo a Grottammare, e delle famiglie di coloni ad esse legate per un arco di tempo che abbraccia tutto il XVIII secolo, la prima metà del XIX ed alcuni periodi di altri secoli (XV, XVII).
Il documento principe di questo particolare aspetto della ricerca è costituito dagl'inventari 62, 63, 64 e 83 dell'ing. Costantino Agnelli, che cristallizzano in un anno ben definito e con riferimenti catastali e censuari facilmente verificabili, nonché trasformabili in misure correnti, buona parte delle proprietà della mensa.
Oltre agli altri inventari e perizie, di cui abbiamo fatto cenno nella prima parte, per questa seconda abbiamo fatto largo uso delle copie degli atti, della corrispondenza, degli appunti, delle mappe e di ogni altra carta conservata nella cartella dell'ASAF.

Carte Marconi
- MAR 1) - contratto in data 5.2.1658: a favore di Francesco Marconi e Domenico suo fratello, figli di Sebastiano, da Grottammare per cinque salme (Some?) circa, con la condizione "ad bonificandum et meliorandum et edificandum domum".
- MAR 2) contratto in data 1.9.1725: non consultato.
- MAR 3) contratto in data 18.10.1755: a favore di Nicola e Serafino, "fratelli carnali e figli ed eredi del qm. Giuseppe Marconi del qm. Tomasso del qm. Domenico di Grottammare (...) ritrovandosi enfiteutici perpetui ed avere e possedere li miglioramenti enfiteutici". Si tratta della modifica dei patti relativi all'alberata, "senza però pregiudizio dell'Enfiteusi perpetua." I contraenti si obbligano anche a piantare alberate nel terreno del Tufo, di proprietà della Mensa, già Bernardini. E' da osservare quanto segue: i confini riportati nei contratti 1658 e 1755 sono identici a quelli della perizia Agnelli per quanto riguarda i settentrionali e meridionali: Il confinante di ponente passa da Gigliucci a Petrelli: si può considerare immutato. Varia, invece, il confine orientale che, nel 1658, era la proprietà Polidori, nel 1755 la Fraccagnani, nel 1843 la strada litoranea: si deve perciò presumere che, dopo la metà del XVIII secolo, la Mensa abbia acquistato il terreno compreso tra il confine di cui sopra e la strada, ceduto poi in enfiteusi ai Marconi. Sembra anche che, fino al 1755, la proprietà concessa inizialmente a Francesco e Domenico sia passata a Nicola e Serafino, nipoti appartenenti alla linea di Domenico.
- MAR 4: lettera senza data di Francesco Marconi, qm. Luigi, al Cardinal Ferretti, con cui chiede "di fare un vitalizio con il Rev.° Sacerdote Don Gio. Battista Marconi di lui cugino carnale", essendo senza figli, in età avanzata, come sua moglie, e senza grandi risorse finanziarie.
- MAR 5: lettera di Gio. Battista Marconi a d. Nicola Malagamba, del 26.1.1841, con cui trasmette copia "dell'Istromento Marconi" con la Mensa e sollecita il "disbrigo di tal pendenza (il vitalizio dello zio) e mi lusingo, che favorevole sarà". Scrive anche di ignorare come "il Francesco ed il Bernardino Marconi cedettero il dominio utile di un fondo della Mensa ad Emidio Marconi". Il Francesco e il Bernardino sono figli del fu Simone Marconi, che però non compaiono nell'albero genealogico riportato nella successiva lettera, come pure quest'altro Francesco.
- MAR 6: Lettera di G. B. Marconi a d.N. Malagamba, del 31.1.1841, con la quale informa l'amministratore che lo zio vuole cedere il terreno in località la Moregnana, non quello del Tufo, già ceduto dai Marconi precedentemente, e fornisce notizie sull'albero genealogico della sua famiglia. Precisa inoltre che Francesco, figlio di Luigi Marconi, possiede solo 1/8 del terreno.
- MAR 7: appunto relativo ad una spesa di 7 scudi e 25 baj sostenuta nel gennaio-febbraio 1842 per l'Em.za De Angelis.
- MAR 8: appunto di d. Nicola sulla ripartizione dei prodotti e sulle regalie padronali.
- MAR 9: minuta senza data di d. Nicola. L'amministratore ha rilevato che il contratto del 1658 non tratta di enfiteusi perpetua "come erroneamente è stato esposto in altro Istromento del 18.10.1755 (...) ma di una concessione ad meliorandum". Perciò i coloni non hanno "alcun diritto sul terreno, ma solamente un interesse nell'alberata". Di conseguenza nel 1840 d. Malagamba aveva dato in affitto verbale ad Emidio ed Ignazio Marconi, discendenti di Francesco e Domenico, il terreno già da loro detenuto per 100 scudi l'anno. Ora non intende più rinnovare l'affitto, a meno che non vengano sottoscritti nuovi patti.
- MAR 10: lettera di Costantino Agnelli a d. Malagamba, del 26.11.1845, con la quale invia "la carta, che hanno creduto rilasciare i Sig. Marconi che credo sufficiente per ottenere la nuova intestazione, senza atto Notarile, che gli importavano una spesa".
- MAR 11: E' la carta di cui sopra, con cui i fratelli/cugini Marconi dichiarano ed acconsentono che il terreno da loro goduto, ma di proprietà della Mensa, "essendo stato per equivoco intestato a Marconi Tommaso, qm. Serafino, ed a Marconi Emidio e fratelli (...) qm. Luigi", venga volturato alla Mensa. Probabilmente ai sottoscrittori è sfuggito che Serafino è figlio di Tommaso, e non viceversa: almeno così risulta dall'albero genealogico stilato da d. Gio.Batta Marconi, che sottoscrive questo atto insieme ad altri sette Marconi.
- MAR 12: lettera di Gio. Batta Marconi a d. Nicola, dell'11.2.1847 da Fermo, relativa a lagnanze avanzate da Marco Cameli ed al pagamento dell'affitto della Moregnana (50 scudi).
- MAR 13: lettera di Nicola Marconi a d. Nicola, dell'8.8.1851 da Ascoli, con la quale implora che gli venga prestato ascolto, altrimenti dovrà contrarre un debito.
- MAR 14: lettera di Nicola Marconi a d. Nicola, del 25.7.1851 da Ascoli, con la quale chiede di poter dilazionare il pagamento di parte dell'affitto, almeno per un semestre, scudi 6,25, perché i raccolti vanno male. Per necessità si è "ridotto a fare il Pedagogo".

Carte Petrelli
- PET 1: Atto del 25 gennaio 1752. Il documento in questione scaturisce dalle direttive, già da tempo impartite dall'arcivescovo pro tempore A. Borgia, il quale intendeva portare chiarezza nei rapporti con i coloni e rivedere i contratti accesi, al fine di meglio salvaguardare i diritti e gl'interessi della sua Mensa. Vedremo in seguito altri strumenti analoghi a quello ora in esame.
Nel 1702 Alessandro Bruni dalle Grotte a mare aveva ottenuto in enfiteusi perpetua "un pezzo di terra di moggiori tre incirca, con un canneto di un moiuro e mezzo a migliorare e bonificare".
Nel 1752 l'unico dei nove figli di Alessandro superstite ed erede, decise di vendere i bonificamenti fatti a Girolamo Petrelli da Montefiore "al presente molinaro" della MAF. Ricordiamo che i Petrelli hanno a lungo tenuto in affitto i mulini della Mensa e tuttora detengono ciò che resta del mulino di San Martino: alcuni dei documenti qui citati potrabbero essere collocati nella successiva trattazione relativa al mulino.
L'Arcivescovo espresse il suo consenso perché il Petrelli subentrasse nell'enfiteusi perpetua sul giardino d'aranci, e sul canneto, con l'autorizzazione a costruirvi una casa, purché:
- mantenesse in perfetto ordine il giardino, sistemandovi opportuni parapetti e provvedendo alla sostituzione delle piante mancanti;
- ripartisse al quinto i prodotti del giardino e del canneto, con l'obbligo di vendere i frutti solo con l'assistenza dei ministri della mensa;
- pagasse una tantum 22 scudi per riparazioni al mulino della mensa in Grottammare in conto del permesso concessogli di costruire la casa, fermo restando che due quinti del valore di questa resteranno a beneficio della Mensa, come pure dei bonificamenti del giardino e del canneto, parti che la Mensa potrà comprare come e quando vorrà; - rispettasse le condizioni già imposte ad Alessandro Bruni.
- PET 2: sentenza di annullamento del contratto di enfiteusi del 25 gennaio 1752 (la data dell'atto non risulta direttamente, ma una nota in calce dà l'indicazione "probabile dicembre 1802”, dopo che alla citazione del 20 gennaio 1802 avevano fatto seguito atti del 27 settembre e del 15 ottobre), con la quale si comunica alle parti, cioè d. Antonio Tiburzi ministro della Mensa ed Antonio Petrelli qm Domenico qm. Gerolamo, "nullum irritum, et inanem, nulliusque roboris, atque momenti fuisse contractum concessionis in Emphiteusim perpetuam" del giardino di aranci. Pertanto la Mensa dovrà essere reintegrata nel possesso di quanto le spetta.
PET 3: Sentenza del 2 aprile 1803. La copia in nostro possesso è di difficile lettura: sembra che si tratti di una precisazione: la sentenza precedente è valida solo nei confronti di Antonio Petrelli.
- PET 4: notificazione del maggio 1819 relativa al bando di una gara per l'affitto dei tre mulini della Mensa in Val Tesino e di tutti i beni rustici esistenti nel territorio di Grottammare. Durata prevista del contratto: tre anni a decorrere dal 1 giugno.
- PET 5: lettera di G.B. Petrelli a don Nicola, del 21 maggio 1845 da Grottammare, con la quale segnala la venuta del molinaro Antonio Petrelli "acciò Sua Em.za gli faccia qualche elemosina" e gli chiede "qualche buon ufficio a mio vantaggio (...) avendo io fatto istanza a questa Commissione per il monte frumentario (...)".
- PET 6: lettera di Gio. Batta Petrelli a d. Nicola, del 26 settembre 1851 da Grottammare, relativa alla divisione del lino al terzo. Rimanda comunque la definizione di tali problemi, e del regalo di un paio di galline all'amministratore, ad una prossima sua "sfuggita" a Grottammare.
- PET 7: lettera di G.B. Petrelli a don Nicola, del 21 agosto 1851, con cui rimette "la nota seconda citazione relazionata."

Carte Bruni
Prima di esporre sia pur sommariamente il contenuto delle carte relative agli appezzamenti di terra in colonia a Raffaele Bruni e fratelli, è necessario premettere alcune note chiarificatrici, anche se parzialmente incomplete.
I terreni di cui si tratta pervennero agl'intestatari dopo varie traversie (enfiteusi, locazioni, acquisto dei miglioramenti, ecc.). I coloni ritenevano d’essere enfiteuti a pieno diritto, ma d. Nicola Malagamba, amministratore della Mensa, rilevò che erano solo cointeressati allo sfruttamento della superficie, portò la causa in tribunale ed ottenne l'annullamento dell'enfiteusi. Siamo negli anni dal 1830 al 1840 circa. Nel 1840, infatti, l'amministratore per 22 scudi l'anno, concesse in locazione verbale ai Bruni gli stessi terreni. Pochi anni dopo, non sappiamo precisare la data, comunicò la disdetta di questo rapporto, riservandosi di definire nuovi patti e nuovi canoni, se possibile con gli stessi Bruni.
L'unificazione italiana portò ad un rovesciamento della situazione: come tanti altri affittuari dei beni del clero, in data non accertata i Bruni subentrarono alla Mensa Arcivescovile come proprietari dei fondi che avevano coltivato per oltre un secolo. Il 26 settembre 1702 il promotore fiscale, con il consenso della Sagra Congregazione del Concilio (che d'ora in avanti indicheremo con S.C.C.) concede in enfiteusi ad Antonio del Zò tre modioli di terreno.
Il 28 gennaio 1705 vengono stipulati diversi istromenti, che instaurano rapporti della Mensa con i seguenti coloni:
- Filippo di Marco Natali, che ottiene 5 modioli di terreno per alberata e 1 canna per una casetta, giusta rescritto favorevole della S.C.C.
- Girolamo Bruni e fratelli, che ottengono 2,5 some di terreno arativo dove realizzare una piantata, giusta rescritto favorevole della S.C.C. e decreto esecutoriale. L'impresa non ebbe successo, tanto che nel 1731 Msg. Borgia revocò la concessione e decise di dare in locazione il terreno suddiviso in diversi lotti.
- Tommaso Marconi, qm. Domenico, ottiene 5 moggiori di terreno ed una casetta, giusta rescritto della S.C.C. e decreto esecutoriale. Questo lotto fu acquisito dai Voltattorni, non dai Bruni.
Negli annni successivi intervennero notevoli cambiamenti, che siamo in grado d'illustrare, anche se non completamente:
- Pietro di Sante Voltattorni il 10 novembre 1731 prende in enfiteusi a terza generazione il terreno e la casa già concessi a Tommaso Marconi;
- Giuseppe Capocasa il 5 febbraio 1733 prende in enfiteusi a 3^ generazione 94 canne di terreno, già concesse a Girolamo e fratelli Bruni.
- Domenico Job qm. Niccolò il 1 aprile 1733 prende in enfiteusi a terza generazione 80 canne di terreno, già concesse al predetto Girolamo.
- Giuseppe qm. Felice Bruni, il 13 ottobre 1749 per scudi 42,66 acquista da Gaetano Natali i diritti sul terreno (2/3 del totale) già di Filippo di Marco Natali, assumendosi tutti gli obblighi contemplati dall'atto del 28 gennaio 1705. La casa invece viene venduta alla Mensa.
Giuseppe di Felice Bruni il 6 febbraio 1750 chiede ed ottiene in enfiteusi un pezzo di modioli 2 canne 39, con casetta.
Le carte consultate sono:
- BRU 1: appunti di d. Nicola Malagamba su nove foglietti, già illustrati.
- BRU 2: lettera s.d. e s.l. di Michele Bruni che, con il nipote Raffaele, chiede di poter ingrandire la casa rurale nel terreno della MAF, di cui essi sono enfiteuti.
- BRU 3: strumento del 26 settembre 1702, con il quale Gio. Antonio Panurgo, riservati "in primis et ante omnia speciali et directo dominio favore Mensae Archiepiscopalis, ac jure redimendi", concede ad Antonio del Zò, qm. Bernardino, tre modioli di terreno, i cui confini sono:
- a capo il mulino della MAF; a piedi, la via pubblica; da un lato i beni della MAF concessi in enfiteusi ad Alessandro Bruni (padre di Girolamo) e dall'altro i beni di Nicola Ravenna, di Ambrogio Polidori ed altri beni della MAF.
Gli obblighi imposti al colono, secondo un appunto di d. Malagamba allegato alla copia dell'atto, ma non trascritti sullo strumento, sono:
- piantare a proprie spese 3 moggiori circa ad uso giardino di aranci o altri agrumi, con relativi parapetti, in enfiteusi perpetua;
-dividere il frutto del giardino al terzo, come tutti gli altri prodotti, a partire dal sesto anno.
Nella copia da noi consultata compare invece una clausola, con la quale s’impone ad Antonio di dare ad Alessandro Bruni 30 delle sue 200 piante del giardino "neque de melioribus neque de pejoribus", come corrispettivo una tantum dell'acqua tratta dal vallato della MAF.
- BRU 4: promemoria del promotore fiscale per concedere in affitto a Filippo Natali un pezzo di terreno "essendo per ridondare una tal concessione in utile evidente di detta Mensa, poiché da detto terreno ne ritrarrà frutto considerabilmente maggiore di quello che ne ritrae al presente che perciò è solito, che li terreni degli Ecclesiastici in dette parti si concedano in Enfiteusi anche perpetua, quando vi si appone il patto (...) di potersi dalla Curia ricomprare i miglioramenti."
- BRU 5: strumento del 28 gennaio 1705 con cui il promotore fiscale della MAF, Gio. Antonio Panurgo, riservati "in primis et ante omnia il speciale e diretto dominio a favore di detta Mensa Arcivescovile, ed il Jus di redimere, e non altrimenti", concede a Filippo di Marco Natali di Montevidoncombatte di piantare a proprie spese un canneto di mezzo moggiuro ed un'alberata con viti su un terreno di complessivi 5 moggiori circa (misura fermana), riservandone una canna per la costruzione di una casa.
I confini del terreno sono:
- a piedi, i beni di Nicola Ravenna; in capo i beni della MAF concessi a Girolamo Bruni e fratelli; dall'altro lato i beni di Ambrogio Polidori.
Tra gli obblighi imposti ricordiamo:
- la piantagione dell'alberata con ripartizione dei prodotti al terzo, dopo il quarto anno, con spese di trasporto a carico del colono fino ai magazzini della MAF in Grottammare;
- la piantagione del canneto lungo il confine con i beni tenuti da Girolamo Bruni presso la strada della marina, con ripartizione al terzo;
- la costruzione a proprie spese della casa in prossimità del mulino, entro un anno dalla concessione;
- la fornitura di una soma di paglia per cavalli ogni volta che l'Arcivescovo verrà a Grottammare. Il resto della paglia sarà tutto per il colono.
Viene inoltre ribadito che gli Arcivescovi potranno "ricomprare sempre, che a loro piacerà, tanto la Piantata, come la casetta ed il conduttore debba rilasciare il terzo del valore della detta piantata, e la metà del valore della detta casetta a stima dei Periti."
- BRU 6: strumento del 13 ottobre 1749, con il quale per scudi 21.33.2 vengono ceduti a Giuseppe Bruni qm. Felice i bonificamenti operati da Filippo Natali.
Dall'elenco dei confini rileviamo che i beni già di Antonio del Zò ora sono di Giuseppe Bruni; che quelli di Nicola Ravenna sono passati a Giovanni Loy; quelli di Ambrogio Polidori a Nicola Ravenna; e che i beni della MAF già assegnati a Girolamo Bruni e fratelli sono ora concessi anche a Vincenzo Tormenti. L'acquirente s'impegna ad osservare le obbligazioni imposte a suo tempo al Natali.
- BRU 7: appunto del 20 settembre 1704 relativo alla concessione dell'enfiteusi a Girolamo Bruni e fratelli, analogo a quello citato al punto BRU 4.
- BRU 8: strumento del 28 gennaio 1705 con cui Gio. Antonio Panurgo, con le stesse premesse ricordate in BRU 5, concede in enfiteusi perpetua a Girolamo Bruni e fratelli ed eredi un terreno arativo di 2,5 some, per piantarvi un canneto di mezzo moggioro ed un'alberata con viti.
I confini del terreno sono:
- a piedi, la strada marina; a capo e da un lato i beni della MAF; dall'altro lato i beni del sig. Nicola Ravenna.
Gli obblighi imposti sono praticamente gli stessi elencati in BRU 5, con l'aggiunta che "il grano e frutta da terra" siano divisi al quinto e con la clausola che, se il canneto non attecchisca "sino a piedi verso la marina a causa del cattivo terreno per essere tutto brecciato, il detto sig. Girolamo non sia tenuto a danni e sia scusato per detta causa per la distanza di quattro canne in sù sopra il canneto", con l'obbligo però di effettuare la piantata.
- BRU 9: Documento sottoscritto da Mons. Alessandro Borgia il 1 gennaio 1733, in cui si prende atto del fallimento delle coltivazioni promosse da Girolamo Bruni, della devoluzione del terreno alla MAF e si dà incarico a d. Quinzio de Santis di Marano, ministro della MAF a Grottammare, di "dare a migliorare detto terreno (...) diviso in più parti a più persone a terza generazione mascolina come sopra, e coll'annuo canone di Paoli cinque e mezzo per ciascun moiuro."
- BRU 10: strumento del 5 febbraio 1733, con cui Quinzio de Santis, per 51,4 baiocchi l'anno, concede a Giuseppe Capocasa qm. Giacomo 94 canne fermane di terra arativa, con i seguenti confini:
- a capo i beni della MAF concessi a Francesco Voltattorni qm. Sante; da un lato i beni della MAF concessi a Bernardino qm. Felice Bruni; dall'altro quelli assegnati a Domenico Job qm. Nicola.
Tra gli obblighi imposti ricordiamo:
- piantare gli alberi entro 6 anni, con esclusione degli albucci;
- non cedere ad altri i bonificamenti senza autorizzazione dell'Arcivescovo;
- "il Jus della proprietà non s'intenda mai prescritto per qualsivoglia tempo anco lunghissimo" e che la Mensa possa sempre ricomprare i bonificamenti;
- dare il passaggio all'acqua del vallato del mulino a favore di altri enfiteuti, purché non subisca danni, con diritto di prelevare per proprio conto l'acqua uscita dal mulino senza pagare nulla, obbligandosi però a manutenere il vallato.
- BRU 11: strumento del 1 aprile 1733 con cui Quinzio de Santis, per 44 baj l'anno, concede in enfiteusi a terza generazione mascolina 80 canne fermane di terreno arativo a Domenico Job qm. Nicola.
I confini sono:
- a capo e da un lato i beni della MAF bonificati dal fu Antonio del Zò; a piedi, i beni della Mensa assegnati a Pietro Voltattorni qm. Sante; dall'altro i beni della MAF concessi a Giuseppe Capocasa.
Gli obblighi imposti al colono sono analoghi a quelli elencati in BRU 10.
- BRU 12: 4 fogli di appunti vari di d. Nicola Malagamba. Non abbiamo altri documenti da aggiungere a quelli già citati nella precedente trattazione relativa a Raffaele Bruni, che possano essere estesi al terreno condotto da Giuseppe Maria Bruni.

Carte Angelo Voltattorni
- VOL 1: Anche per questa famiglia disponiamo di alcuni appunti non datati di d. Nicola Malagamba, che ci facilitano la lettura degli strumenti, conservati in copia nella cartella da noi consultata, e ci forniscono la traccia cronologica dell'insediamento dei Voltattorni in Val Tesino.
Il 28 gennaio 1705 la MAF cede in enfiteusi perpetua a Tommaso Marconi un appezzamento di terra di 5 moggiori, con casetta. Il 10 (o 12) settembre 1731 la Mensa cede a Pietro di Sante Voltattorni, in enfiteusi a terza generazione maschile, il terreno già assegnato a Tommaso Marconi, resosi libero.
Il 5 febbraio 1733 la MAF cede in enfiteusi a terza generazione maschile un pezzo di terra a Berardino del qm Felice Bruni.
Il 31 marzo 1759 questo terreno viene rilevato da Serafino Marconi qm. Giuseppe, che lo ottiene in enfiteusi a terza generazione maschile. Successivamente questo pezzo di terra viene trasferito ad uno dei Voltattorni, padre del colono vivente all'epoca di Malagamba: dovrebbe trattarsi perciò di Filippo qm. Angelo.
Il 12 settembre 1780 Angelo Voltattorni qm. Francesco, da Gio. Sala, ministro della MAF, ottiene il permesso di costruire una nuova casa con i materiali recuperati dalla demolizione della vecchia e con partecipazione della Mensa fermana alle spese di costruzione per una quota pari a scudi 30.17.5. L'alberata viene stimata 159.20 scudi. Nel 1805 il perito Adamo Ciferri riporta i nominativi di cinque persone che avevano ceduto ad Angelo Voltattorni alberate esistenti su loro appezzamenti e ne indica anche il valore:
- alberata comprata da Filippo Petrozzi scudi 7.35
- alberata comprata da Serafino Marconi scudi 8.75
- alberata comprata da Pietro Capo di Casa scudi 2.70
- alberata comprata da Filippo Cameli scudi 20.42
- alberata comprata da Sebastiano Crescenzi scudi 11.70
totale scudi 50.92
In anno non precisato, ma sicuramente nell'800 inoltrato, i fondi della Mensa colonizzati dai Voltattorni vengono dati in affitto a Nicola Grandoni di San Benedetto.(2) Cessato quest'affitto, tornano in locazione ad Angelo Voltattorni qm. Filippo.
Secondo d. Malagamba, a quell'epoca l'enfiteusi era cessata, essendo stata sicuramente superata la terza generazione e raggiunta forse la quinta dalla stipula del primo contratto.
L'amministratore non vuole più rinnovare il contratto e perciò informa il Voltattorni che gli verrà sottoposto un nuovo contratto con canone maggiorato.
Passiamo ora ad esporre sommariamente il contenuto degli strumenti di cui disponiamo.
VOL 2: strumento del 28 gennaio 1705. G. Antonio Panurgo, fatte le consuete riserve sui diritti della Mensa, cede in enfiteusi perpetua a Tommaso Marconi qm. Domenico un terreno di circa 5 moggiori, con piccola casa, confinante:
- da capo, con i beni della Mensa concessi in enfiteusi ad Antonio del Zò;
- da piedi e da un lato, con la strada;
- dall'altro lato, con proprietà della MAF.
Scopo della cessione era quello di realizzare l'impianto di un giardino di aranci su metà terreno e di olivi con viti e canneto nell'altra metà.
Tra gli obblighi imposti al Marconi ricordiamo quelli di:
- effettuare le piantate a proprie spese entro 6 anni, impiegando piante grandi e provvedendo alla sostituzione di quelle che dovessero seccarsi per gelo o per altra causa;
- dopo il sesto anno, dividere i prodotti del giardino al terzo, quelli derivanti dalla semina del giardino stesso e dell'altra parte dell'appezzamento al quinto, mentre per i prodotti del canneto la divisione sarà al terzo. Il tutto con spese di trasporto e immagazzinamento a carico del colono e con l'impegno di non cedere nulla ad altri senza il consenso dell'Arcivescovo;
- assumersi ogni responsabilità e spesa per prelevare acqua dal vallato del mulino di San Martino ed irrigare il giardino, senza però interferire con l'attività del mulino stesso;
- dopo 16 anni, a richiesta eventuale dell'Arcivescovo, restituire "il suddetto giardino, arbori e canneto (...) per un terzo meno di quello saranno stimati dai Periti secondo l'uso del Paese", nonché la casa, ricevendo giusto indennizzo.
- VOL 3: strumento del 10 novembre 1735. L'Arcivescovo A. Borgia, liberatosi il terreno già concesso a Tommaso Marconi, lo cede con beneplacito apostolico in enfiteusi a terza generazione maschile a Pietro Voltattorni qm. Sante, con i seguenti patti:
- pagare un canone annuo di 7 scudi in due rate, una a Ferragosto e l'altra a Natale, senza invocare alcuna riduzione per qualsiasi calamità naturale o d'altro genere, anche se imprevedibile;
- custodire, migliorare e mantenere opportunamente il terreno, che al momento, oltre alla casa, accoglie due filari di viti; dieci oppi con viti da frutto; trent'uno albucci; quattro frutta varie; nove morogelsi; quarantasei aranci nel piantaro, oltre a quelli nel giardino; otto salici; dieci olivi. Vale l'obbligo di rinnovare le piante secche;
- non contrarre debiti su questi bonificamenti né far subentrare alcuno senza consenso dell'Arcivescovo;
- usare l'acqua del vallato rispettando gli stessi obblighi cui soggiaceva il Marconi.
Nulla di mutato per quanto riguarda i confini.
- VOL 4: strumento del 12 settembre 1780. D. Gio. Sala, ministro dell'Arcivescovo, ricevuta una supplica di Angelo Voltattorni qm. Francesco, relativa alla costruzione di una casa per la propria famiglia al posto di quella esistente, concede l'autorizzazione purché:
- non vengano pregiudicati in alcun modo i diritti della MAF sul terreno né vengano concesse nuove enfiteusi;
- la nuova casa sia costruita a spese del richiedente, con l'esplicito patto "che non si possa ridurre ad osteria senza permesso di Sua Em.za", servendosi dei materiali della vecchia casa, valutata scudi 17.5. L'abitazione sarà goduta dagli eredi fino alla terza generazione senza limiti di tempo, ma l'Arcivescovo potrà sempre ricomprare la suddetta casa sulla base della valutazione di due periti nominati dalle parti;
- il canone del terreno viene portato a scudi 8.70 l'anno, con regalia di un paio di pollastri ogni Ferragosto, oltre alla corresponsione di 4 regalie per la nuova casa. Permangono la ripartizione dei prodotti e il divieto di ridurre il canone per qualsiasi motivo, come in passato.
- VOL 5: Scrittura privata del 26 febbraio 1846, con la quale Angelo Voltattorni autorizza la variazione dell'intestazione catastale delle particelle di cui gode: parte della 1151; 1148 coll'aggiunta della 1533; 1495 e tutta la 1150, per complessive tavole 23.24 ed estimo catastale di scudi 145.22.
L'intestazione dovrà riportare come proprietario la Ven. Mensa Arcvescovile di Fermo. Rimangono comunque validi i diritti del Voltattorni sulle piantate e sulla casa colonica, quali risultano dagli atti 10.11.1731 e 12.11.1780 (quest'ultima data sembrerebbe 12.9.1780, stando a quello che si riesce a leggere sulla copia da noi consultata).
Rispetto alla situazione desumibile dalla perizia Agnelli riscontriamo l'aggiunta della particella 1533.

Carte Gaetano Tombolino
Per questo colono possiamo valerci di poche notizie desumibili da un appunto manoscritto, probabilmente di d. Malagamba, da cui risulta che la famiglia era composta da Gaetano e Pietro Tombolini qm. Antonio, nonché dai figli del defunto Pietro:
Pietro Antonio, di 13 anni circa e Domenico Antonio, di 11 anni circa.
Il canone annuo d'affitto è di 5 scudi, ma si sono accumulati arretrati per scudi 2.55 dal 1842 al 1846, pari a 51 baj l'anno.
A seguito di un laudemio del terzo dei Tombolini calcolato in base alla stima fatta in occasione della vendita effetttuata da Giacomo Marconi ad Antonio Tombolini (scudi 10.83 il 12 maggio 1804 su un totale di scudi 32.50) il debito totale sale a scudi 13.38, cui vanno aggiunti altri 15 scudi riportati sotto l'intestazione Lo Mastro.

Carte Cameli
- CAM 1: appunto di d. Nicola Malagamba che ricostruisce la cronistoria dell'assegnazione dei terreni ai Cameli. Con strumento dell'11 dicembre 1696, d. Ambrogio Polidori di Grottammare, agente della MAF, dà a migliorare a Giacinto Camelo (sic) e figli un terreno in contrada Valle San Martino al confine con Ripatransone.
Sembra però che il contratto di enfiteusi perpetua non fosse valido, perché stipulato senza beneficio apostolico: infatti nel 1706 fu redatto altro strumento con Serafino Desideri qm. Giuseppe, di Ripatransone, con regolare beneplacito.
D. Malagamba, supponendo che i Cameli fossero enfiteuti, aveva concesso in affitto la porzione padronale per scudi 22 l'anno:
avvedutosi dell'irregolarità, non intende rinnovare l'affitto.
- CAM 2: strumento 11 dicembre 1676, con cui d. Ambrogio Polidori dà in enfiteusi perpetua a Giacinto Cameli e figli "unum petium terrae (...) capacitatis rubiorum septem et IV circiter", confinante da capo con la via pubblica, da piedi con gli eredi di Paolo Bucci e d. Mario q. Montis, da un lato i confini di Ripatransone e dall'altro i beni degli eredi Polmontis e di Policarpo G. Brancadori.
I patti imposti sono i seguenti:
- rendere arativi e fruttiferi, a proprie spese ed a regola d'arte, circa due rubbia di terreno vastigliato ed incolto, con l'obbligo di piantarvi 2.000 viti, alberate e canneto. Viene concessa la possibilità di costruire una casa;
- ripartire al quinto per i primi tre anni, con esclusione dei frutti degli alberi;
successivamente al terzo, ad eccezione della paglia concessa interamente ai coloni per l'uso del terreno.
- CAM 3: appunto da cui risulta che:
l'11 dicembre 1676 il notaio Giuseppe Perotti fece un atto con cui d. Ambrogio Polidori dette in enfiteusi a Giacinto Cameli e figli un terreno di modioli 16, ossiano rubbia 2, in Valle San Martino;
il 15 giugno 1706 Serafino Desideri di Giuseppe ebbe in enfiteusi un terreno di capacità some 5, moggioli 4, canne 67 in contrada Valle di San Martino. I confini sono: da capo, la strada pubblica; da piedi, i beni della comunità di Grottammare; da un lato, i confini della città di Ripatransone (...) Obblighi: piantare un'alberata con ripartizione dei prodotti al terzo; stessa ripartizione per il grano; rendere abitabile una casa.
- CAM 4: 2 lettere di Costantino Agnelli a d. Nicola (Grottammare 22 agosto e 9 novembre 1845), con cui chiede il pagamento delle sue prestazioni e trasmette la perizia del terreno coltivato da Giuseppe Cameli, detto il Mastro; una specifica delle competenze maturate al 25 novembre 1845, per un totale di scudi 36, 20 dei quali già incassati; un conteggio, su istanza di Giuseppe Cameli che riteneva eccessivo il canone di 22 scudi annui, per dimostrare che la rendita del colono non superava i 20 scudi.
Merita attenzione l'ultima frase:"dice che non ha mai pagate le regalie ecc."
- CAM 5: lettera di Marco Cameli a d. Nicola (Grottammare 8 agosto 1850), con la quale si giustifica di non essersi potuto recare a Fermo - perché citato dall'amministratore "sul enfiteusi di cui si tratta" - a causa dei postumi di una lussazione che gl'impediscono "di portarsi a Cavallo, od al Legno."
- CAM 6: lettera di Agnelli a d. Nicola (Grottammare 10 ottobre 1850), con cui comunica di aver "debitamente relazionata la seconda citazione notificata ai fratelli carnali" e tratta anche della sistemazione della strada presso il mulino, al fine di non essere più disturbato dal mugnaio Petrelli.
- CAM 7: seconda citazione "avanti il tribunale civile e criminale di Prima Istanza sedente Fermo (...) ad istanza della Ven. Mensa (...) rappresentata dal Proc. Emidio Nardinocchi" contro Marco Cameli"per sentirsi condannare al pagamento di scudi 212.41 dovuti “per titolo di corrisposta dell'affitto del Terreno posto in Grottammare in contrada Bore di Tesino (...) decorsa e non pagata a tutto giugno 1851."

I mulini della Mensa
1 Dedichiamo infine un po' di spazio anche ai tre mulini posseduti dalla Mensa, 2 in territorio di Grottammare, contrada San Martino, uno in territorio di Ripatransone, in contrada Ciccarello.
Già altri ha messo in luce l'importanza del mulino nella vita di una comunità in epoche antecedenti quella dell'allargamento dei mercati su scala mondiale. Ci limiteremo pertanto ad esporre sinteticamente il contenuto delle carte conservate nel faldone (…) dell'ASAF, che, per comodità di trattazione, suddividiamo in 3 gruppi, intestati al nome dei 7 mugnai che ricorrono più spesso in quei documenti.

2 Pietro Cappellacci di Montevidoncombatte.
Il 3 dicembre 1838 il Cappellacci aveva vinto la gara per l'affitto dei tre molini per un triennio a partire dal primo gennaio successivo, con canone di settanta rubbie di grano l'anno.
Pochi giorni dopo, però, rinuncia alla stipula del contratto, ottenendo come indennizzo 4 rubbie di grano. Il subentrante, che sottoscrive gli stessi patti, è Emidio Petrelli, padre di Antonio. che aumenta a 71 rubbie il canone annuo.
Abbiamo 4 fogli concernenti questa materia.
- CAP 1: una lettera spedita da Carlo (…) di Collina, il 4 dicembre 1838, con cui si danno a d. Nicola informazioni sulla persona del Cappellacci: uno dei migliori molinari del circondario; "Uomo che paga, ha danaro e lo trafica"; tacciato di usuraio da alcuni; è anche collerico e nei suoi sfoghi sparla del governo, ragion per cui è stato ammonito una volta dal Parroco e gli fu negato l'attestato di buoni costumi; "non ha vizio di giuoco né di donne, avendo un'ottima e cristiana consorte."
- CAP 2: lettera da Montevidoncombatte, 18 dicembre 1838, di Pietro Cappellacci ad un avvocato (sicuramente Emidio Nardinocchi), con cui incarica Domenico Carboni di Ortezzano di ritirare uno dei 4 rubbi promessi per lo scioglimento del contratto. Sulla lettera Domenico Carboni appone due volte la firma (il 29 dicembre 1838 e l'11 gennaio 1840) per attestare di aver ricevuto in totale due rubbie di grano.
- CAP 3: scrittura privata del 23 dicembre 1838, con cui d. Nicola Malagamba conferisce ad Emidio Petrelli il contratto dei 3 mulini, dopo la rinuncia del Cappellacci.
- CAP 4: foglio con 2 dichiarazioni del Cappellacci, una in data 11 febbraio 1841, l'altra 29 ottobre 1841, con cui attesta di aver ricevuto quanto dovutogli per la "transazione (eseguita) colla mediazione del Sig. Avvocato Emidio Nardinocchi fra me sottoscritto ed il Sig. Donnicola (sic) (…)."

3 Emidio e Antonio Petrelli
- EAP 1: dichiarazione di Emidio Petrelli (Grottammare 29 dicembre 1838), con cui si dice disposto a versare "una tantum" una rubbia di grano invece di sottoporsi all'ipoteca, alla "sigurtà" o al deposito di 120 scudi a titolo di cauzione.
- EAP 2: scrittura privata dell'8 settembre 1841, con cui Emidio Petrelli s'impegna a lasciare liberi i mulini e la casa alla scadenza del contratto (cfr. CAP 3), il 31 dicembre 1841.
- EAP 3: lettera di A. Petrelli a d. Nicola, Grottammare 1 luglio 1850, con cui chiede il suo interessamento per riscuotere un credito da Luigi Gentili, fornaio.
- EAP 4: lettera di Antonio Petrelli a d. Nicola, Grottammare 23 settembre 1851, sull'urgenza di assicurare l'alimentazione d'acqua al mulino con un nuovo vallato e dell'addebito delle relative spese (5 scudi).
- EAP 5: appunto senza data, sottoscritto da A. Petrelli, relativo a vari versamenti per un totale di scudi 92.03.05.

4. Filippo Travaglini di San Benedetto.
Il Travaglini ebbe in affitto i mulini nel triennio 1842/44
- TRA 1: inventario del 12 maggio 1842, stilato da Filippo Ciccioli per la MAF e da F. Travaglini, conformemente alla scrittura privata-contratto del 30 dicembre 1841, allo scopo di accertare lo stato di efficienza dei mulini affidati al nuovo mugnaio. Risultati:
- il mulino Ciccarè "trovasi nel tutt'assieme in ottimo stato", il "vallato trovasi perfettamente spurgato, largo circa tre palmi e sufficientemente profondo a condurre l'acqua per la macina."
- il mulino di San Martino sopra la strada "trovasi (...) il fabricato in uno stato piuttosto cattivo (...) " gl'impianti sono di stato eterogeneo (mediocre, nuovo, pessimo, cattivo, buono) e "nel resto questo Molino trovasi fornito di tutto il necessario per un esatto servizio, i di cui vallati trovansi ingombrati d'ingorgamento e di giaia (...)"
- il mulino di San Martino sotto la strada ha "il fabricato in buono stato", gl'impianti in condizioni molto migliori dell'altro, del vallato non si parla e si conclude dicendo essere "questo Molino fornito di tutto il necessario per essere macinante, e per l'esatto servigio."
- TRA 2: minuta di una lettera di d. Nicola all'appaltatore del dazio del macinato di Grottammare, del 2 marzo 1848, con la quale fa presente che l'attività del mulino è bloccata per l'assenza del ministro del dazio. Sollecita che siano tolti gl'impedimenti esistenti, onde riprendere l'attività.
- TRA 3 Scrittura privata del 24 settembre 1844 con cui Filippo Travaglini s'impegna a rispettare la scadenza del contratto, 31.12.1844, ed a lasciare liberi i locali.
- TRA 4: dichiarazione del 15 gennaio 1845 di Filippo Travaglini che attesta di aver ricevuto il saldo di 150 scudi di cauzione, versati a fronte dello scaduto contratto, e di altri scudi 6.75, per rimborso di tasse provinciali da lui anticipate per la MAF.
- TRA 5: minuta di lettera del 21 luglio 1845, con cui d. Nicola informa Filippo Travaglini che la Mensa "ha riacquistato il dominio utile, e perciò è diventata padrona assoluta, e libera "degli appezzamenti in contrada Rote a Mare" essendo cessate le tre generazioni alle quali spettava il dominio utile, come enfiteuti."
Chiede perciò al Travaglini di informarlo se, "tra qualche Istrumento stipulato cogli agenti della Mensa suddetta, che li accordi la perpetuità dell'Enfiteusi" perché "trovatolo efficace ne saprà rispettare le disposizioni."

Nota sulle unità di misura agricole in uso a Fermo
Riteniamo opportuno dedicare attenzione anche ad un aspetto che, a prima vista, potrebbe apparire marginale ma che, invece, riveste un'importanza non trascurabile, quando si tratta di valutare l'estensione di proprietà agricole del passato, le cui dimensioni venivano riferite ad unità di misura ora non più in uso e la cui conversione in quelle attuali potrebbe presentare alcune difficoltà.(3)
Coll'introduzione del catasto gregoriano vennero adottate delle unità che, seppure espresse in modo difforme, tuttavia sono facilmente convertibili in misure metriche, perché basate su multipli e sottomultipli decimali.
Pertanto è possibile passare immediatamente da quadrato, tavola, ara, decara, canna e palmo a ettaro, deciara, ara, decara metro e centimetro quadrato, come risulta dal seguente prospetto, dove abbiamo introdotto anche le misure di superficie in vigore a Fermo e gran parte del suo territorio prima dell'introduzione del catasto gregoriano.

In molti contratti relativi ai beni della MAF in val Tesino è fatta chiaramente menzione di misure fermane. Riteniamo perciò che, anche ove non indicato espressamente, siano state usate queste misure e non quelle di Grottammare, che aveva un proprio sistema metrologico lineare e superficiale.
Per eventuali opportuni confronti, nella tabella successiva riportiamo i valori delle unità di misura in uso a Grottammare:

canna = 10 piedi= 4,68436 m.
piede = 24 once = 0,446844m.
oncia = 5 minuti= 0,003723m.
L'unità lineare fondamentale, cioè il piede, a Grottammare quindi valeva circa il 5,4% in più della corrispondente fermana. Né, tanto meno, si presentano particolari difficoltà nell'interpretazione delle misure di capacità per aridi, e di peso, comuni queste, a Grottammare ed a Fermo. Abbiamo rispettivamente:

con l'equivalenza di 100 libbre di Roma e 105,637 libbre fermane.

Troviamo invece difficoltà a convertire in valori odierni alcune misure, documentate nel XV secolo, chiaramente di capacità ed impiegate come parametro utile per individuare l'estensione di terra capace di accogliere un certo quantitativo di semente.(5) Nei testi a stampa consultati, non si fa menzione di some e salme per grano o aridi in genere.
Troviamo invece un’indicazione utile per la conversione di unità di superficie nello strumento di enfiteusi di Giacinto Cameli dell'11 dicembre 1696, dove 16 modioli vengono equiparati a 2 rubbia.
Nell'ipotesi che la rubbia di quell'epoca avesse gli stessi sottomultipli di quelle seriori, avremmo l'equivalenza:
8 modioli = 1 rubbia = 2 sacchi = 8 quarte = 32 coppi, cioè 1 modiolo = 1 quarta. Nell'inventario Capranica è menzionato un podere vicino al fiume Tesino, avente una superficie di salme 0 e quarte 5: risulta quindi uguale a 5 modioli, ossia 0,9 ettari circa.
Dalla lettura del testo appare chiaro che la salma è un multiplo della quarta: non conosciamo però il rapporto intercorrente tra loro.
In prima istanza supponiamo che sia equivalente a 1 sacco, cioè a 0,5 rubbia. La superficie degli appezzamenti del citato inventario sarebbe dunque:

cioè circa il 60% di quanto la mensa possedeva nel 1846 ( quadrati 51,374 pari a 51,4 ettari ).
Non siamo in grado, per il momento, di verificare la consistenza degli acquisti/alienazioni effettuate dalla MAF nel corso dei quattro secoli dal XVI al XIX: perciò non possiamo pronunciarci sull’esattezza del calcolo eseguito.
Ci riserviamo tuttavia di condurre altre ricerche al fine di accertare sia l'esatta corrispondenza tra salma e rubbia, e di conseguenza l'estensione dei possedimenti della mensa in Val Tesino a fine 1400, sia l'iter delle compravendite dei beni dopo la compilazione dell'inventario Capranica.

4. Considerazioni
Ci limitiamo ad esporre e commentare brevemente alcune delle notizie riportate nelle schede precedenti.
Abbiamo già messo in rilievo l'azione degli amministratori della Mensa, tendente a rivendicare la proprietà dei beni affidati in enfiteusi perpetua. A volte veniva invocata la mancanza di un beneplacito apostolico; a volte la revisione del conteggio generazionale; altre volte ragioni varie, riconducibili però all'aspirazione di rendere più fruttifero l'investimento operato. Di conseguenza i relativi contratti sono stati spesso dichiarati nulli, inoperanti, ecc., ecc.
In effetti, a lungo termine, queste rivendicazioni non hanno danneggiato le famiglie insediate nei terreni. Infatti esse sono riuscite a permanervi, come fittavoli della mensa stessa oppure come coloni del nuovo affittuario, fino a quando la scomparsa del dominio temporale ha rovesciato le istituzioni ed i rapporti di proprietà. Tuttavia non si può negare che, in certi momenti, gli enfiteuti siano stati sottoposti a dure prove, a prescindere dal fatto che il loro comportamento fosse suscettibile o no di critiche. Siamo di fronte ad un rapporto non esente da conflittualità, da una parte e dall'altra.
In tale quadro rientra il tentativo operato da alcuni enfiteuti (Voltattorni tra gli altri), di intestarsi i terreni all'atto dell'introduzione del nuovo catasto, cui la mensa dovette replicare in tribunale per ottenere l'esatta voltura.
Ricordiamo soltanto alcuni episodi:
- Marco Cameli nel 1851 viene condannato a pagare 212,41 scudi per morosità. Se operiamo un ragguaglio immediato, basato sul valore di 4 agnelli = 1,6 scudi riportato nella perizia più volte citata, troviamo che con quella somma si sarebbe potuto comprare un gregge di 513 capi. Oppure, tenuto conto che la retribuzione giornaliera di un lavoratore dei campi poteva raggiungere scudi 0,5 il giorno e che il vitto per l'artigiano riparatore di mulini veniva valutato scudi 0,3 il giorno, troveremmo l'equivalenza con 425 giornate di lavoro o con 708 di vitto. Possiamo perciò affermare che si tratta di una somma davvero ragguardevole, difficilmente raggranellabile da un coltivatore, anche se questi aveva potuto risparmiare un po' di soldi non pagando integralmente gli affitti ed evitando di fornire le consuete regalie padronali (cfr. CAM 4).
- Nicola Marconi, nel 1851, chiede disperatamente di poter dilazionare il pagamento del canone, altrimenti sarà costretto ad indebitarsi.(6)
Tutto ciò costituisce testimonianza della premura, delle cure e della durezza che gli amministratori ponevano nella gestione dei beni ad essi affidati e meriterebbe una valutazione più approfondita, da inserire nel quadro complessivo dei giudizi espressi nei confronti dei proprietari terrieri degli Stati Pontifici dell'800, spesso accusati d’assenteismo e di negligenza. Tra questi possidenti numerosi erano gli enti ecclesiastici ed i religiosi che affidavano in enfiteusi le loro terre, come affermato nel documento citato in BRU 4.
Consideriamo ora i miglioramenti che venivano imposti come uno dei patti fondamentali.
Indubbiamente, in certi terreni, l'opera bonificatrice ha dato i suoi frutti: ci riferiamo soprattutto agli appezzamenti nelle contrade Moregnana, San Martino e Rote a mare, dove la resa del grano è compresa tra 6:1 e 7:1, valori in linea con i migliori del Piceno.(7)
In altri terreni, invece, la conformazione naturale del terreno non consente di raggiungere sensibili miglioramenti: le rese complessive in tal caso si attestano intorno a 3:1.
La ripartizione dei prodotti al terzo, più favorevole al colono, si riscontra soprattutto nei contratti più remoti, mentre in quelli più recenti prevale la divisione al quinto, che privilegia i proprietari.
L'attività vivaistica, sia pur limitata al piantaro direttamente legato al fondo che lo comprende, è presente in vari casi e sotto forme diverse: troviamo vivai di oppi (Ignazio Marconi); di olivi (G.B Petrelli); di viti (G. Tombolini); di mandorli e olivi (Marco Cameli).
Questo semplice dato costituisce una conferma della specifica vocazione della gente della Val Tesino che ancora si dedica a questa attività, certamente più remunerativa oggi di quanto non fosse nel 1700-1800.
Possiamo perciò ritenere che, grazie ai miglioramenti apportati, alcuni dei terreni presi in esame fossero in grado di fornire, sia pure a prezzo di duro lavoro, qualcosa di più dello stretto necessario per assicurare la sopravvivenza. Cosa peraltro confermata, sia pure in linea deduttiva, dal fatto che gli esponenti di alcune delle famiglie primarie di Grottammare erano enfiteuti della "Signora Comunità" o acquistavano i bonificamenti fatti da altri individui.(8)
Quindi, anche se in contrasto con una certa tendenza moderna propensa a rappresentare, sempre e comunque, il proprietario come sfruttatore egoista e cattivo ed il colono come vittima buona ed oppressa, ci sembra accettabile la conclusione che l'enfiteusi indubbiamente presentava dei vantaggi anche per chi ne riceveva l'assegnazione. Prima d’esprimere giudizi drastici, sarà bene esaminare caso per caso le relazioni intercorrenti tra padrone e coltivatore.
Una sola nota per quanto riguarda i mulini. In considerazione del fatto che i mugnai generalmente disponevano di buone somme di denaro, grazie all'attività da loro svolta, spesso gli amministratori della MAF se ne avvalevano per averne moneta con cui pagare alcuni dei tanti conti aperti con la gente del luogo, rimandando la definizione del tutto al momento della stesura del bilancio.
Come conclusione formuliamo un auspicio, anche se ormai logoro per l'uso ricorrente ed indiscriminato che se ne fa, e spesso frustrante per la scarsa considerazione in cui abitualmente viene tenuto: che le tracce superstiti di questi insediamenti - non solo le corti e i casali posti all'estremità del territorio comunale di Grottammare, ma anche quanto ancora esistente e salvabile degli edifici prossimi alla chiesa di San Martino - non vengano cancellate brutalmente e definitivamente da questo mondo, senza lasciarci apprezzabile testimonianza della loro secolare esistenza.

Note
1 - Con il termine marzatelli venivano indicate le varie piante che si coltivavano in alternanza con il grano: fave, trifoglio, ecc.
2 - Alcune notizie su Nicola Grandoni di San Benedetto, proprietario di paranze, sono desumibili da documenti conservati nell’Archivio di Stato di Roma, serie Camerlengato, parte II, tit. IX, utilizzate dagli scriventi in una nota sulla marineria picena dell’800, in corso di completamento.
3 - Sull'argomento vedi in particolare: -A. CHIAVARI, Misure agrimensorie altomedievali dell'Italia centrale. Il piede di Liutprando ed il moggio nell'area marchigiana nei secoli VIII-XII, Istituzioni e società nell'alto medioevo marchigiano. Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria delle Marche, n. 86 (1981). Ancona 1983, pp. 895-953; -S. ANSELMI, L'agricoltura picena sui dati della revisione dell'estimo rustico pontificio e su quello dell'inchiesta Jacini, Piceno, a. 2, n.1 giugno 1978, Ascoli Piceno.
4 - Rubbio è anche il nome di un'unità di superficie in uso a Roma. Riteniamo che negli atti dove la superficie viene indicata in rubbia si tratti di misura fermana e non romana. Una rubbia trova corrispondenza con 640 libbre.
5 - O. GOBBI, L’Abbadia di San Martino nell’Archivio Arcivescovile di Fermo. Proprietà, colture, conduzione fra XV e XVIII secolo, testo di conferenza tenuta a Grottammare nel 1989.
- Compendio dei ragguagli delle diverse misure agrarie locali dello Stato Pontificio colla misura adottata nel nuovo censimento ..., Roma 1850.
- Tavole di ragguaglio delle diverse misure locali di capacità e di peso dei singoli territorj dello Stato Pontificio ..., Roma 1855.
- Tabelle di ragguaglio dei pesi e misure dei grani vino ed olio della città di Fermo col sistema metrico e viceversa, Fermo 1862.
6 - Da un quaderno manoscritto appartenente alla famiglia Palmaroli di Grottammare, cortesemente messoci a disposizione dalla contessa Anna Palmaroli si ha un triste quadro della povertà di molti paesani che per denaro davano in pegno quel poco di cui disponevano, compresi attrezzi da cucina, indumenti e, raramente, oggetti di valore.
7 - S. ANSELMI, cit.
8 - Quaderno Palmaroli, cit., passim.

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