OPPOSIZIONE IV


Sull'antico e famoso porto romano-medievale di Cupra-Marano, sul suo importante commercio marittimo e sugli altri porti di Sant'Andrea e Boccabianca secondo il monaco Bernardo Faustino Mostardi e secondo altri autori.
Leggo in una recente guida museale locale di argomento archeologico, uno striminzito trafiletto che parla di un porto esistito a Cupramarittima-Marano in epoca romana: "Cupra Maritima aveva un approdo fluviale alla foce del Menocchia, al quale si accedeva dalla porta settentrionale dell'abitato romano che si estendeva alle pendici nord-orientali della collina della Civita: seppur non citato dalle fonti letterarie lo provano alcuni resti del molo e degli ormeggi venuti alla luce nel dopoguerra lungo la S.S. n. 16 Adriatica". È questo, in ordine di tempo, l'ultimo tentativo di concretizzare una leggenda creata nel lontano 1959. In quell'anno, il Soprintendente per i Beni Archeologici delle Marche Giovanni Annibaldi, descrivendo sull'Enciclopedia dell'Arte Antica la città romana di "Cupramarittima", riferiva: "... La città era lambita dal mare che giungeva fino ai piedi del colle, come è accertato da tracce del molo romano con ormeggi emerse anni or sono da scavi a N della statale" (sic!!) - cosa significa a nord della Statale? Dove? La Statale Adriatica inizia a Padova e termina ad Otranto - Nella sua breve, vaga ed imprecisa descrizione, l'Annibaldi non dice di aver visto tali resti, ne di averli rinvenuti egli stesso con una campagna di scavi, come invece si è sempre scribacchiato in seguito, ma sembra capire che la notizia gli sia stata raccontata da qualcuno; del resto non esiste alcuna documentazione su ciò. Giovanni Annibaldi era un esperto di porti antichi, la sua tesi di laurea trattava appunto sull'antico porto di Ancona, quindi se fosse stato l'esecutore degli scavi avrebbe certamente steso una trattazione o una relazione ufficiale in proposito, invece niente di tutto questo . Ho svolto una lunga ricerca d'archivio per appurare se in quegli anni l'Annibaldi, o chi per lui, compì degli scavi in quel sito, ma senza ottenere risultati; le mie indagini, in linea di massima, coincidono con le ricerche compiute dal Dott. Manlio Lilli nel 1995, il quale, a proposito del porto romano di Cupra, scrisse: "... La ricerca archeologica non ha ancora rivelato l'esistenza di strutture riferibili ad un impianto portuale. Infatti l'unico dato al riguardo - le tracce del molo romano con ormeggi, ricordato dall'Annibaldi - è solo con difficoltà "fruibile", dal momento che la mancanza di riferimenti dettagliati alle circostanze del rinvenimento e ai caratteri costruttivi, impedisce di offrire una puntuale localizzazione del rinvenimento... Su questi rinvenimenti, non ho individuato altro tipo di documentazione, né in bibliografia, né nelle pratiche dell'Archivio della Soprintendenza Archeologica delle Marche" . Gli "storici cuprensi" che anni dopo hanno scritto su questa "scoperta archeologica" attribuita all'Annibaldi, hanno rivelato non solo una certa approssimazione nel riferire questa notizia, ma anche una evidente discordanza e una reale confusione; leggiamo le loro affermazioni:
Il Mostardi, in un suo volume dedicato a San Basso edito nel 1962, scrive a pag. 117: "La città era lambita dal mare, che giungeva ai piedi del colle, come accertato da tracce del molo romano con ormeggi, emerse anni orsono da scavi a ovest della strada statale"; sempre il Mostardi, nel suo volume "Cupra" del 1975 scrive a pag. 135-136: "... Nella costruzione della strada nazionale, sono venuti alla luce, come attesta Annibaldi, i muri con gli ormeggi per le navi... Il porto doveva avere i suoi moli, come prescrive Vitruvio Pollione; ma le maree e le sabbie li hanno fatti scomparire"; la Fortini nel suo opuscolo "Cupra Maritima" del 1981 scrive a pag. 24: "... Avanzi dei moli e degli ormeggi furono rinvenuti dall'Annibaldi nell'immediato secondo dopo guerra durante i lavori della strada statale 16. Secondo testimonianze orali, resti del molo sarebbero conservati in proprietà..."; l'Alfieri nel 1990 scrive: "... Nella cortina settentrionale si apriva una porta, dalla quale si scendeva al porto fluviale nello slargo di foce del Menocchia. Alcuni resti del molo e degli ormeggi sono venuti in luce, in questo dopoguerra, lungo la S.S. n. 16 Adriatica"; il Ciarrocchi nel 1992 scrive: "... L'esistenza di un porto commerciale a Cupra Maritima è dimostrata dal rinvenimento delle relative strutture individuate negli anni '50 da G. Annibaldi"; il Colonna nel 1992 scrive: "... Scalo portuale più rilevante... è da localizzare nello slargo di foce del torrente (Menocchia), dove sono stati visti gli imponenti resti del porto romano"; il Beranger nel 1992 scrive: "... L'abitazione, (casa Morganti) ancora oggi, svetta con la sua imponente mole sul lato sinistro della Statale Adriatica ai margini dell'area occupata, con molta probabilità, dallo scalo marittimo del quale l'Annibaldi rinvenne i resti degli ormeggi"; la Fortini ancora nel 1992: "... La ricerca archeologica testimonia l'esistenza di un molo lungo la SS. 16 Adriatica. Negli anni '50 G. Annibaldi individuò ormeggi in pietra in un punto non meglio definito di detta strada"; la Frapiccini nel 2000 scrive: "... Esigui sono i resti relativi al porto della città, evidenziati da una campagna di scavi degli anni '50, eseguiti ai piedi della collina della Civita, lungo la SS 16 Adriatica, da cui emersero un molo ed ormeggi in pietra; non fu possibile, in base alle scarse evidenze, determinare se si fosse in presenza di strutture inerenti ad un porto-canale"; la Percossi Serenelli nel 2002 ancora scrive: "... Del porto della città, così importante per l'economia cuprense, non si hanno notizie dalle fonti letterarie. È l'archeologia che questa volta viene in soccorso, consentendo di rimettere in luce lungo la S.S. 16, ai piedi della collina della Civita, in località Santi, un molo e ormeggi di pietra oggi non più visibili". Tutti costoro sono sicuri dell'esistenza di questo porto, del quale sono stati rinvenuti gli imponenti resti (moli e ormeggi), ma nessuno li ha visti; tutti parlano di una campagna di scavi effettuata, ma nessuno conosce né quando sia stata compiuta né dove sia stata eseguita; altri dicono che il rinvenimento fu fortuito, altri dicono che l'Annibaldi rinvenne tali resti durante la costruzione della S.S. 16 (forse il Sovrintendente era un ingegnere del Genio Civile?), qualcuno parla addirittura di un porto fluviale; occorre dir altro? Certo.
Si è tentato di legittimare questa "falsificazione archeologica" chiamando in causa un misterioso contadino locale, il quale all'epoca sarebbe stato testimone e collaboratore dei presunti scavi eseguiti dall'Annibaldi, come se quest'ultimo fosse stato un volgare tombarolo intento a dissotterrare furtivamente qualche tesoro. Tale testimonianza dal colono "fu resa all'Archeoclub di Cupra negli anni settanta con dovizia di particolari" (sic!!!).
Ma dove sarebbe collocata questa cosiddetta "zona portuale" con i presunti moli e ormeggi? Secondo costoro, tutti sostenitori dell'ipotesi mostardiana accettata sino alla fine degli anni '90 del secolo scorso, la zona si individua al Km. 375,800 della S.S. 16 Adriatica, presso una casa della proprietà Morganti. In verità, gli unici rinvenimenti accertati in quel luogo avvennero fortuitamente nel 1912, durante la costruzione di quella casa situata sulla Strada Statale (nei pressi dove secondo gli studiosi cuprensi, Annibaldi vi avrebbe individuato il molo e gli ormeggi); qui vi fu trovato un resto di muro di fattura romana, e tre grandi dolii (ancora oggi interrati sul posto) ma nessuna presenza di moli o ormeggi. Secondo la maggior parte degli autori sopra nominati, l'esistenza di questo porto altro non sarebbe che una continuità storica di uno scalo naturale frequentato in epoca preromana e micenea, conferma attestata dalle ceramiche corinzie e apule rinvenute nelle tombe picene, nonché da un frammento di ceramica micenea ritrovato a Monsampolo del Tronto. Se un'ipotesi del genere potrebbe essere più o meno accettabile, questo però non giustifica l'esistenza di un proto-scalo naturale a Marano:
  • I) - perché in quella zona sembra che non vi fosse un'insenatura naturale in funzione di scalo marittimo;
  • II) - la maggior parte dei vasi grecanici e messapici fu rinvenuta sulle colline di Grottammare, in contrada San Paterniano, dove nella sottostante costa vi era una reale insenatura naturale, probabile antico approdo che nel medioevo sarà trasformato in porto;
  • III) - come accertato da studi più approfonditi, un possibile approdo di epoca antichissima sembra che fosse stata la foce del fiume Tronto, l'unico corso d'acqua della zona forse "parzialmente navigabile" in quei tempi.
    Nella fantomatica ricostruzione di questo porto di epoca augustea, presente nel volume Cupra del Mostardi (Tav. XXIV), vediamo due moli imponenti distanti fra loro circa 400 metri, che racchiudono un grande bacino portuale non secondo ai maggiori porti dell'Italia antica. Tale porto è collocato in una zona di costa lineare priva di qualsiasi naturale rientranza, oltretutto in quel sito, il fondale marino o doveva essere particolarmente basso o addirittura inesistente, visto che a circa 350 metri a sud, sempre alla stessa quota metrica della Strada Statale, sono state ritrovate strutture di ambienti di epoca romana (zona distributore Erg, ex Agip), e una piccola necropoli.
    A circa 3 Km a sud dell'attuale Cupramarittima c'è Grottammare, qui l'esistenza di un antichissimo porto sarebbe confermata dai particolari caratteri geo-morfologici che distinguevano la zona; a quanto mi risulta, antichi documenti d'archivio attestano che sin dall'alto medioevo esisteva un porto con un molo artificiale che alcuni storici, come lo Speranza, vogliono far risalire giustamente all'epoca preromana. Inoltre il canonico Mascaretti in un suo opuscolo sull'argomento scritto nel 1865 ricorda: "Nel primo scoglio della parte della nostra scogliera, che trovasi coperta di ghiaie sul lido, scorgesi una colonnetta da ormeggio"; forse gli autori sopra citati si sono ispirati al porto di Grottammare nello scrivere le loro storie?
    Sul finire del secolo scorso, i cultori della scuola archeologica maranese-cuprense, forse consci dell'infondatezza delle loro certezze, accantonarono il modello del porto classico partorito dalla fantasia del Mostardi e si orientarono verso un nuovo impianto portuale che reputarono più idoneo ai loro nuovi "studi", ma che ancora di più suscita incredulità: il bacino artificiale con scavo entro terra. Questo sarebbe da individuarsi fra l'insediamento romano della Civita e il torrente Menocchia. Anche questo porto, dicono, avrebbe origine da un'insenatura naturale esistente sin dal V-IV secolo a.C., la quale, in epoca augustea sarebbe, stata modellata e sistemata con muri di contenimento; il muro a settentrione, prolungato in mare circa 200 metri, fungeva da molo sopraflutto per riparare l'approdo dalle correnti provenienti da nord, mentre la zona portuale sud era munita di un'ampia darsena terminante sempre con un molo . La distanza fra i due moli è di circa 400 metri, mentre il canale portuale imbutiforme si inoltra nell'entroterra di altri 400, con una larghezza che oscilla tra i 60 e i 100 m circa; quasi un'opera faraonica.
    Se è noto che gli antichi romani hanno realizzato grandi porti con l'ausilio di moli, o bacini portuali con lo scavo entro terra, è pur vero che essi operarono la dove esistevano i presupposti geomorfologici idonei per un approdo, quali insenature naturali o foci di fiumi rilevanti, o dove esistevano città amministrativamente importanti toccate dalle grandi rotte commerciali del mediterraneo. Costruire moli imponenti, compiere uno scavo del fondale marino con l'impiego delle correnti o realizzare bacini artificiali entro terra, erano opere costosissime, volute e realizzate direttamente dagli imperatori, quindi non si capisce come queste strutture colossali siano state edificate presso una piccola colonia romana quale era la "Cupra Maritima", e per di più senza lasciare una minima traccia. L'improbabile esistenza di un "grandioso porto" nella Cupra Maritima romana, è soprattutto confermata dalla totale assenza di notizie nelle fonti classiche: nessun autore antico o tardo-antico ricorda un impianto portuale a Cupra. Lo stesso geografo greco Strabone, spesso citato a sproposito dagli "autori cuprensi", nella sua "Geografia" scritta durante il principato di Augusto, ricorda e descrive numerosi porti italiani dell'Adriatico, e, a proposito del Piceno, quelli di Ancona, Castellum (porto di Fermo), Matrinus (porto di Atri), Aternum (Pescara), quest'ultimo già nel Sannio. Sembrerebbe impossibile che un così grandioso porto passasse sotto il totale silenzio, eppure il Mostardi non esita a scrivere che "... è facile dedurre la rinomanza, che la città di Cupra Marittima si era acquistata nel bacino mediterraneo fino alla Grecia, all'Anatolia, all'Egitto, certo a motivo del commercio marittimo" (pag. XIII dell'introduzione del volume Cupra); si rimane attoniti di fronte a simili asserzioni. La questione diventa paradossale con un altro studio della Frapiccini, egli scrive letteralmente: "Che a Cupra Marittima esistesse un approdo... appare una conseguenza quasi inevitabile della vicinanza della città ad una zona di centri noti per la produzione del pregiato vino Praetuttianum e Palmensis, come Torre di Palme, che gravitavano necessariamente nell'orbita dei centri costieri per la commercializzazione del prodotto". Abbiamo appena ricordato che il greco Strabone segnalò nella sua opera il porto di Fermo, cioè Castellum, forse localizzato nei pressi dell'attuale Torre di Palme o di San Giorgio, quindi l'eventuale commercializzazione del vino citato dalla Frapiccini, avveniva sicuramente su barche che approdavano in quel porto e non su un porto fantasma quale era quello di Cupra, lontano per di più 15-20 km. Ricordo inoltre che la produzione del vino pretuziano e palmense non era una prerogativa dell'attuale Torre di Palme, ma di tutto l'antico territorio piceno, ossia dal fiume Esino a nord di Ancona, all'attuale Giulianova in Abruzzo. Per quanto riguarda la fantastica ipotesi accennata sopra dall'Alfieri e dal Colonna, cioè quella di un porto fluviale alla foce del torrente Menocchia, non vale la pena nemmeno discuterne, poiché una tale possibilità è lontana quanto Plutone lo è dal Sole. Voglio tuttavia rispondere a questi signori (con tutto il rispetto per l'Alfieri che oggi non è più fra noi) con le stesse parole del Polidori, cioè che "... nel visitare le foci (del Menocchia) si siano serviti di un microscopio, che, alterando alla vista enormemente gli oggetti, vi abbiano indotto a giudicar navi certi miserabilissimi palischermi che un cencioso pescatore va tal volta assicurando alle sponde del medesimo".
    Passiamo ora a descrivere l'evoluzione di questo porto nell'età medioevale; è sempre il Mostardi che nella sua corposa opera ci ragguaglia sullo scalo. Egli dice che l'area portuale si sposta dalla zona del Menocchia a sud del torrente Sant'Egidio (pag 193 del volume Cupra). Credo che sia inutile e lungo elencare tutte le fantasie narrate, come quella che le navi cuprensi "... trasportavano anche turisti e pellegrini alla S. Casa di Loreto", basta ricordare che egli sottolinea più volte l'importanza dei traffici commerciali svolti da Marano in quei secoli, dicendo che fra i porti del fermano "solo quello di Cupra Marittima era commerciale a lungo corso, gli altri erano soltanto pescherecci locali" (p. 188-189 del volume Cupra). Il porto di Marano, sempre secondo il monaco, sarebbe anche segnalato in diverse carte nautiche medievali, certezza confermata anche dalla Fortini . Anche quest'ultima studiosa ci da dei ragguagli in proposito, scrivendo che nel medioevo "...l'approdo di Marano (ora non più chiamato porto) si trovava non lontano dall'estuario del torrente S. Egidio". Il professor Lucio Tomei, in un suo studio sulla Marano medievale, concorda in linea di massima con la Fortini, e sottolineando l'importanza dello scalo dice: "...Fermo vi potenziava i traffici commerciali, favorendo la costruzione di un porto-canale alle foci del torrente Sant'Egidio ...". Tale affermazione, priva di fondamento e non suffragata da alcun documento, denota ancora una volta la totale confusione di tutti questi autori, i quali, pur di vedere un porto a Marano, inventano le ipotesi più assurde. Il ruscello Sant'Egidio, di cui la Fortini ne menziona addirittura "l'estuario", è un rivo lungo appena 8 km e la sua portata d'acqua è pressoché nulla in tutte le stagioni dell'anno, esso può essere considerato uno scolo di acque piovane; ipotizzare un porto-canale "alle sue foci" vale quanto detto poco sopra per il torrente Menocchia. Per quanto riguarda la segnalazione del porto di Marano, esso non è indicato in nessuna carta nautica medievale, almeno fra le più antiche ed importanti. Se è vero che Marano è segnalato nella carta di Fra Paolino della prima metà del XIV secolo, come ci riferisce il Mostardi (p. 189 del volume Cupra), è pur vero che quella è una carta geografica, cosa del tutto diversa da una carta nautica; la sostanziale differenza è che nella prima vi vengono segnalati tutti gli abitati, sia quelli sulla costa, non necessariamente dotati di scali marittimi, sia quelli dell'entroterra e la relativa orografia; nella carta nautica invece vi si segnalano solo quei luoghi dotati di scali marittimi. Anche qui è doveroso fare alcune piccole considerazioni; secondo antichi documenti conservati all'Archivio di Stato di Fermo e pubblicati in appendice in questo volume, è il porto di Grottammare "Le Grotte" che durante il medioevo ebbe importanti contratti commerciali sin dal 1225, ed una costante attenzione da parte di Fermo, come dimostra il restauro e l'ampliamento del porto voluto dalla città nel 1299. Oltretutto tale porto risulta sempre segnalato nelle più antiche ed importanti carte nautiche genovesi, a partire da quella di Pietro Vesconte del 1311 . La cosa più buffa di tutto questo è che lo stesso Mostardi ammise che il porto di Marano e la maggior parte dei porti della costa adriatica, non erano indicati su carte nautiche di fattura genovese, quali le carte Vesconte e Dalorto, inventando le più assurde giustificazioni (pag. XVII dell'introduzione del volume Cupra).
    L'immaginazione del Mostardi non ha limiti nemmeno quando parla del porto in epoca moderna; rifacendosi alle favole narrate dallo Strafforello nel 1898 (vedi nota 1), scrive che nel 1886 il porto di Cupra Marittima è qualificato come "il più importante per commercio della capitaneria di Ancona" (p. 264 del volume Cupra); passa poi ad enunciare una serie di dati inattendibile sul movimento mercantile nel quinquennio 1902-1906.
    Ma allora questo antico e famoso porto mercantile è esistito o no? Certamente si dal XV secolo in poi - anche se non famoso - come ci attestano i numerosi contratti commerciali del fondo notarile di Grottammare custodito all'Archivio di Stato di Ascoli Piceno, ma sempre come porto di IV categoria, del resto, che questo porto sia stato tale, ce lo conferma lo stesso Mostardi (p. 264 del volume). Tuttavia credo che il monaco e tutti gli "autori cuprensi", non fossero consapevoli sul significato di "porto di IV categoria". Con tale classificazione si individuavano nell'Italia pre e post-unitaria i semplici approdi sulla spiaggia privi di qualsiasi strutture portuali come moli o ormeggi, dove le attività di carico o scarico delle merci dai battelli avvenivano in mare con l'ausilio di chiatte, e dove le barche di piccola stazza venivano ritirate a terra con verricelli e palanche. Fino a poco tempo fa, i vongolari di Marano si adoperavano ancora in questo modo. Dalla fine del medioevo, questi erano i porti di tutta la costa picena (Ancona esclusa), compreso il decaduto porto di Grottammare e i cosiddetti "scali marittimi" di Sant'Andrea e Boccabianca, gli ultimi due rispettivamente a sud e a nord di Marano, e così era per la Cupra Maritima romana.
    Posso concludere questo paragrafo dicendo che sino a quando non verranno fuori documenti concreti (a patto che esistano) o rinvenimenti archeologici tangibili, il famoso ed antico porto di Cupra-Marano è esistito solo nella fantasia dei suoi autori e dei suoi illustratori.

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