Notizie sulle sedi consolari nelle Marche Pontificie
nel secolo XIX

prima parte

1. Premessa
Una ricerca sistematica, approfondita ed esaustiva sulle attività proprie dei consolati esteri nello Stato Pontificio, basata sulle carte concernenti i molteplici aspetti delle attività politiche, economiche, religiose e sociali della comunità che viveva attorno a questi nuclei, spesso sostanzialmente estranei all'ambiente, consentirebbe senza dubbio di arricchire le nostre conoscenze sulla società e sull'epoca in cui operarono i consoli.
Lo studioso che intenda condurre un'opera di tal genere non potrà fare a meno di consultare e studiare una considerevole massa di documenti dispersi in numerosi archivi italiani e stranieri e, pertanto, dovrà disporre di un adeguato sostegno in termini economici e forze di lavoro.
Chi, invece, non disponga di tali risorse, dovrà porre dei limiti ben stretti all'indagine che desidera portare avanti.
Ecco perché in questa sede ci si limita a fornire solo una serie disomogenea e disorganica di notizie sui consolati esteri nelle Marche tra il 1800 ed il 1850 circa, rintracciate frugando negli Archivi di Stato di Napoli (in seguito ASN), di Roma (poi ASR) e di Fermo (poi ASF), nell'Archivio Segreto Vaticano (poi ASV), nonché in alcuni testi di argomento vario.
Va tenuto presente che le informazioni reperite e/o reperibili spesso sono d'interesse strettamente ed esclusivamente legato alle sedi consolari che le hanno originate. La loro conoscenza e diffusione possono perciò contribuire ad arricchire il patrimonio non sempre dovizioso degli archivi minori locali e delle pubblicazioni sulla materia, nonché a stimolare altri studiosi a proseguire ed ampliare le ricerche intraprese.
Ed è questo il fine che ci si è posti.

2. - Funzioni dei consoli
I rapporti tra il governo pontificio e i consoli esteri sono stati spesso caratterizzati da sfiducia e sospetto da una parte, da arroganza e prepotenza dall'altra, dando luogo a numerosi contrasti in merito alla definizione delle regole cui dovevano attenersi i consoli. Si ritiene utile ed interessante dare ampio spazio ad una polemica che vide contrapposti il cardinale Bartolomeo Pacca - il quale teneva personalmente informato il Pontefice dell'andamento della vicenda - ed il cavalier Zuccari, console generale a Roma del Regno delle Due Sicilie - che certamente avrà avuto il sostegno del suo sovrano per permettersi la licenza di controbattere violentemente il cardinal Pacca.
La vicenda riguarda un tema di carattere generale, la figura e i compiti del console, inserito in un problema contingente: gli argomenti trattati nelle lettere ci consentono di delineare quali fossero le sue funzioni, il suo campo d'azione e i privilegi a lui assicurati, superando la contrapposizione dialettica delle due parti.
Ci si riferisce agli anni immediatamente successivi alla caduta di Napoleone, 1814-15. Il papato non aveva ancora completato il recupero integrale del suo territorio ed erano rimaste aperte alcune questioni con il regno napoletano.
Si stralcia solo una parte del carteggio, sufficiente però a chiarirci molti aspetti.
Esso ha inizio con una lettera del 30 dicembre 1814 del porporato: "Il Cardinal Camerlengo di S. Chiesa, e Pro-Segretario di Stato ha ricevuto l'ordine espresso di Sua Santità di significare francamente a V. S., che è ormai stanca di soffrire la condotta che da Lei si tiene verso il governo."
L'asprezza del tono non si attenua nel prosieguo.
Vengono rinfacciate allo Zuccari le seguenti colpe:
- l'organizzazione di una rete occulta di spionaggio;
- la diffusione di stampa tendenziosa;
- i tentativi d'influenzare l'opinione dei sudditi pontifici in senso contrario al governo.
La conclusione non è meno dura dell'incipit: "Sua Beatitudine (...) vuole eziandio, che rammenti a V. S., che non avendo Ella in questa Città alcun carattere pubblico è soggetto come ogni altro Individuo privato alle Leggi della Polizia locale, alla cui vigilanza non sfuggirà certamente la di Lei ulteriore condotta."
Zuccari non batte ciglio. L'8 gennaio 1815 "in risposta alla Nota Officiale (...) de' 30 dello scorso mese (...) non può dissimulare la sorpresa che gliene ha recato il contenuto (...) l'espressioni, di cui l'E. V. Rev.ma si è servita in quella Nota Officiale, difficilmente possono conciliarsi coi riguardi, che si deggono vicendevolmente i Governi."
Poi passa a controbattere le accuse asserendo che:
- non sussiste l'accusa di spionaggio: egli ha sempre informato le autorità pontificie e lo stesso cardinale dei suoi passi e "si è trovato di vegliare agl'interessi della sua Corte, per iscoprire quelle trame, e quelle cospirazioni, che si ordivano nella Capitale, e nello Stato Romano contro la tranquillità del di lui Governo, troppo note all'E. V. Rev.ma per non aver bisogno di qui farlene il dettaglio";
- in quanto alla diffusione di stampe sobillatrici, "non ha diffuso egli, nè conosce alcuna stampa, che attentasse d'indebolire l'opinione del legittimo diritto di governare nella Persona della Santità Sua";
- in merito a "tutte le altre imputazioni, che si sono volute cumulare a carico del sottoscritto (...) non sono che il risultato della calunnia, e dei falsi rapporti dei mal'intenzionati";
- inoltre, dato che egli è stato investito della carica dal è suo sovrano e le patenti sono state riconosciute dal Pontefice, è egli "è pieno di fiducia che (...) il Governo Romano osserverà scrupulosamente verso di lui tutti quei riguardi, che gli sono dovuti, e gli accorderà tutte quelle immunità personali, ed attribuzioni, che il diritto delle genti assicura agli Agenti Esteri, e che lo stesso Governo Pontificio osserva verso i Consoli, ed i Consolati delle altre Potenze";
- infine "formalmente protesta contro l'indicate espressioni usate nella Nota dell'E. V. Rev.ma, che attaccano la di lui immunità, e protesta parimenti da ora contro qualunque atto contrario al diritto delle Genti, che il Sovrano di Roma si potesse permettere verso la sua Persona, e contro i diritti inerenti alla sua Carica, ed alle sue funzioni (...) (a meno che) fosse sua intenzione d'interrompere le corrispondenze commerciali frà le due Nazioni, in questo caso il Sottoscritto prega l'E. V. R.ma a volerglielo dichiarare, affinchè possa subito informarne la sua Corte, per ricevere gli ordini corrispondenti."
Il 24 gennaio dal Quirinale parte la replica, non meno tagliente della prima lettera: "Credeva il Cardinal Pacca Pro-Segrio di Stato, e Camerlengo di S. Chiesa, che il suo silenzio sarebbe stato più eloquente di ogni risposta, che potesse dare ai fogli di V. S. in data degli 8 corrente: ma poichè Ella insiste con nuovo biglietto in data de' 21 (...) non s'incontra difficoltà di renderla soddisfatta. Quanto Ella ha dedotto, e rilevato nei detti fogli per giustificare la sua condotta, nè distrugge, nè indebolisce la sinistra opinione, che ha dovuto formare il Santo Padre di Lei nella sua qualità di Console Napolitano."
Dopodiché ribadisce punto per punto le accuse formulate nella precedente lettera e chiarisce nuovamente quali siano le condizioni in cui operano i consoli: "a sentimento concorde de' più accreditati Giuspubblicisti non altro essendo, che Consultori, e Difensori dei loro Nazionali commercianti, non possono nè debbono equipararsi ai Ministri pubblici, non godono la protezione delle Genti, e sono soggetti alla giustizia del Luogo di loro residenza tanto pel Civile, quanto pel Criminale (...) Il Santo Padre, lungi dal voler interrompere le corrispondenze commerciali colla Nazione Napolitana, ha voluto solamente istruirla per di Lei governo di quel che può il Principe Territoriale nella Persona di un Console, e dandole un avviso così salutare senza prefiggersi alcuna odiosa eccezione, ha avuto piuttosto in animo di metterla in guardia di se medesima (...)" Conclude dicendo che "non dubita il Cardinal Scrivente ch'Ella meglio ponderando lo stato vero delle cose, e mettendosi sulla traccia di giusti principj vorrà d'ora innanzi imitare la saviezza degli altri Consoli, e la loro condotta verso il Governo."
Parole buttate al vento. Il 19 febbraio l'imperterrito Zuccai torna prolissamente alla carica, con una lettera fiume di 21 fogli, in cui sostiene implacabilmente di non essere affatto colpevole e rigetta l'interpretazione delle funzioni consolari data dal Cardinale. Ci si limita solo a questa parte, trascurando il resto che ormai nulla più aggiunge al quadro tracciato.
"I principj enunciati nella Sullodata Nota a questo proposito, ripugnano assolutamente al diritto delle Genti, non meno che al diritto Pubblico, e convenzionale di tutte le Nazioni civilizzate. Il Console non deve certamente equipararsi ai Ministri Pubblici diplomatici, ma essendo incaricato di una commissione del suo Sovrano, e munito a tal'effetto di una Lettera Patente del suo Rè, ed essendo in tal qualità ricevuto, e riconosciuto dal Governo, al quale diretto; deve godere anch'Esso, se non di Pubblica Rappresentazione, almeno della protezione del diritto delle Genti, assicurata a tutti gli Agenti Pubblici delle Nazioni. Quindi è che il medesimo deve essere indipendente dalla giustizia ordinaria del Luogo, ove risiede, in maniera che non possa essere turbato, o interdetto dal pieno esercizio delle sue funzioni, come avverrebbe se potesse essere arrestato, o imprigionato (...) è perciò che Sua Maestà il Re ha ordinato espressamente al sottoscritto di dichiarare a V. Em.za R.ma, che qualora il Ministero Pontificio persista nei principj di diritto pubblico espressi nella Nota dei 24 dello scorso Gennaio, intorno alla immunità consolare, La Maestà Sua non può adattarsi a queste teorie, né consentirà mai che il suo Console, ed il suo Consolato, e gl'interessi dei suoi Sudditi, privi di ogni pubblica sicurezza (...) si trovino esposti in nessun paese alle procedure arbitrarie di ogni natura (...) persistendo il Governo Romano a rifiutare al Regio Console di Sua Maestà l'immunità, e la Protezione del diritto delle Genti, il Sottoscritto con dispiacere del suo Governo si vede nella necessità di dover pregare V.ra Em.za R.ma di spedirgli i suoi Passaporti, e nel tempo stesso di dover chiudere subito il Consolato Napolitano in tutta L'estensione dei dominj di Sua Santità, per cui (...) ogni relazione commerciale fra i due Stati, ed ogni spedizione attiva, e passiva resterà interrotta per mancanza di mezzi, insino a tanto che il Governo di Roma non crederà di adottare altri principi (...)"
Sembra una dichiarazione di rottura di relazioni diplomatiche, se non addirittura di guerra! La risposta del Quirinale non tarda. Il 24 febbraio il Cardinale prende la penna per scrivere che "non si attendeva una novella apologia della di Lei condotta, e uno sviluppo di teorie così pellegrine, ed opposte a quelle, che lo Scrivente avea attinte ai fonti più venerati, e più puri (...) non può tenersi egualmente il Card. che scrive in silenzio per non somministrare con esso un argomento di convinzione nelle massime contenute negli ultimi di Lei fogli. Uno risguarda la consegna dei Delinquenti, l'altro i privilegi dei Consoli Nazionali (...) Nei di Lei fogli si ammette, che il Console non deve certamente equipararsi alli Ministri publici Diplomatici. Non può esservi più giusta proporzione di questa per decidere la controversia. Il Ministro Diplomatico rappresenta la persona del Sovrano, che invia presso quello, al quale è inviato, e ne porta la Sacra parola in tutte le relazioni di qualunque genere siano.
Il Console altro non è, che il Consultore e il Difensore degli Individui Nazionali nel Commercio Marittimo (...) Se non ostante questa essenziale discrepanza i Consoli potessero giustamente pretendere di godere il Gius delle Genti, e la immunità della Giurisdizione Territoriale non solo si distruggerebbe quella necessaria discrepanza ch'Ella confessa, ma ne risulterebbe anzi una vera, e sostanziale equiparazione frà il Ministro Diplomatico, e il Console, giacchè la prerogativa, e il privilegio principale che rende luminosa, e rispettabile la rappresentanza del primo è l'essere appunto sotto la protezione del diritto delle Genti, ed immune dalla Giurisdizione Territoriale.
"
Il Cardinale s'intrattiene ancora a lumeggiare la sua risposta con esempi tratti dall'art. 41 del Trattato tra Carlo III Re delle due Sicilie e gli Stati Generali delle Provincie Unite, risalente al 27 agosto 1753, e dall'art. 28 del trattato del 17 gennaio 1787 tra l'Imperatrice di tutte le Russie e il Re di Napoli.
Conclude dicendo "che se poi si pretendesse un trattamento diverso dagli altri, e quelle distinzioni, che nè il diritto pubblico, nè l'uso desunto dal tenor dei Trattati accorda ai Consoli Nazionali, il Governo Pontificio sempre eguale a se stesso, e sempre eguale con tutti, chiaramente protesta di non accordargliele, e se per questa ragione crederà Ella di dover chiedere i Passaporti (sebbene questi non sogliano dimandarsi, che dai Ministri delle Corti, quando vogliono dichiarare un disgusto) non avrà che a farne l'istanza, perchè le siano accordati."
Non sono stati rintracciati altri documenti in merito e non ci ci può quindi pronunciare sull'esito della vertenza.
Spiace soprattutto di non aver potuto individuare le corrispondenti carte dell'ASN.
Si possono però trarre dal dibattito riassunto per sommi capi, i principi cui s'ispirava la Santa Sede in tema d'istituzioni consolari:
- i consoli, ed il personale da essi dipendente, non sono rappresentanti del sovrano della nazione della quale curano gl'interessi. Non godono perciò di alcuna immunità, ma sono soggetti alla giustizia della nazione in cui operano;
- essi sono patrocinatori di cittadini stranieri che possano aver bisogno di assistenza nello svolgimento delle pratiche connesse al commercio marittimo ed all'espatrio;
- possono essere chiamati a svolgere le funzioni di consoli in territorio romano sia sudditi pontifici sia cittadini esteri.
Questi concetti vengono ribaditi più volte nella corrispondenza esaminata.
Si rimanda all'appendice 1 per una trattazione più ampia della materia.

3. - I consolati esteri in Adriatico nell'800.
Nel suo dizionario d'erudizione Moroni dedica diverse pagine ai consoli pontifici ed esteri, alle loro origini, attribuzioni e insediamenti.
Inizialmente si tratterà dell'ubicazione delle rappresentanze delle potenze estere lungo il litorale adriatico.
Sulla carta dello stato pontificio sono state evidenziate le sedi consolari citate da Moroni: complessivamente 9 risultano nel versante tirrenico (o mediterraneo) e 22 nell'adriatico, di cui 9 nelle Marche e 13 in Emilia-Romagna.(fig. 1)
I consoli erano preposti soprattutto al disbrigo di pratiche concernenti il commercio marittimo e le persone e i mezzi con cui esso veniva svolto. Di conseguenza le loro sedi erano sulla costa e, nella cartina, sono stati indicati Porto San Giorgio e Porto d'Ascoli anziché Fermo ed Ascoli Piceno.
Inoltre si è identificato Montalto con la cittadina laziale vicino a Civitavecchia, mentre per S. Alberto si è inteso l'omonima località nei pressi di Ravenna.
La distribuzione dei consolati era strettamente legata all'organizzazione portuale pontificia. A conferma, in fig. 1, sono state indicate anche le "capitanie di porto", quali risultano dal Motu Proprio del 31 gennaio 1820, fig. 2.5 Secondo Moroni, gli uffici portuali sprovvisti di rappresentanza consolare estera risultano soltanto San Benedetto, Marano, Sant'Elpidio, Civitanova, Falconara, Cattolica e Porto Corsini. Si osservi però che Porto Corsini è molto prossimo a Ravenna e a Sant'Alberto, mentre San Benedetto, come si vedrà, ha ospitato almeno una sede vice-consolare, Marano un'agenzia consolare e Civitanova un vice consolato.
Si può quindi affermare che la distribuzione delle rappresentanze straniere sposa quasi perfettamente la maglia degli uffici portuali, in particolare nel III circondario dell'Adriatico.
Esistono inoltre altre connessioni con la rete periferica dell'amministrazione delle dogane, come risulta da documenti a disposizione, che si riporta ancora in fig. 1.
Risulta evidente la pressocché esatta corrispondenza che intercorre tra le dogane marittime e le capitanerie di porto.
E non poteva essere diversamente.
Nel riferire le varie notizie raccolte, si suddividerà la materia facendo riferimento ai centri in cui avevano sede i diversi consolati.
Per comodità d'esposizione si tratterà prima Ancona, che indubbiamente aveva maggiore importanza nella distribuzione della rete consolare, quindi si risalirà la costa dai confini con il Regno napoletano a quelli con la Romagna pontificia.
Abbreviazioni
Segrest = Segretario di Stato
Card. = Cardinale
Leg. = Legato Apostolico
Min. = Ministro/i
circ. = circolare
min. = minuta
Aff.Est. = affari esteri
Nap. = napoletano/i
b./bb. = busta /e
s. = serie
P. = parte
pp. = pagine
tit. = titolo
Camerl. = Camerlengo
Isp. = Ispettore
SegSt = Segreteria di Stato
D. Ap. = Delegato Apostolico
Cons. = console/i
prov. = provvisorio
lett. = lettera
fg. = foglio
Amb. = ambasciatore/i
r.i = regi
r. = rubrica
fasc. = fascicolo
p. = pagina
art/i = articoli
vol. = volume
Vesc. = vescovo
Aust. = austriaco/i
AEUI = Archivio economico dell'unificazione italiana
ACHA = American Catholic Historical Association

3.1. - Consolati in Ancona
Numerose erano le rappresentanze consolari stabilite in Ancona, per numero e rango inferiori solo a quelle esistenti in Roma.
Secondo Moroni erano le seguenti:
- Austria, consolato generale con cancelliere;
- Albania, imprecisata;
- Belgio, imprecisata;
- Danimarca, in tutta la linea dell'Adriatico;
- Brasile, vice consolato;
- Francia, imprecisata;
- Grecia, imprecisata;
- Inghilterra, vice consolato;
- de' Levantini, imprecisata;
- Lucca, imprecisata;
- Napoli, consolato generale con vice console;
- Portogallo, vice consolato in detto porto e suo distretto;
- Prussia, imprecisata;
- Russia e Regno di Polonia, consolato generale;
- Sardegna, imprecisata;
- Spagna, imprecisata;
- Stati Uniti d'America, imprecisata;
- Svezia e Norvegia, consolato generale con vice console.
- Toscana, imprecisata.
Va segnalato inoltre che, fino al 1808, Ancona ospitò il consolato di Ragusa, stabilitovi nel 1441. Altro consolato di quella repubblica marinara si resse in Pesaro dal 1675 al 1745.
Si riportano soltanto le notizie relative alle nazioni per le quali si sono rintracciati documenti d'archivio o citazioni in testi a stampa diversi dal dizionario di Moroni.

Danimarca
Esiste solo un carteggio relativo alla nomina di Leonardo Maggi a vice console.
La proposta viene avanzata dal console Cisterni nell'agosto 1829 e procede speditamente, nonostante il ritardo forzato, dovuto all'alternativa posta dal Delegato all'interessato: scegliere il posto d'interprete ufficiale delle lingue del Nord, già da lui occupato, oppure accettare il vice consolato.
Nell'iter s'inserisce anche Giovanni Maggi, padre di Leonardo, per ricordare al Delegato che l'incarico di traduttore era appannaggio della sua famiglia da oltre 50 anni e per proporre di assegnarlo ora all'altro suo figlio, Alessandro.
Il Delegato, però, scrivendo a Roma, sostiene la candidatura di Leonardo a vice console, mentre si riserva di accettare la proposta riguardante Alessandro, a proposito del quale presso l'ASR esiste un fascicolo abbastanza ricco, dal quale risulta che ottenne la nomina mentre si trovava all'estero e che, non essendo rientrato in tempo utile in patria, non riuscì a svolgere questa attività.

Portogallo
Si vedrà, trattando la sede di Fermo, l'estensione dei poteri del vice console conte Gallo. Sono disponibili poche altre notizie:
- nel 1817 il console generale portoghese a
Roma trasmette la copia del nuovo stemma Reale; - a seguito del cambiamento di sovrano intervenuto in quella nazione, nel 1830 il Delegato Apostolico di Ancona chiede alla Segreteria di Stato "se per le circostanze del Regno di Portogallo debbano o no riconoscersi gli Agenti di prima". La risposta è affermativa, sia pur "guardandosi di nominare il Re di Portogallo, sostituendo q.sto nome con quello di Gov. Portoghese".
- la notifica del vice console portoghese al Delegato di Ancona che è stata "vietata sotto le pene in esso Decreto contenute l'introduzione nei Regni di Portogallo e Algarve e suoi Dominj delle carte da giuoco fabbricate all'estero".

Inghilterra I fogli a disposizione danno notizieo su cinque questioni: - la prima è legata alla visita programmata dal Console Generale inglese ai porti e città dell'Adriatico per destinarvi propri delegati. La Segreteria di Stato dà disposizioni alle autorità periferiche per accogliere il visitatore con i dovuti riguardi.
Collegato a questa pratica è un esiguo carteggio, relativo alle difficoltà frapposte dal cessato console inglese in Ancona, Sig. Comelati, il quale dichiara che "non verrà bonariamente a questo passo "bbassare l'arma britannica e cedere l'archivio del vice consolato, senza ordine del governo trasmesso dal Console generale Parkeui il Delegato si rivolgerà per chiudere la questione.
Come? Furtivamente e di notte: "enuti gli ordini di Vostra Eminenza R.ma, feci col mezzo di un Ispettore di Polizia, ed alla presenza di due testimonj invitare ufficiosamente il Come lati alla rimozione di esse (armi), ma essendosi fermamente rifiutato, l'Ispettore stesso le ha tolte in tempo di notte redigendo Processo Verbale che conservo negli atti".
- la seconda riguarda la vendita dello schooner Pace bandiera inglese, disposta per tacitare i creditori. Tra questi appare il console generale Parke, che vanta diritti consolari inesatti per 52,55 scudi. Il ricavato della vendita ammonta a 531 scudi. Siamo nel 1817 ed il Tribunale è già intervenuto.
Il console Parke scrive al Segretario di Stato lamentandosi che " solamente li Diritti Consolari sono stati in tal guisa lesi, poichè il d. Tribunale non ha alcuna competenza nelle contese che possono insorgere fra gl'Equipaggi ed i Capitani dei Legni di S.M., essendo sottoposti li Marinaj Inglesi, tosto che sono in navigazione alle Leggi dell'Ammiragliato Britannico, ma è stato eziandio Esso Tribunale erroneo".
Il Delegato Gazzoli è seriamente preoccupato e rivolge "pre più (...) particolare attenzione all'alto oggetto d'impedire la lesione dei diritti della Sovranità Territoriale, contro i quali combattono arditamente tutto giorno l'irragionevolezza, e le stravaganze dei consoli esteri. Fra le speciali gravissime cure di questa Delegazione è senza meno una delle più riflessibili la corrispondenza coi consolati. Continue pretese, continui privilegj, continue opposizioni si frappongono dai medesimi, e l'abbatterle senza urtarle non è sicuramente un risultato il più felice in mezzo alle arroganti loro milantazioni. Quattordici sono i consolati residenti in Ancona e tutti hanno pretenzioni ad affacciare".
"Sono più giorni che cerco di abboccarmi seco lui (Parke), e non per anco mi è riuscito. Venne da me il Signor vice Console, e gliene tenni discorso ma dichiarò, che non poteva interloquire trovandosi in Ancona il Console Generale. Sono stato di persona a casa del Signor Parke, e non l'ho trovato. Feci conoscere ai suoi dipendenti il desiderio, che avevo di parlargli, ma non mi ha ancora favorito di venire. Starò attendendo altri pochi momenti, e poi mi appiglierò al partito di scrivergli pregandolo a venire da me per tenere un colloquio."
Gazzoli infine riesce a parlare con Parke, ma senza successo: "non può aderire a far l'istanza giudizionaria, e (dice) che va a porsi in corrispondenza coll'Autorità di Vostra Eminenza Rev.ma, poichè siano valutate le di lui ragioni. Dolente di questo risultato."
Si arriva comunque al giudizio finale e i creditori vengono disposti in 7 diversi livelli di priorità: al console è assegnato il terzo, posposto alla giustizia, che rivendica le spese giudiziali, e ad un certo Radaelli, che aveva effettuato pagamenti all'Ufficio di Sanità.
- la terza cartellina è relativa alla richiesta di notizie sulle tariffe postali pontificie, avanzata nel novembre del 1828 dal vice console Henry Kane (citato più avanti per la rappresentanza hannoverese), che era stato interessato dalle autorità inglesi per la raccolta d'informazioni utili per istituire un servizio postale tra le Isole Ionie e la Gran Bretagna, usufruendo della nave a vapore L'Affricano, in servizio regolare tra Ancona e Corfù.
- la quarta pratica riguarda gli interpreti camerali di lingua inglese Annibale Sbiocca e Giacomo Carbey, mentre l'ultimo fascicolo è relativo alla vidimazione della patente di Giorgio Moore, console inglese in Ancona.

Russia
All'ASV si trovano solo due lettere, relative alla nomina di Michele Smogliani a console russo in Ancona nel 1818, che subisce ritardi nell'approvazione in quanto le informazioni non sono molto positive e, inoltre, lo "Smogliani si era fatto conferire un posto dal Tesoriere Generale". Rimosso da questo incarico, la sua nomina viene approvata, ed egli può iniziare la sua attività, anche se la patente esibita al Delegato crea qualche difficoltà, perché priva di traduzione legale, difficoltà comunque superate solo dopo aver constatato "a tergo le vidimazioni della Segreteria di Stato, e del Camerlengato".
All'ASR si trova uno smilzo carteggio relativo alla nomina del cav. Guerrazzi a console russo in Ancona nell'anno 1828, per la quale l'incaricato russo a Roma, principe Gagarin, interessò fuori tempo e fuori luogo il cardinal Camerlengo.

Napoli
Per questo consolato si dispone di una maggiore quantità i notizie. Non è stato possibile, purtroppo, utilizzare al meglio i documenti conservati all'ASN per il mancato funzionamento del servizio di fotocopiatura in occasione di un breve soggiorno a Napoli.
Una richiesta del Sig. Buccino, console generale di S. M. Siciliana per l'Adriatico, relativa al riconoscimento del Sig. Luigi Bianchelli come suo vice console in Ancona, consente di conoscere parte della storia del consolato napoletano nella città dorica.
Prima dell'invasione francese il titolare era il Console Malacari, con il vice console Pezzotto. Sotto il Regno d'Italia il posto rimase vacante.
Nell'interregno napoletano, Murat nominò console Clitofonte Roberti, che non fu riconosciuto dalla "Prelodata Maestà Sua", al quale successe il Buccino.
Alla domanda della Segreteria di Stato "se gli altri Consoli tengano un V. Console nello stesso Luogo della Loro residenza, giacchè secondo le regole il V. Console deve esistere dove non esiste il Console", il Delegato è in grado di rispondere che "altri vice consoli presso i consolati generali di Ancona non esistono, tranne quello svedese, coperto dal figlio del Console conte Bernabei", morto, quest'ultimo, la settimana precedente.
La nomina del Bianchelli viene approvata.
Intorno al 1819 il console è Giulio Somma, come risulta da documento più avanti citato per Grottammare.
Si passa poi, nel 1830-31, alla nomina di un vice console (Vito Belgiovane) e di un cancelliere (Luigi Belgiovane), disposta dal console Accarisi.
Il Delegato fa presente alla Segreteria di Stato di ritenere eccessiva la pretesa di nominare due delegati: "Così per il consolato di Napoli in Ancona vi sarebbero tre privilegiati."
Ma da Roma rispondono che "i consoli generali (...) possono nei Porti o luoghi di loro residenza avere anche un vice console, da cui si esercitano le funzioni con titolo quando il console generale sia assente od impedito (...) siccome è di uso che i consoli abbiano un cancelliere, non si può ricusare la scelta fattane dal Sig. Accarisi di Luigi germano del ridetto Belgiovane a quest'impiego."
L'Accarisi muore di lì a poco. Nel 1832 il Delegato riferisce alla Segreteria di Stato che il sostituto è il cav. Francesco Lioy, già console a Barcellona, "un uomo degnissimo per tutti i rapporti, attaccato alla buona causa, e mio amico da lungo tempo." Il Lioy, in attesa della concessione dell'exequatur, è autorizzato a svolgere provvisoriamente le funzioni consolari.
Del 12 settembre 1836 è una lettera sulla situazione sanitaria di Ancona, dove il colera aveva provocato delle vittime.
Nel 1839 il console è Raimondo dr Goyzueta, coadiuvato dal vice console Vito Belgiovane.
Nel 1842 il console in carica ad Ancona si rivolge al cardinale Riario Sforza, Legato di Pesaro e Urbino, per ottenerne l'appoggio, in quanto il re di Napoli intende "stabilire un console generale ancora a Civitavecchia per i Porti del Mediterraneo, che prima erano soggetti al console generale residente in Ancona, il quale ne risente pregiudizio e vorrebbe almeno ottenere d'essere destinato a Civitavecchia."
A Roma prendono atto della segnalazione facendo presente che "le notizie che si hanno in genere sul Console anzidetto non sembrano presentare propriamente alcun motivo per escluderne l'accennata domanda (...) Trovo peraltro opportuno il notare qui all'E. V., che sarebbe desiderabile nel med° un men favorevole zelo a garanzia de' suoi Nazionali, che non mancano talvolta di peso e fastidio colle occasioni di loro pretensioni e rimostranze (...)."

Consolato ottomano o dei Levantini
Questo consolato si occupava dei sudditi dell'impero turco, con le eccezioni che derivavano dal progressivo sfaldamento dello stato: Scutari e l'Albania avevano propri rappresentanti già nel 1816, più tardi la Grecia si staccherà da questo nucleo.
Va però rilevata un'affermazione, secondo la quale "il Governo Pontificio non ha mai riconosciuto nella Porta Ottomana il diritto di nominare i Consoli e i Vice Consoli né in questo Stato ha mai esistito alcun console della Nazione Turca."
Gli interessi dei cittadini sottoposti all'impero turco venivano curati da un console dei Levantini nominato dal Camerlengo e che, sotto certi aspetti, potrebbe essere paragonato ad un console pontificio all'estero, cui veniva assicurato il godimento delle tariffe consolari previste dalle norme.
E' possibile ricostruire parzialmente la storia di questo ufficio grazie ad un carteggio relativo a Gregorio Schelini, console in carica dal 16 novembre 1814, insidiato dal marchese Stefano Benincasa. Questi tenta di rimpiazzarlo rivolgendosi al cardinal Litta, Prefetto di Propaganda Fide, al quale vanta le glorie passate della sua famiglia, che aveva tenuto quel consolato dal 1665 al 1730 e dal 1761 al 1797.
Anzi, nell'ultimo periodo, il padre del patrizio, oltre al consolato del Levante, aveva retto quello di Francia, passato poi al signor Neuron che, in un secondo momento, era subentrato anche nell'ottomano.
Si ritiene che la conclusione sia stata favorevole allo Schelini, che nel 1815 ottiene la patente di Capitano di Marina "solita accordarsi ai Consoli Pontifici".
Nel 1831 un certo Pasquale Schelini, insediato quando era Camerlengo il card. Pacca, è impegnato nel tentativo di mantenere intatte le sue prerogative, cioè anche la rappresentanza dei naviganti e commercianti greci. Ma già il governo greco aveva nominato suoi rappresentanti in altre nazioni europee ed era lecito attendersi che li nominasse in Italia.
Infatti, in attesa della definizione del conflitto fra Grecia e Turchia, i navigli greci erano stati esclusi dai porti pontifici. Ora che la bandiera ellenica è accolta ovunque, sembra opportuno "si renda attivo il suddetto consolato, essendo rimosse le ragionevoli difficoltà, che in passato rendevano impolitica questa misura (...) (senza) (...) che rimanga (…) compromessa la convenienza del Governo greco." Il riconoscimento del nuovo regno da parte del Papa avviene nell'ottobre 1831.
Prima di procedere, la Segreteria di Stato chiede al Delegato chiarimenti sulla situazione. Risulta così che lo Schelini non è contrastato in quanto rappresentante di altre nazionalità orientali, ma perché non è riconosciuto dai Greci residenti in Ancona per i quali, se necessario, intervengono il Capitano di Porto, "il quale per consuetudine rappresenta i Consoli delle Nazioni che non l'hanno" o, per gli affari, l'anconetano Pietro Mercatelli e il greco Costantino Marinoghi. Quest'ultimo sembra il candidato favorito, qualora il governo ellenico proponga la nomina di un console. Secondo il Delegato, i Greci non possono essere accomunati ai Levantini.
Dal carteggio emerge l'interesse dimostrato dal Camerlengo nel voler affidare la rappresentanza dei Greci allo Schelini, in attesa della nomina del console da parte del nuovo governo, interesse spinto a tal punto da provocare le rimostranze del Delegato Apostolico - "questa Delegazione memore delle disgustose intelligenze passate fra essa ed il Camerlengo" - che ebbero buon fine per la mediazione operata dalla Segreteria di Stato nel 1828.
Nelle more del riconoscimento del rappresentante ufficiale, lo Schelini s'intromette ripetutamente nella gestione delle attività a favore degli ellenici, provocando rimostranze da parte dei comandanti di navi di quella nazione.
Infine la vicenda si conclude nei termini seguenti: - il consolato greco viene affidato a Giorgio Duratti, riconosciuto dalla Segreteria di Stato il 24 ottobre 1833, che muore nel 1836.
- Pasquale Schelini cerca di conseguire in varie maniere qualche concessione, ricorrendo soprattutto all'appoggio del Camerlengo, ma non trascurando di rivolgersi al conte Spaur, ambasciatore bavarese a Roma e ad altri. Nel 1835 si fa cenno di una sua nomina ad interprete camerale per le lingue del Levante, presto decaduta per la sua ignoranza del greco e per il disdoro che ne avrebbe subito passando dal prestigioso incarico di console alla condizione di umile dipendente retribuito con 4 scudi mensili.
Nel 1836 trasmette al Camerlengo una supplica indirizzata al re di Grecia, al fine di essere riconosciuto console greco, dopo che analoga iniziativa nel dicembre 1832 era risultata vana. In tale occasione chiede l'intervento dello Spaur il quale, pur schermendosi, si presta infine come mediatore. Sembra che anche questo tentativo non sia stato coronato da successo, perché nel settembre 1838 lo Schelini deve recarsi a Trieste per esigenze familiari, a seguito della morte della moglie avvenuta alcuni mesi prima, e chiede al Camerlengo il permesso di assentarsi segnalando che il consolato dei levantini rimarrebbe affidato all'interprete camerale dei Levantini, Massimiliano Dionisi, subentrato a Niceforo Loverdo e nominato cancelliere.
A proposito degli interpreti camerali va rammentato che, nonostante l'età avanzata, Niceforo Loverdo mantiene l'incarico per molti anni, avanzando almeno due richieste di sussidi straordinari. All'epoca del suo pensionamento - 1835 - si candida Massimiliano Dionisi, che in un primo momento viene respinto perché troppo giovane ed immaturo. Per breve tempo si trova un commerciante greco disposto ad assumere l'incarico, ma questi ritorna in patria per curare i propri interessi. Vengono scartati vari candidati, tra cui Domenico Mercatelli e, dopo lunghe tergiversazioni, viene acccettato Dionisi che, nel 1846, è costretto a dimettersi ed a restituire il diploma perché poco assiduo nello svolgimento del suo compito. Il Dionisi viene anche coinvolto e condannato in vertenze giudiziarie promosse dal commerciante D. Ascoli.
Merita menzione anche un tentativo di spacciarsi per console ottomano, messo in atto da certo Angelo Cazzaiti, come risulta da una lettera della Sacra Consulta alla Segreteria di Stato.
Vi si riferisce una comunicazione del marchese Carlo di Ribas-Piery, console pontificio a Corfù, il quale informa di aver appreso che il Cazzaiti si presenta come console ottomano negli stati sardi, pontifici e toscani ed intende nominare alcuni vice consoli. In passato lo stesso individuo si era spacciato per rappresentante dei corsari barbareschi ed aveva ingannato e frodato molti commercianti napoletani. Di conseguenza la Segreteria di Stato invita la Delegazione di Ancona a prestare la massima attenzione ai movimenti del Cazzaiti, qualora entrasse nello Stato.

Grecia
A parte quanto sopra riferito, si dispone solo dell'informazione di Moroni.

Stati Uniti d'America
Secondo i compilatori del volume dell'American Historical Catholic Association, il primo funzionario americano insediato in Ancona fu il console James Freeman, dal 21 aprile 1840 al 18 luglio 1849, sostituito dal console Joseph Mozier, che tenne la carica dal 18 luglio 1849 al 3 aprile 1854. Dopo una chiusura di circa due anni, l'ufficio dal 2 febbraio 1856 al 27 novembre 1861 fu affidato al vice console Cesare A. Magnani, che era stato nominato dal Freeman nell'agosto 1841 e confermato nel 1850 e 1853.
Abbiamo però trovato traccia di un altro funzionario che, sebbene di rango inferiore, tuttavia venne insediato in Ancona prima di Freeman. Si tratta di un agente consolare con giurisdizione sulla città e sulle sue dipendenze, il marchese Pietro Manciforte Sperelli, nominato con diploma del console generale a Roma, Felice Ciccognani, in data 27 agosto 1836.
Nella introduzione al volume della American Catholic Historical Association (già citato alla nota 1), gli autori tracciano un sintetico profilo storico del consolato di Ancona, ricordando che il Freeman inviò parecchi dispacci per informare le autorità statunitensi della scarsa importanza commerciale del porto dove operava. Il console dovette sostituire temporaneamente il console americano di Roma, Brown, fautore di Mazzini che, alla caduta della Repubblica, abbandonò la capitale. Il Freeman si rammarica delle spese di ufficio gravanti sulle sue finanze private e che non gli vengono rimborsate.
Il successore, Joseph Mozier, era un artista che fu ben felice della chiusura dell'ufficio per tornare a Roma, dove risiedeva e svolgeva la sua attività.
Il volume riporta 14 lettere di Freeman, 10 di Mozier e 10 di Magnani, dalle quali risulta che, per molti anni, nessuna nave mercantile americana approdò nel porto dorico.
Le notizie più interessanti, ricavabili da questa corrispondenza, sono relative al periodo trascorso a Roma da Freeman, che però esulano dal tema della presente ricerca.
Stralciamo alcuni passi, da altre lettere: «No port within this consulate on the Adriatic side (except Senigallia situated 18 miles from Ancona during its celebrated fair from 20th July to 8th August on every year) carries on any trade of importance and that which is carried on consists in a coasting trade. There is no direct American trade at Ancona or any other port within this district, and American produce or manufacture is imported into this place by British bottoms from England, or via Leghorn, Venice and Trieste by other foreign vessels.»
«It is impossible for me to appoint a vice consul or clerk who shall be a citizen of the United States, for there are no American residents here, and but few American travellers (perhaps not twenty a year) pass through Ancona. For a period of more than four years past not an American vessel has touched at this port. The present vice consul is Mr. C. A. Magnani, an Italian gentleman who speaks and writes the English language well, and who is, I am sure, in all respects most trustworthy.»
Dalle lettere di Magnani apprendiamo che nel 1855 arrivarono e partirono da Ancona 3 navi americane per complessive 1.420 tonn., con 41 persone d'equipaggio in totale, senza merci in arrivo e con merci in partenza per 49.680 dollari, mentre nel 1857 passò solo un vascello di 435 tonn.; che egli, dopo 20 anni di servizio aveva percepito compensi irrisori ed aveva bisogno di almeno 500 dollari per effettuare cure oftalmiche per scongiurare il pericolo di perdere la vista; e che a seguito dell'assegnazione di regolari stipendi governativi al personale americano, intorno al 1860, si augurava che anche a lui venisse concesso un piccolo assegno mensile.

Brasile
Il 30 aprile del 1834 al Camerlengato viene vidimata la patente di vice console di Paolo Mereghi.

Hannover
Risulta che il sovrano britannico, per attendere agli interessi dei suoi sudditi del regno di Hannover, nel 1833 nominò console reale ad Ancona Henry Kane, già agente consolare britannico nella stessa sede. Precedentemente, il Delegato Apostolico si era preoccupato che la patente venisse vidimata, ancor prima che venisse emessa.
Dopo il 1858 molte navi austriache inalberarono il vessillo annoverese, come bandiera ombra.

Svezia e Norvegia
Trattando del console napoletano in Ancona, si è già rilevato che anche il console generale svedese aveva un vice console nella stessa sede, in particolare questi rappresentanti erano i conti Filippo e Ferdinando Bernabej, padre e figlio.
Si dispone di due carteggi relativi a vertenze concernenti privilegi cui il console non intende rinunciare.
Nel primo caso, anni 1816-17, la conflittualità scaturisce dalla esenzione doganale sulle regalie di 100 libbre di sale, offerta dai comandanti delle navi svedesi al loro console.
In quell'anno, per circostanze particolari, otto navi svedesi si erano presentate nel porto dorico, quasi contemporaneamente, procurando così al conte Filippo una rilevante quantità di sale.
Il fisco pontificio ritenendo, forse a ragione, che parte del sale venisse rivenduta o distribuita ad estranei, privando l'erario dei dovuti tributi, pretese di far pagare il dazio al console che, risentito vivamente, coinvolse nella polemica il Tesoriere Generale e il Segretario di Stato.
In merito il Delegato Apostolico fa presente che i consoli «Tutti pacificamente pagavano la tangente ad essi rispettivamente attribuita, ad eccezione del Console Svedese.» La conclusione spetta al Segretario di Stato: «Non fò che eccittare la di Lei vigilanza a tener gli occhj aperti su i consoli onde non si arroghino il diritto abusivo di alcuna esenzione, dovendo essi pagare i Dazi siano reali, siano comunitativi come gli altri sudditi Pontifici.» Ciò anche in considerazione di un «decreto emanato da S. M. Cattolica, per mezzo del quale si toglie qualunque esenzione ai Consoli esteri dal pagamento dei Dazj di qualunque genere
L'altro caso si verifica nel 1830. Un sacerdote modenese, Gabriele Lucchesini, sospettato di essere liberale e accusato d'insubordinazione scandalosa, viene messo sotto inchiesta dal Vescovo di Ancona e ricercato per essere arrestato.
Va però rilevato che, al suo arrivo nella città, il Lucchesini viene accolto nel palazzo di Mons. Marcelli, Delegato Apostolico, con il beneplacito del vescovo. Vi si trattiene oltre giugno, pur essendosi impegnato a lasciare Ancona alla fine di quel mese. Ricercato dalla polizia, si sottrae alla cattura, va ad Osimo, torna ad Ancona e quindi si reca a Loreto via mare, con l'aiuto del console Ferdinando Bernabej e del vice console sardo Giuseppe Baluffi.
Perso il fuggitivo, la giustizia pontificia vuole rivalersi in qualche modo e cerca d'interrogare i due rappresentanti consolari i quali, adducendo vari motivi legati alla pretesa e presunta loro intangibilità, cercano di sfuggire finché possono e, quando costretti, danno risposte evasive, soprattutto il Bernabej, tanto che il Segretario di Stato deve ribadire con forza al Delegato: «Le pretensioni del Bernabej sono scevre di fondamento. I consoli non sono che semplici Consultori e patrocinatori dei loro nazionali, e come tali non godono la protezione del dritto delle genti, ma rimangono sotto la protezione e la giurisdizione del Sovrano Territoriale nel cui Stato esercitano le funzioni consolari, e non vi godono di alcuna immunità reale e personale, molto più quando essi sono o per nascita o per domicilio sudditi del med°. Dovrà dunque egli restarsi agli eccitamenti della Curia Vescovile in sussidio di giustizia, qualunque sia il modo che si preferisca per esaminarlo ed a Lei incomberà di prevenirlo di ciò amichevolmente in mio nome.» L'interrogatorio finalmente avviene con esito soddisfacente, grazie all'intermediazione di Mons. Fabrizi, nuovo Delegato Apostolico, su direttive del Segretario di Stato, che aveva assunto un atteggiamento distensivo: «Parmi che se il Baluffi ed il Bernabej temino di compromettere se stessi per qualche parte ch'essi abbiano avuto in far uscire da Ancona, o in farvi entrare il Sacerdote Lucchesini, sia questo un timore panico, giacchè essi vi sarebbero stati autorizzati dalla P.maria Autorità Civile della Provincia, nè erano essi obbligati a sapere ciò che passava fra il Lucchesini e la Curia Vescovile»
In questo episodio si verifica una sovrapposizione del potere religioso a quello civile.

Sardegna
Oltre alle notizie sul Baluffi sopra riferite, si è appurato che, nel 1818, il console in carica era Fabio Baccarini.

Toscana
Il console generale toscano in Ancona, nel periodo compreso tra il 1828 e il 1830, era lo stesso console austriaco, il conte Giuseppe de Choch.Il 22 settembre 1832 il granduca nomina console toscano in Ancona Gabriele de Choch.
Pochi anni dopo, il 20 agosto 1836, Leopoldo II nomina suo console generale in Ancona l'avvocato Nicola Baldassarri, dal quale vengono concessi i diplomi di nomina di vice consoli a Fermo e ad Ancona. Nello stesso anno, il cancelliere generale è Francesco Ma Palma.
Nel febbraio 1837 il sovrano affida il vice consolato anconetano al conte Paolo Torriglioni che, nel 1843, viene designato console generale.
Nel 1836 copre la carica l'avv. Niccola Baldassarri, come risulta dalla lettera di trasmissione del decreto di nomina al vice console Fiori in data 7 settembre 1836, di cui si tratterà parlando della sede di Fermo.

Austria
Si hanno varie notizie sui rappresentanti dell'Impero Austriaco in Ancona.
Nel giugno 1818, l'ambasciatore imperiale informa il Segretario di Stato che il console generale in Ancona, Giuseppe de Berto, si è dimesso, «è in stato di fallimento ed è necessario sostituirlo subito con il Sig. Giuseppe Choch, già console a Salonicco. Prega quindi di accelerare la concessione dell'exequatur.»
L'autorizzazione provvisoria viene concessa sbrigativamente, anche se il Delegato Apostolico non è in grado di fornire altra informazione sul nuovo console «se non che abbia usato qualche stranezza per aver dal detto de Berto la consegna del Consolato, benchè sia tuttora sfornito delle Lettere patentali.»
Anche questa scelta risulta infelice, di lì a pochi anni.
Infatti il carteggio successivo riguarda l'arrivo del barone Buffa, destinato a gestire il consolato «in sostituzione del Sig. Giuse de Choch che si dice rimosso» e si ribadisce «Sembra fondata l'opinione invalsa costì che il Sigr Choch sia stato rimosso dall'impiego, e siasi quindi fatto luogo al rimpiazzo
La sostituzione si rivela difficile, perché l'anno successivo la sede è ancora vacante e si fa avanti Giacomo de Concina, che fa sapere di essere stato raccomandato al Nunzio di Vienna da Gregorio XVI, non ancora papa ma Prefetto di Propaganda Fide. Il de Concina vanta titoli di merito per aver impedito maltrattamenti agli ecclesiastici prigionieri a Cento in epoca napoleonica. Contemporaneamente il postulante briga anche per farsi destinare a Trieste come coadiutore del console pontificio, in attesa di assumere l'incarico di console di S. Santità in Grecia: nel maggio 1837 è già nella capitale ellenica.
Il 15 giugno 1832 l'imperatore nomina console generale il conte Godafredo di Welsersheim.
Un'ultima annotazione, peraltro importante: in una nota del 19 ottobre 1823, da Ascoli, si afferma che consoli ed agenti austriaci sono stati incaricati «di riferire con precisione qualunque innovazione possa farsi nei Domini Pontificj contraria all'ultimo Congresso di Vienna

Olanda
Moroni non cita rappresentanti di questo regno attivi in Ancona. E' stata trovata traccia solamente del riconoscimento del console olandese nel 1842, Giacomo Casaretto.

Francia
Grazie alla corrispondenza di Stendhal, si è in possesso di un ricco materiale concernente il vice consolato francese di Ancona, che permette di tracciare anche un quadro dall'interno della struttura.
Le carte d'archivio rintracciate riguardano invece prevalentemente tre vice consoli succedutisi negli anni '30 e pochi altri avvenimenti.
Si è già fatto cenno del console Neuron, del quale null'altro si sa.
Nel febbraio 1816 il Sig. Fromant sostituisce il vice console Gaspard Thomas Du Morey, per il quale il 6 giugno 1826 l'ambasciatore straordinario di Francia a Roma il 14 dello stesso mese chiede ed ottiene il riconoscimento quale vice console onorario di Ancona.
L'abate Paul Leoni è oggetto del successivo carteggio: il Delegato fa presente di aver ricevuto «l'avviso che nostro Signore ha riconosciuto il nuovo Re de' Francesi (ma che) l'Abbate Leoni continua a tenere alzato lo stemma di Carlo.»
Sembrerebbe una cosa da nulla, ma non lo è. Il Segretario di Stato scrive al Delegato: «Non è più permesso a chicchessia di tenere alzato ne' domini pontifici lo stemma del cessato Governo.
Tuttavia, siccome il far uso della forza contro chi si permette il contrario ha i suoi inconvenienti, a me, piacerebbe moltissimo che potesse trovarsi un modo onde cotesto Console di Francia s'inducesse a dimettere l'arma dei gigli da per se stesso. Né approverei già che questa meda insinuazione gli fosse fatta direttamente da persone che gliene portassero parola in nome del Govo; ma vorrei invece, che, se vi ha qualche privata persona, il cui credito potesse spendersi, per questo mezzo si eccitasse il console a porsi in regola (...) Intanto conviene dissimulare finchè non si richiami l'attenzione del Govo sulla irregolarità attuale da chi ne abbia un titolo legittimo

Invece la conclusione è, tutto sommato, banale, stando a quello che fa sapere il Delegato. L'abate dà una tinta di «un color giallo al campo dello stemma, di modo che non si scorgano ora che le insegne reali colla leggenda sotto = Vice Consolato di Francia =. Mi resta però a sapere se l'Abbate Leoni dirigendosi a me come V. Console Francese io l'abbia a riconoscere. A me sembra di no poichè non ha esibito le nove Lettere patenti.»
Il Segretario è molto più pratico. Soddisfatto del risultato raggiunto, rassicura il Delegato: «V. S. I. non abbia intanto alcun ritegno a riconoscere a Lui la qualità di Vice Console, giacchè non riferendosi questa a rappresentanza del Gov° ma bensì a tutela degl'interessi della nazione francese, non può in lui venir meno la sua qualifica, finchè altri non sottentri al suo luogo munito di nuova patente
L'evento è ormai prossimo a verificarsi e relegherà il Leoni a impiegato senza paga fissa, e poi, a cancelliere dell'ufficio di cui era stato titolare.
Infatti nel giugno 1831 il Segretario di Stato informa Ancona che è prossimo l'arrivo di un nuovo vice console, Federico Quilliet: «le relazioni che io ne ho, mi fanno essere sospetti i suoi principj, e quindi il contegno ch'egli sarà a tener costì. Senza che il med° giunga ad avvedersene, io desidero che V. S. I. lo faccia sorvegliare attentamente per darmene conto a misura che le relazioni ch'Ella sarà per ricevere si renderanno importanti. Ciò non toglie che V. S. I. abbia a lasciargli esercitare provvisoriamente il suo ufficio, e che anzi procuri di obbligarlo ne' limiti convenienti.»
Effettivamente il Quilliet non doveva essere un galantuomo, non tanto sotto l'aspetto politico, quanto sotto l'aspetto amministrativo, perché non durò molto nell'incarico, come apprendiamo da Stendhal, che lo riprende molte volte per la disinvoltura con cui emette ordini di pagamento a proprio nome, senza esserne autorizzato, e per il disordine con cui tiene la contabilità.
Subentra il marchese Pietro Bourbon del Monte di Santa Maria, che pure darà qualche preoccupazione a Stendhal, perché inesperto dell'amministrazione francese (allora ad Ancona era di stanza una forza navale e terrestre francese che doveva essere sostenuta amministrativamente dall'ufficio consolare), poco sollecito nel disbrigo delle pratiche d'ufficio e, più tardi, sospettato di essere in contatto con emissari del ducato di Modena, strettamente legati al consigliere di Gregorio XVI, Sebregondi, ascoltato fautore della più stretta alleanza del papato con l'Austria e, quindi, potenzialmente, ostile alla Francia. Il del Monte rimane in carica fino al 1838, quando l'ufficio viene elevato a consolato ed affidato al Sig. Duault, già console a Patrasso.
Il vice console anticipa la notizia alla Segreteria di Stato, che lo ringrazia per la sua opera molto apprezzata e che, probabilmente, gli varrà la carica di console belga in Ancona. Seguono altre carte relative ad indagini su una lettera anonima minacciosa, spedita nel 1840 da Rimini al console Francese e sull'insediamento del nuovo cancelliere Thiers nel 1841. Gl'informatori lo descrivono come uomo molto attivo: Risulta anche che «il noto di lui parente (gli ha) fatto avere espressamente il suindicato posto, perchè non potea convenientemente ritenerlo più vicino a se (...) aver esso effettivamente molto viaggiato, saper varie lingue, aver del talento, ma essere un soggetto ben poco raccomandevole e sicuro sotto gli altri rapporti
Il "noto di lui parente" evidentemente è il primo ministro e ministro degli esteri francese, Louis-Adolphe Thiers.
Su questa griglia vanno ad inserirsi alcuni stralci delle lettere di Stendhal.
Non è del tutto inutile premettere che lo scrittore, alla ricerca di mezzi di sussistenza, era stato inviato a Trieste come console francese, ma senza ottenere il gradimento delle autorità austriache. Per sistemarlo a Civitavecchia furono quindi esercitate pressioni sul governo pontificio, ottenendo l'exequatur «sans autre maneuvre grâce que d'indiquer très confidentiellement combien un autre choix aurait paru désirable au gouvernement de Sa Sainteté.»
Stendhal confessa «Je ne sais si les usages du ministère permettent à un simple agent commercial de présenter autre chose dans sa correspondance que les faits politiques qu'ont lieu dans son arrondissement. La gravité des circumstances semble m'indiquer qu'il est de mon devoir de communiquer non pas des faits, je n'ai été témoin d'aucun fait important, mais des dispositions de l'esprit public que peuvent conduire à des faits
"J'ai établi les rapports les plus désirables avec les autorités du pays, et M. l'Ambassadeur a daigné, plusieurs fois, rendre hommage à la façon dont se fait le service du consulat que S. M. m'a confié.»
E' con questo spirito che si dedica al suo compito, riempiendo pagine e pagine di rapporti banali e convenzionali, ma anche di succose, interessanti ed importanti relazioni, soprattutto quando indulge a parlare della corte papale, degli uomini al potere,degli intrighi che si tessono e degli umori della popolazione. Si andrebbe completamente fuori tema se gli si dedicasse tutto lo spazio che merita: ci si limita perciò a ricordare solo alcune lettere riguardanti più propriamente l'attività consolare.
Nella circolare con cui si presenta ai vice consoli e agli agenti consolari, raccomanda di essere solerti nell'inviare le comunicazioni, che devono giungere tempestivamente a Parigi. Per le informazioni politiche - e qui si potrebbe riprendere il solito tema della liceità o illiceità di questa attività spionistica - chiede che siano distinte in tre categorie: «1°- Ce que vous avez vu; 2° - ce qu'est un bruit accredité parmi les gens sages; 3° - ce qui se réduit à un simple bruit de ville, à un simple on dit.»
E altrove, a del Monte: «En un mot, Monsieur, les consuls de France doivent envoyer aux négociants français pour S.E. M. Le Ministre des Affaires étrangères, tous les renseignements généraux qui peuvent ˆtre utiles au commerce français, et servir de contrôle aux renseignements particuliers. Jusqu'ici le commerce français a reçu bien peu de renseignements sur ce qu'il est possible de tenter dans le golfe Adriatique
I suoi corrispondenti a Parigi sono il ministro degli esteri - che qualche volta ha anche la carica di Primo Ministro - e quelli del Tesoro e della Marina, l'ambasciatore a Roma, i comandanti navali e terrestri francesi ad Ancona, ecc. ecc., di cui ricordiamo solo alcuni nomi: il conte Sebastiani, il conte de Sainte-Aulaire, il conte de Rigny, il barone de la Susse, il duca de Broglie, il marchese de Latour-Maubourg, l'ammiraglio Jacob, il generale Bernard, M. Thiers, M. Guizot, il Maresciallo Soult, l'ammiraglio Roussin e tanti altri, che pretendono notizie sicure e valutazioni affidabili, in tempi brevi, su tutto ciò che succede in Italia.
Così Stendhal invia a Parigi il bilancio dello Stato («L'un des plus grands secrets de l'Etat, c'est le budget (...) on dit qu'il n'est pas connu de vingt personnes. On me l'a offert à acheter.»); notizie sui programmi navali e sulla considerazione goduta dalla marina pontificia; sulla disastrosa situazione dello stato («Le cardinal Bernetti (...) finit par dire (...) Nous sommes en complète désorganisation, en véritable anarchie, nous n'avons plus le sou. Je suis cardinal et je ne suis pas cardinal» - «Rien ne se passe naturellement, simplement, raisonnablement (...) Les employés meurent de faim à la lettre, ils doivent chez le boulanger, l'épicier, et voilà qu'on leur demandeà officiellement de contribuer à un emprunt» - «On ne lit pas dans ce pays-ci; on pourrait ajouter on n'écrit pas. Un sujet da Sa Sainteté ne saurait jamais placer dans une lettre les détails caractéristiques et nécéssaires pour donner à qui lit une idée juste et complète; il n'y aè d'exception que pour le procès (...)Un préfet se moque absolument du Ministère de l'Intérieur, n'agit que d'après le caprice du moment et feint presque toujours d'avoir mal entendu les ordres du Ministre.» - «Il est de la plus haute importance, en ce pays, comme vous le savez mieux que moi, de ne pas se laisser vexer: une trop grande longanimité aménerait bientôt des procédés intolérables et de la part des derniers subalternes»); sui piani di riforme proposti e mai realizzati; sulla delinquenza in Italia e sulla pena di morte; sull'operato dei consigli provinciali di Civitavecchia ed Ancona; sulle conseguenze dell'attentato di Fieschi a Luigi Filippo; sulle imposte di Civitavecchia; sul nuovo codice civile e di procedura; sulla visita del Papa a Civitavecchia; sull'assassinio commesso da Pietro Bonaparte; sull'atteggiamento degli Italiani verso i Francesi; sulla situazione in Toscana.
A fianco di questa corrispondenza sviluppa quella più strettamente d'ufficio, riguardante le statistiche sul commercio e sul traffico marittimo nei porti pontifici; le disposizioni sanitarie sulla quarantena; l'aumento dei dazi; la ventilata soppressione del porto franco a Civitavecchia; gl'incidenti marittimi; le spese sostenute dagli uffici consolari per il proprio funzionamento e per la marina francese; la Fiera di Senigallia; le tariffe consolari e le formalità di rilascio e vidimazione di documenti e passaporti; il mercato del fieno, del grano e della pozzolana; le dogane pontificie; la pesca del corallo; le statistiche commerciali; gli screzi con il proprio cancelliere; le divergenze di vedute con i vice consoli in Ancona (M. Quilliet ne se hâtait point de répondre à mes lettres les plus pressantes (...) Il m'est pénible d'avoir l'apparence d'un tort.
Ces retards proviennentexpréssement du peu d'habitude des affaires de M. Quilliet. Le nouveau v. Consul, M. le marquis del Monte Santa Maria, d'ailleurs fort recommandé, fait en matière des finances exactement le contraire de ce que je lui recommande); la difesa degl'interessi francesi.
Non si vuol certo sostenere che si possano leggere le tante pagine profuse da Stendhal console con lo stesso piacere con cui si leggono quelle di Stendhal romanziere, conoscitore d'arte o viaggiatore, ma la penna e l'uomo sono inconfondibilmente gli stessi e ce se ne rende conto.
Non per niente è certamente con una punta d'orgoglio che scrive: «Sur cent étrangers qui passent ici (et en 1839 cinq mille sont allés à Rome), cinquante veulent voir le célèbre brigand Gasparone et quatre ou cinq M. de Stendhal. Le consulat n'était rien avant 1831; maintenant c'est un des plus occupés, c'est un bureau de poste»»-«Toute la partie de la surveillance à exercer n'existait pas avant 1832. Par exemple, il faut surveiller les Manuelistes, les Carlistes, les embarquements de poudres, les navires suspectes, les mouvements du port. Il faut rectifier les rapports des voyageurs français avec la place, de se tenir au courant de tout ce qui se passe et en donner avis à l'Ambassade du Roi à Rome et souvent aussi à celle de Naples (...)

Belgio
Abbiamo accennato, nel paragrafo precedente, alla promessa fatta al marchese Pietro Bourbon del Monte, all'atto del suo congedo dal vice consolato francese in Ancona. L'impegno venne rispettato: infatti il diploma di nomina da parte del re Leopoldo, in data 5 dicembre 1838, vidimato l'anno successivo, è conservato all'ASR.

Spagna
Un reclamo avanzato a seguito di un colpo di calcio di fucile, ricevuto da "Vincenzo Radovani, nuovo console di Spagna, vestito interamente alla borghese, e con sola coccarda al cappello tondo", il 30 dicembre 1815 mentre si aggirava tra i curiosi assembrati nella piazzetta S. Maria, è una delle poche tracce reperite dell'esistenza del consolato di Spagna in Ancona.
Il Delegato Gazzoli punisce con 6 giorni di prigione il soldato responsabile, ma il console protesta esigendo maggiore severità. Il prelato riferisce in merito al Segretario di stato, facendo presente tra l'altro che «d'altronde il Console non ha alcuna rappresentativa diplomatica, meno l'incarico di proteggere il commercio della sua nazione, siccome mi insegnarono anche i precedenti dispacci di V. E. toccanti l'argomento
Nonostante l'intervento del Ministro di Spagna a sostegno della richiesta del console, il Cardinale approva la condotta del Delegato, che non aggrava la pena inflitta.
Inoltre, nel 1823, in occasione dei moti rivoluzionari in Spagna, vengono abbassate le armi dalla sede del consolato tenuto da Vincenzo Angelo Radovani, che viene sostituito dal cancelliere Leopoldo Archibuggi. Il 10 dicembre 1825 viene richiesto di poter alzare nuovamente le insegne nazionali.

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