"Ruppete tutte le macchine con la targhe de Uffide !"
"le stranezze de li furastire"
"Piazze de lu sennere"


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IL MITO del DIALETTO grottammarese


I CENTO ANNI di MENECHINA: il ricordo di una visita
Giovedì 22 settembre del 1892 alle ore 23,40 nella casa posta in Via Borgo nuovo di Grottammare vede la luce Menechina (al secolo Zaccagnini Domenica), la mamma si chiama Pasqualina Macellari e il padre Antonio (anni 29, calzolaio, così è scritto nel registro di nascita, in realtà il padre fu materassaio). E' secondogenita, prima nasce Maria, poi in ordine Giulia ed Ernesta.
La nascita di Menechina viene registrata ufficialmente al Municipio di Grottammare (n°98 di registro delle nascite) il giorno 27 settembre (giovedì) alle ore 16,30; gli vengono imposti 3 nomi: Domenica, Septimia ed Anna; i testimoni di questa registrazione di nascita sono: Loy Giambattista (51 anni) e Nardinocchi Giacomo (51 anni), rispettivamente impiegato ed uscire di questo Comune). Viene battezzata domenica 9 ottobre 1892 dal cappellano Luigi Marsili, dal registro dei battesimi (n°103) leggo che vengono confermati gli stessi nomi tranne l'ultimo che viene cambiato in Giulia; i padrini furono Luigi Pagnotti e Domenica Rivosecchi.
Menechina frequenta la scuola delle suore Teresiane sito nelle vicinanze del castello di Grottammare, dove oltre ad attendere allo studio dell'alfabetizzazione (prime 3 classi elementari) si cerca di imparare il mestiere di ricamatrice. Filtrando i ricordi di Menechina e dei familiari che oggi le vivono accanto, si viene a sapere che aveva poca voglia di studiare ed allora le monache, per compensare, la mettevano in cucina a dar una mano nella preparazione del pasto (l'Istituzione forniva solo il primo piatto); nei giorni in cui il menu stabiliva che la pietanza fosse pasta e fagioli, poichè Menechina era particolarmente ghiotta di quest'ultimi, tra assaggi e sottrazioni di fagioli in tavola ne arrivavano ben pochi !
Successivamente va a lavorare in Filanda, ma essendo donna libera nel senso più ampio e gioioso della parola, passa la sua vita ad aiutare la gente (contadini e pescatori) nel mercato (quando non aiutava il padre). Nel 1939 la sorella Ernesta emigrando in America gli lascia in gestione i bagni (il famoso Bagno Giulia), attività che gestirà fino a quando le gambe e "le stranezze de li furastire" non la costringono a mettersi a riposo. Per il suo carattere allegro e sportivo ha viaggiato molto ed in compagnia, è famoso il toponimo affibbiato a Piazza Esedera di Roma, Menechina la chiamava "Piazze de lu sennere" (piazza del sedano).
Menechina è stata sempre convinta di arrivare a cent'anni, e questo per 2 motivi: primo perchè aveva una "zia Teresa" che era arrivata a quest'età, secondo perchè non si è mai assoggetta allo stress quotidiano del vivere, il mangiare e dormire quanto se ne sente il bisogno. I risultati finora le hanno dato ragione ! Io aggiungerei un terzo motivo (qualcuno lo definirà campanilistico): l'aria "de Llegrotte". Poco tempo fa è morta la sig.ra Di Salvia (sorella della madre del compianto Emidio Marconi), età 102 anni, Vito Clementi mi diceva che alla Fondazione Pelagallo vi sono state altre centenarie. Se la statistica ha un significato .... per Llegrotte !

Cronaca di una visita.
Domenica 27 settembre 1992 alle ore 11 tre grottammaresi (Mario Petrelli, Verdecchia Giuseppe ed il sottoscritto) si sono recati a far visita a Menechina, la giornata era bellissima e calda.
Lo scopo della visita, già programmata da tempo ed inserita in un contesto molto più ampio (visiteremo anche altri personaggi locali di un certo interesse), aveva l'intento di documentare (per i posteri e per la memoria storica di Grottammare) in forma stabile e con mezzi moderni l'immagine di una persona che definisco un "mito del dialetto grottammarese" e un "pilastro del folclore locale". I mezzi usati per questa memorizzazione stabile sono stati: diapositive e telecamera con sistema VHS.
Sapevamo che l'età del personaggio poteva riservarci delle sorprese, nel senso di una non disponibilità psicologica e caratteriale a dialogare, queste sorprese, se si fossero verificate, avrebbero di fatto annullato lo scopo di sentire dal vivo (e quindi memorizzare) la voce di un personaggio che si è sempre espresso e si esprime in dialetto grottammarese. Per scaramanzia Mario Petrelli declamò a mezza voce la preghiera-invocazione a Sisto V (quella pubblicata nell'ultimo suo libro "L'uje, lu sale e lu pepe del Llegrotte") per la buona riuscita della visita.
L'impatto iniziale della visita ci è apparso un pò impacciato: da un lato noi tre felici per questo incontro ravvicinato con la centenaria, dall'altro lato Menechina che ci osservava con cipiglio annoiato (forse in segno di turbamento oppure di irritazione), come per dirci "Ma chi siete ? che volete ?". Dopo le prime frasi di convenienza e di presentazione, ci venne consigliato di farci riconoscere indicando a Manechina i soprannomi delle nostre famiglie (es. il mio: Bacina).
Qui avvenne il primo miracolo: Menechina con lo sguardo più rasserenato e disponibile ci dice che ci aveva inquadrato.
Gino Catasta ci raccontò che Menechina il giorno del suo compleanno aveva scherzato e cantato; il nostro tentativo quindi fu quello di riuscire a filmare Menechina che parlava e magari cantava.
Peppino Verdecchia cercò un coinvolgimento mnemonico raccontando un episodio calcistico: c'era stata una partita della Robur con l'Offida che si era risolta in favore di quest'ultima, Menechina tifosa incallita (buttava sale sulla porta per scaramanzia) mal sopportò questa sconfitta ed a fine partita incalzò gli altri tifosi roburini con questa frase: "Ruppete tutte le macchine con la targhe de Uffide !". Menechina ci fece segno di ricordare l'episodio.
Il secondo miracolo si verificò quando Mario Petrelli ebbe l'intuizione di fare le domande parlando in dialetto grottammarese. Menechina si sentì subito a suo agio sia nel comprendere che nel ricordare, finalmente qualcuno che colloquiava con il "suo linguaggio", un linguaggio che l'accompagnava da cent'anni. Il lessico delle parole, la pronuncia e l'inflessione tra Mario e Menechina sono risultati identici (con buona pace per coloro che si ostinano ancora a credere che il dialetto pubblicato da Mario sia artificioso e quasi personale); ho notato solo una differenza: Mario si sforzava nel parlare in dialetto (condizionato dall'italiano), Menechina invece parlava e si esprimeva con naturalezza come faceva fin dalla fine dell'ottocento ! (1)
Abbiamo chiesto a Menechina cosa avrebbe preferito mangiare, questi i cibi o pietanze che più la stuzzicavano: una bistecca, un piccioncino arrosto, salcicce di fegato, quando abbiamo suggerito un'insalata si è espressa in una chiara ed inequivocabile smorfia di disgusto, e per finire un cognac ! Abbiamo saputo anche che è golosa di vino cotto, che volentieri mangia un bel tuorlo d'uovo a merenda.
Mi sorge un altro sospetto: che sia questa dieta grottammarese per arrivare con spensieratezza a cent'anni ?
Man mano che passavano i minuti veniva fuori lo spirito, oserei definire goliardico, di Menechina, l'immagine di una donna brillante e pronta nelle battute come io l'ho conosciuta (da ragazzo mi chiamava «paraculetto», nel senso bonario della parola, ma che poi ricordando bene con quest'aggetivo identificava tutti coloro che conosceva ma di cui non ricordava il nome), alla domanda di Mario di come si sentiva rispose: "Come il tè, nè male e nè bè".
Il terzo miracolo si è verificato quando Mario ha chiesto a Menechina, che nel frattempo si era trasferita dalla cucina in giardino a godersi il bel sole su una poltroncina di vimini, se aveva voglia di intonare con lui la canzone "Quel mazzolin di fiori...". E così è stato. Non solo, ma poi ha continuato con "O sole mio...", e poi con "Volare..." e poi con un assolo di una canzoncina-stornello (a me è sembrata un pò maliziosa) che nessuno di noi aveva mai sentito perchè di origine locale. Le parole: "Sono andata in alta montagna / a sentire a cantare gli uccelli / canarini e poi fringuelli / e poi tutti gli uccelli ..."

Riflessioni su questa visita.
Se non avessi il timore di un'invadenza o il dubbio di procurare stanchezza nel colloquio mi sarebbe piaciuto conoscere, analizzare e vedere il mondo (gli avvenimenti, gli uomini, la genesi delle idee, ecc.) attraverso l'esperienza di questa donna, filtrati dalla capacità (anche semplicistica o campanilistica come qualcuno vuol definirla) del divenire quotidiano in un contesto sociale come quello di Grottammare (1892-1992).
Al di là di questa idea-voglia, l'esperienza di questa visita per me è stata positiva, nel senso che è stata un'occasione per stimolare la capacità di riflettere su noi stessi in funzione dell'esterno, "l'essere uomo non è un istinto messoci dentro dalla natura ma una faticosa conquista fatta di ora in ora, di giorno in giorno, di anno in anno e poi trasmessa di mano in mano come la fiaccola che corre verso Olimpia".
"Il farsi dell'uomo" scriveva ancora Luigi Confalonieri "è una fatica collettiva, la civiltà appunto, ma è anche una fatica privata a cui nessuno può sottrarsi, .... L'uomo d'oggi tende a lasciare la responsabilità del suo farsi a enti astratti come la Scuola e lo Stato. La colpa di ogni insuccesso viene così riversata su questi enti astratti, dimenticando che non sono astratti ma formati proprio da uomini. E se questi enti non funzionano è perchè gli uomini che li impersonano sono stati anch'essi, forse, incapaci di farsi. Questo rifiuto di assumere le proprie responsabilità è il carattere principale della civiltà moderna, una grave mancanza che potrebbe portarci cerso uno sviluppo a rovescio...".

Conclusione.
Se così non fosse, sarebbe vera l'immagine di una vignetta apparsa su un settimanale satirico inglese moltissimi anni fa: in primo piano si vedevano due rondini posate sui fili della luce che guardavano giù una spiaggia piena di bagnanti. Una rondine commentava all'altra: "Un oscuro istinto li conduce qui tutte le estati".

NOTE
(1) - Questa nota mi da l'occasione di una riflessione. Ogni giorno leggo sui giornali la disperazione di linguisti che gridano :"la lingua italiana sta morendo e la lingua di Dante scomparirà".
Un esempio dal Carlino del 3 ottobre 1992: «L'unità politica attraverso il poliglottismo: applauditissimo Umberto Eco a Parigi. La strana lingua degli europei del Duemila». Alla fine di una lezione al College de France Eco traccia con un gesso una frase alla lavagna "La plus speedy des pizzas" e aggiunge "Sono le parole di un manifesto pubblicitario che ho visto a Bruxelles pochi giorni fa: un esempio perfetto di come potrebbe essere l'Europa poliglotta di domani. Certo, la lingua usata per questo slogan non è delle più raffinate: ma suppongo che in fututo si possa far meglio".
La realtà è questa e la Storia ce lo conferma: tutte le lingue muoiono di minuto in minuto. Ragioni storiche e sociali (unificazione di diverse culture,facile linguaggio interclassista dei mass-media, mondo visto per immagini, perdita di vocaboli perchè divenuti astratti per il non più uso - es. il calamaio -, oppure assimilazione di nuovi vocaboli stranieri - es. computer, killer, star, fiscal drag , ecc.).
Ogni individuo capisce quello che gli dice suo padre, ma se ci allontaniamo di diverse generazioni si scopre una lingua man mano diversa fino a divenire totalmente differente. A riprova di queste considerazioni un esempio: il latino è una lingua morta (nel senso che non si parla più), ma non è mai esistito l'attimo preciso della sua morte, questa lingua si è spenta di giorno in giorno.
Altro esempio: l'inglese del Mille era totalmente germanico, oggi è un misto germanico-neolatino.
Quindi, per tornare a Llegrotte, l'accettazione del dialetto grottammarese, pur nelle sue sfumature e varianti che si possono individuare, non è da giudicare "impropria, deviante, espressione personalistica di vari interpretii (noti o popolani)", nè il loro prevalere una forma di popolarità più o meno prefabbricata.
L'auspicio che mi auguro è che non vengano persi questi patromoni linguistici (nel senso più ampio del fenomeno sociale), si facciano pubblicazioni e riedizioni (ma anche filmati, registrazioni, ecc.) al fine di creare quel senso di continuità culturale locale, soprattutto in previsione di un'accettazione (più o meno giustificata) di una società multirazziale in formazione (Grottammare assomiglia sempre più ad una cittadina cosmopolita sia per immigrazione di polazione dai paesi limitrofi, sia per una immigrazione esterofila non programmata e filtrata di vù cumprà, albanesi, slavi, ecc.).
Se così non fosse ci avvieremo inevitabilmente verso un'autodistruzione culturale con la nascita di una società locale anonima, ibrida, e imbarbarita. Grottammare rischia di diventare, per dirla con una parola straniera, una grossa "favelas", agglomerato privo di identità morale e sociale.
Questo argomento comunque merita di essere rianalizato prossimamente su queste pagine !
Lillo Olivieri (settembre 1992)

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