OPPOSIZIONE III


Su un documento che comproverebbe la presenza della lapide di Adriano a Marano secondo Patrizia Fortini, su altre prove secondo il monaco Mostardi, su una falsa interpretazione diffusa nella cultura storica Maranese-Cuprense e sull'ultima prova presentata.
A proposito di documenti veritieri: quando nel 1981 fu pubblicato l'opuscolo di Patrizia Fortini "Cupra Maritima", gli "autori cuprensi" esultarono, poiché veniva riportata dall'autrice la prova fondamentale e definitiva sull'avvenuto trasferimento dell'epigrafe di Adriano dalla Civita di Marano alla chiesa di San Martino di Grottammare; in tal modo terminava per sempre, secondo la studiosa, la "vexata quaestio" sull'ubicazione del tempio. Questa "decisiva prova", in realtà, non solo non prova un bel niente, ma vanifica ancora una volta il tentativo di chiudere la partita sulla questione del tempio. Ora esporrò questa prova pregando i lettori di avere pazienza, giacché il documento riportato dall'autrice è talmente privo di significato che non varrebbe nemmeno la pena di perderci tempo.
Secondo la Fortini, all'Archivio Vescovile di Ripatransone, un documento anonimo risalente al 1750 circa (sic!) narra il martirio di San Basso, il rinvenimento del suo corpo e il recupero dell'iscrizione latina di Adriano nella Civita di Marano. Questo è il testo del documento-prova riportato nel suo opuscolo alle pagg. 21-22: "... al tempo di Decio e Valeriano imperatori nel Piceno, ora Marca D'Ancona vi erano doi (sic!) famosissimi Templi d'Idoli Uno chiamato Templum Dea(e) Cupra(e) nella famosa città di Cupra posta nel Territorio di Marano nella Contrada dell'Acqua Santa, Monte d'Agnese, e Civita nelle piane vicino al Fiume d(ett)o Menocchia, dove si sagrificavano alli falsi Dei da quella Gente Idolatra..., e con il nome di Giesù (S. Basso n.d.a.) mandò fuora lo spirito alli 9 di Xbre 250 al tempo di Decio e Valeriano Imperatori, il suo s(an)t(issi)mo Corpo fu sepolto da Cristiani nella Città di Cupra Maritima, come in una descrittione, ch'oggi si vede in una pietra ritrovata nelle ruine di d(ett)a città con q(ue)ste parole. Imperante Cesare Divi Traiani Patri filio, Divi Nerve Nepote Traianus Adrianus Augustus Pontifex Maximus Tribunitia Potestati XI. Cons. III Munificentia Sua Templum Deae Cuprae restauravit. Come oggi si vedono le ruine di d(ett)a Città con vestigia di muraglie antiche Palazzi al Mare, et altro...". A parte la sua autenticità, il periodo in cui esso fu steso e gli errori grammatici e storici del testo, ciò che non si comprendono sono gli estremi che dovrebbero indicare il fine per cui il documento stesso è stato presentato; si parla della sepoltura di San Basso, che è descritta su una pietra ritrovata nelle rovine della Civita, poi sono riferite le parole di questa pietra, che invece altro non sono quelle incise sull'iscrizione di Adriano posta nella chiesa di San Martino di Grottammare (???); e ancora: la pietra è stata trovata nel tempo in cui l'anonimo scriveva, come sembra capire, oppure l'anonimo riferiva di una pietra ritrovata molto tempo prima e già trasferita altrove? Ogni ulteriore commento è superfluo, lascio ai lettori le conclusioni di questo inutile enigma.
A questa inconcludente prova, l'autrice inserisce nel suo opuscolo altre due "inefficaci testimonianze", già peraltro incluse dal Mostardi nel suo volume Cupra (p. 158 del volume), che confermerebbero la presenza della lapide di Adriano alla Civita secondo la "tradizione cuprense" (sic!). La prima è una lettera del 1733 che tale F. Camerini inviò a L. A. Muratori, nella quale vi sarebbe scritto che l'epigrafe di Adriano fu trovata intorno al 1730 "nelle pertinenze di Marano" e che appunto in quel tempo era custodita nella chiesa di San Basso e Margherita (p. 21 dell'opuscolo). Io credo che la Fortini ignori completamente la storiografia attinente alla chiesa di San Martino di Grottammare, poiché l'epigrafe di Adriano è documentata all'interno di questa chiesa da letterati e viaggiatori sin dagli inizi del '500, quindi o il Mostardi ha inventato questa lettera, o il Camerini è un bugiardo.
La seconda testimonianza riportata è quella di G. F. Lancellotti, il quale attesta sempre nel XVIII secolo di aver appreso "...dal padre del medico Giovanni Panelli di Acquaviva" (ma nella versione del Mostardi si parla del nonno) che l'epigrafe di Adriano era stata ritrovata "non longe a Castro Marano iuxta ecclesiam S. Bassi ad mare a dicto castro et prope fundum" (p. 21 dell'opuscolo Cupra Marittima). Anche questa è una prova fumosa e priva di credibilità; la testimonianza, sempre che sia vera, è orale e di terza mano; oltretutto, prendendo per buona la versione del "nonno" del Mostardi, quanti anni possiamo retrocedere con appena due generazioni - a meno che non si tratti di un Matusalemme - per giungere alla fine del XV secolo, visto che la lapide è documentata a San Martino sin dagli inizi del Cinquecento? Bis in idem.
Come possiamo ben capire da questi infelici esempi, ancora una volta siamo di fronte a disperati e vani tentativi per dimostrare il contrario di quello che gli studi storici e le fonti ufficiali ci hanno sempre riferito; in due parole, si è cercato di cambiare l'acqua in vino. Non solo si è tentato di deviare la verità delle cose con storielle e bizzarrie, ma si sono anche volontariamente deformate le conclusioni dello storico tedesco Theodor Mommsen. Sia il Mostardi che la Fortini, infatti, dicono che lo storico tedesco avesse confermato che la lapide posta nella chiesa di San Martino di Grottammare era provenuta dalla Civita di Marano (p. 159 del volume Cupra, e p. 21 dell'opuscolo Cupra Maritima). Questa affermazione è falsa, in quanto le conclusioni del Mommsen riguardo a questa lapide sono le seguenti: "Titulum cum constet certe inde a medio saec. XVI prostitisse ad S. Martini, quae ecclesia a Grottamare vico S. Benedictum versus sita est, nec multum tribuendum sit narrationibus supra relatis de titulo invento ad Maranum, aut dicendum est tabulam medio aevo fabricandi causa in locum non proximum translatam esse aut aedem deae Cuprae extra Cupram oppidum fuisse; neque alteri utri coniecturae quicquam obstat.", che tradotte in italiano così dicono: "Poiché risulta evidente che l'iscrizione era certamente in vista fin dalla metà del '500 a San Martino, la cui chiesa è situata da Grottammare in direzione di San Benedetto, e poiché non si deve dare molto credito ai racconti sopra riportati, riguardanti l'iscrizione trovata nei pressi di Marano, si deve dire che: o essa è stata trasferita, durante il Medioevo, come materiale da costruzione, in un luogo non molto vicino, oppure che il tempio della Dea Cupra si trovava fuori la città di Cupra; e nulla si oppone all'una o all'altra congettura".
Negli ultimi anni sento parlare di una nuova prova che, secondo alcuni studiosi come la Percossi Serenelli, potrebbe costituire "un pesante indizio ai fini dell'identificazione del sito su cui sorgeva il tempio ... qualora ne fosse accertata l'autenticità". Questa consiste in un cippo di arenaria ritrovato alla fine degli anni '70 nell'area del foro, presso l'arco sud che fiancheggia la scalinata di un tempio (sic!), sul quale vi sarebbero incisi dei caratteri piceni. A parte la non ufficialità del luogo del ritrovamento di questo reperto (nell'arco sinistro del tempio-podio-scalinata) e la sua stessa quota di rinvenimento (eccessivamente superficiale), ciò non dimostra l'identificazione del sito su cui sorgeva il tempio di Cupra, infatti nulla toglie che nell'insediamento romano di Cupra Maritima vi fosse un pietra votiva dedicata alla dea o anche un luogo di culto. D'altronde anche in altre località sono stati rinvenuti reperti con iscrizioni che esaltano la dea Cupra, come a Fossato di Vico e a Colfiorito. Resta il fatto che il tempio nazionale dei piceni, ricostruito da Adriano nel 127 d.C., era ubicato a San Martino di Grottammare, come dimostrano i ruderi e l'inconfutabile iscrizione posta all'interno ab immemorabili. Fatti non parole.

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